Le elezioni “mid-term” premiano Joe Biden

Joe Biden è fra i pochi presidenti americani che dal 1934 non subiscono una sonora batosta elettorale durante le “mid-term”, cioè quelle elezioni che si svolgono a metà di un quadriennio presidenziale per rinnovare l’intera Camera dei Deputati, un terzo del Senato e molte cariche di governatore.  Tradizionalmente, il partito del presidente in carica perde seggi al Senato, alla Camera e anche diverse cariche di governatore.

Si conclude il ciclo elettorale 2022

Nel ciclo elettorale che si è concluso il 6 dicembre 2022 con la vittoria del Senatore democratico Raphael Warnock nel ballottaggio in Georgia contro il repubblicano Herschel Walker, il presidente Biden può ritenersi soddisfatto per aver guadagnato la maggioranza assoluta al Senato, con 51 seggi contro 49 per i repubblicani, e di aver aumentato di due unità il numero dei governatori democratici.  Alla Camera, i repubblicani hanno conquistato solo 9 seggi, raggiungendo una striminzita maggioranza di 222 seggi contro 213 per i democratici, ben al di sotto delle previsioni fatte dagli analisti politici, che davano ai repubblicani una maggioranza fra 240 e 260 seggi.

Repubblicani divisi alla Camera

Pertanto, l’attuale capo dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, potrà contare su una maggioranza che supera il 50% per soli 5 seggi.  A gennaio, quando si voterà per la presidenza della Camera, la terza carica nella gerarchia istituzionale americana, dopo il presidente e il vicepresidente, si prevede uno scontro fratricida all’interno del partito repubblicano dove gli estremisti di destra, sostenitori dell’ex presidente Donald Trump, considerano McCarthy troppo debole nei confronti delle politiche democratiche, e hanno annunciato che non voteranno per lui. Cosa farà McCarthy? Chiederà i voti ai democratici o farà delle concessioni agli estremisti di destra per ottenere il loro voto per arrivare a quota 218?

Maggioranza assoluta democratica al Senato

Al Senato, si partiva da una parità composta da 50 seggi per i repubblicani e 50 per la coalizione di 48 senatori democratici e 2 indipendenti.  La maggioranza democratica si otteneva attraverso il ruolo di Kamala Harris, la quale, come presidente del Senato, poteva esercitare il suo diritto di voto.  Oggi, con la vittoria del pastore Raphael Warnock, la coalizione fra democratici e indipendenti arriva a 51 seggi contro 49 repubblicani, risparmiando alla vice presidente Harris l’obbligatoria presenza al Senato per garantire il successo del voto democratico.  La nuova maggioranza assoluta garantirà ai democratici anche la presidenza di tutte le commissioni senatoriali.

I democratici avanzano fra i governatori

Nelle 36 competizioni che si sono svolte a novembre per rinnovare le cariche di governatore (in 14 dei 50 stati non si votava), i repubblicani hanno registrato una perdita netta di due governatori a favore dei democratici.  Pertanto, i repubblicani scendono da 28 a 26 governatori mentre i democratici salgono da 22 a 24.

Le capacità negoziali di Biden

Nei prossimi due anni, toccherà al Presidente Biden negoziare con i deputati repubblicani per poter portare avanti altre importanti iniziative economiche, riformare il sistema immigrazione, proteggere e ampliare l’assistenza sanitaria e previdenziale, eliminare la vendita delle armi automatiche e semiautomatiche e ridurre la disuguaglianza negli Stati Uniti, semmai sfruttando le forti divisioni fra i deputati repubblicani.  La corrente che fa capo all’ex presidente Donald Trump ha annunciato che intende contrastare qualsiasi iniziativa bi-partisan e vuole concentrarsi nel far partire indagini parlamentari contro l’attuale presidente, per temi che vanno dalla disastrosa uscita americana dall’Afghanistan, alle origini del COVID, e alle accuse contro il figlio del presidente, Hunter Biden, inerente ad informazioni presumibilmente compromettenti trovate su un suo laptop in riparazione.

Foto di copertina: il senatore reverendo Raphael Warnock — Reuters

La deriva antidemocratica del Partito Repubblicano americano

Oggi il Partito repubblicano americano ha fatto un nuovo decisivo passo verso il baratro del trumpismo. I repubblicani hanno ufficialmente censurato i deputati Liz Cheney e Adam Kinzinger per la loro partecipazione nella commissione di inchiesta della Camera che sta indagando sugli eventi legati all’assalto al Congresso, avvenuto il 6 gennaio 2021. Secondo i repubblicani, la commissione sta portando avanti una caccia alle strega contro “cittadini comuni impegnati in un legittimo dialogo politico”. Insomma, per il nuovo partito repubblicano, l’assalto armato contro la massima istituzione rappresentativa del popolo americano, il Congresso, rientrerebbe nella sfera di un legittimo dialogo politico.

Per alcuni Repubblicani di quello che fu il partito di Ronald Reagan, la deriva estremista dei sostenitori di Trump è totalmente inaccettabile. Il senatore Mitt Romney, candidato repubblicano alle presidenziali vinte da Barack Obama nel 2012, ha commentato duramente la censura comminata a Cheney e Kinzinger. Per Romney, “è una vergogna quando un partito decide di censurare persone coscienziose che cercano la verità subendo attacchi al vetriolo. Onore a Liz Cheney e Adma Kinzinger per la loro ricerca della verità a costo di grandi danni personali.”

La censura repubblicana segue l’attacco che Donald Trump ha sferrato contro il suo vice, Mike Pence, in una intervista televisiva dell’1 febbrario 2022. In quell’occasione, Trump ha accusato Pence di essersi rifiutato di sovvertire il risultato elettorale e, pertanto, secondo Trump, la commissione parlamentare sui fatti del 6 gennaio dovrebbe indagare Pence e non lui!!! La commissione, secondo Trump, dovrebbe chiedere a Pence “perché non abbia rispedito agli Stati i voti dei grandi elettori, chiedendo agli Stati di revisionare la loro certificazione”.

Mentre i repubblicani erano intenti a censurare Cheney e Kinziner, l’ex vicepresidente Mike Pence ha risposto per le rime alle accuse di Trump. Durante un discorso tenuto oggi presso la think tank conservatrice “The Federalist Society”, Pence ha dichiarato che “Trump si sbaglia – il vicepresidente non ha l’autorità di sovvertire le decisioni del popolo americano”. Per Pence, “la verità è che c’è molto più in gioco che il nostro partito o le nostre fortune politiche. Se perdiamo la nostra fiducia nella Costituzione, non perderemo solo le elezioni, ma perderemo il nostro Paese”. Per Pence, la proposta di Trump di sovvertire il risultato elettorale è “un-American”, cioè, è contrario allo spirito americano.

La battaglia per l’anima del Partito repubblicano americano è in pieno corso. Al momento, i sondaggi danno ai repubblicani un netto vantaggio per le elezioni del “mid-term” del prossimo novembre, quando si rinnoverà l’intera Camera e un terzo del Senato. Quale corrente del Partito prenderà il sopravvento? I repubblicani tradizionali alla Romney, Cheney e Kinzinger, o i fanatici trumpiani?.

Conflitto per l’anima del Partito Repubblicano Usa

E’ in corso una storica battaglia per il controllo del Partito Repubblicano fra la componente conservatrice istituzionale, capeggiata dal senatore Mitt Romney e la deputata Liz Cheney, e quella capeggiata dall’ex presidente Donald Trump che è influenzata dalla deriva conservatrice-populista che aderisce alle teorie del complotto.

Le due componenti hanno visioni simili sui temi economici e sociali, ma partono da posizioni diametralmente opposte riguardo all’interpretazione della realtà, al rispetto delle regole democratiche e degli avversari, ed infine alla validità dello stesso stato di diritto.

In campo economico, le componenti del partito repubblicano che abbiamo descritto sono contrarie al prelievo fiscale federale, fatta eccezione per le quello destinato alle spese militari; mentre tollerano il prelievo fiscale se destinato a finanziare attività locali, cioè allo stato di appartenenza.

I repubblicani sono di solito allineati sulle posizioni economiche espresse agli inizi degli anni 80 da Ronald Reagan negli USA e da Margaret Thatcher nel Regno Unito, fautori del neoliberismo e dell’abolizione delle numerose norme che a loro dire imbrigliavano il mondo economico-produttivo. I repubblicani sono, generalmente, fautori della limitazione del potere del governo centrale soprattutto in ambito economico, infatti, ogni qualvolta sia previsto dalla costituzione, ricorrono al trasferimento di funzioni e responsabilità ai 50 Stati che formano l’Unione, e lottano per impedire al Governo Federale di accentrarle.

Sulle questioni sociali e sui temi dei diritti civili, quali l’aborto, la costituzione di coppie non tradizionali, l’omosessualità, l’uso delle droghe leggere e così via, il partito repubblicano fatica, al suo interno, a trovare una posizione condivisa fra quella oltranzista della destra religiosa, tradizionalmente sostenuta dagli stati del Sud e del Centro degli Stati Uniti, e quella della componente socialmente più aperta  che è propria dei repubblicani delle grandi città, specialmente quelle che si trovano sulle due coste americane.

Il partito è anche influenzato da una contraddizione che nasce dall’antipatia della destra religiosa nei confronti dei possidenti miliardari, considerati cattivi esempi da un punto di vista morale, ma comunque agevolati dalle iniziative repubblicane che facilitano i loro affari.

All’interno della già complessa galassia delle componenti che formano il partito repubblicano sulla base degli interessi che le accomunano, ne è comparsa, da qualche anno, una trasversale che le abbraccia tutte grazie alle teorie dei complotti, sposate in primo luogo dai più convinti sostenitori di Donald Trump.

Questa componente è alimentata da una ulteriore varietà di sottogruppi, quello che crede che sia in atto un complotto da parte di ricchi ebrei che utilizzano laser diretti dallo spazio per causare incendi in California, quello che sostiene che Hillary Clinton, Joe Biden e tutta la direzione democratica facciano parte di una cerchia mondiale di pedofili responsabili per la morte di tanti bambini, con l’intento di bere il loro sangue, e molti altri ancora.

Inoltre, il partito repubblicano è sostenuto dai seguaci di QAnon che sostengono l’idea che ci sia uno “stato ombra”, il cosiddetto “Deep State”, che controlla il governo federale americano dal suo interno; sempre secondo QAnon, Donald Trump è’ l’unico che si batte per liberare l’umanità dalla schiavitù imposta da funzionari civili e militari infedeli e corrotti. Anche i no vax hanno partecipato a questa kermesse dando un grande sostegno a Trump nel diffondere teorie rispetto alla “bufala” del COVID-19. Capita anche che gruppi complottisti, senza una particolare finalità e non collegati agli altri,  abbiano come unico legame la fedeltà nei confronti di Donald Trump e un fanatismo religioso estremista liberamente tratto dagli insegnamenti cristiani elaborati, per i loro scopi, dalla interpretazione suprematista bianca.

Con questi presupposti, si è arrivati alle due difficili decisioni prese dal partito repubblicano il 5 febbraio 2021. In primo luogo ha bloccato la componente complottista ed estremista dal rimuovere Liz Cheney dal suo ruolo di leader dei repubblicani alla Camera; la sua colpa era di aver votato a favore dell’impeachment di Donald Trump per aver incitato l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021. Poi, ha rigettato la condanna richiesta dai democratici nei confronti di Marjorie Taylor Greene, una neo deputata complottista della Georgia, che ha più volte avallato dichiarazioni inneggianti all’esecuzione fisica di Nancy Pelosi e altri leader democratici, negando l’attentato contro il Pentagono l’11 settembre 2001, e denunciando come false le stragi di studenti avvenuti negli ultimi anni, organizzate ad arte secondo la deputata, per limitare il diritto degli americani a possedere armi. Nessun repubblicano ha votato a favore della rimozione della deputata dalle commissioni a cui era stata designata dal partito. Insomma, la direzione repubblicana ha dovuto mediare per trovare un compromesso e tenere unita la sua rappresentanza al Congresso.

Rimane ancora un’incognita il ruolo che Donald Trump svolgerà nel partito repubblicano da oggi fino, in particolare, al novembre 2022 quando si svolgeranno le elezioni parlamentari “mid-term” quando sarà rinnovata l’intera Camera e un terzo del Senato.

Molti politici democratici auspicano un ritorno del partito repubblicano a posizioni conservatrici “normali” o “tradizionali” affinché si garantisca negli USA uno sano dibattito fra il centrosinistra e il centrodestra, negli interessi della Nazione. Ma, se la componente estremista e complottista guidata da Donald Trump continuerà nella sua costante ascesa all’interno del Partito Repubblicano, non rimarrà più nulla di quello che fu il partito di Abraham Lincoln e di Ronald Reagan. E sarà una sconfitta per la democrazia.

Pubblicato da “Il Denaro” online l’8 febbraio 2021

La preghiera dei terroristi durante l’assalto a Capitol Hill

Il giornalista Luke Mogelson della rivista “The New Yorker” ha seguito i sostenitori di Trump mentre assalivano il palazzo del Congresso. All’ottavo minuto i rivoltosi rivolgono un ringraziamento all’Altissimo per averli fatti entrare a Capitol Hill per combattere contro i globalisti, i comunisti e tutti i traditori. Nel manifestare il loro amore per Gesù Cristo, chiedono una benedizione per i “patrioti”. La rivista ha pubblicato il video su YouTube il 17 gennaio 2021.

Usa, rischio di nuove violenze dopo l’assalto al Congresso

La tensione, innescata dai sostenitori di Donald Trump con l’assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, sta crescendo pericolosamente. Un documento interno del Federal Bureau of Investigations (FBI), ottenuto dalla rete televisiva ABC, riporta di gruppi armati che pianificano l’assalto ai palazzi dei governatori e alle sedi delle parlamentari dei 50 stati. Gli attacchi saranno lanciati, secondo il documento, fra il 16 e il 20 gennaio, inoltre si accenna anche a un nuovo attacco al Congresso e ai palazzi del governo federale fra il 17 e il 20 gennaio.


La notizia è arrivata alle 20:00 di lunedì 11 gennaio 2021; lo stesso giorno in cui la Camera ha iniziato la procedura per incriminare il Presidente Donald Trump per i fatti del 6 gennaio. È molto probabile che la Camera approvi l’impeachment del presidente Trump prima del passaggio delle consegne a Joe Biden, previsto per il 20 gennaio.


Ad accrescere la tensione sono anche le dimissioni di Chad Wolf, capo del Department of Homeland Security (equivalente al ministero degli interni in Europa), annunciate poco dopo le rivelazioni della ABC. Il dicastero di Wolf è responsabile del coordinamento delle attività atte a prevenire e a combattere tutte le minacce terroristiche in America.


La CNN ha rivelato che due poliziotti del Capitol Police sono stati sospesi per il loro presunto ruolo di “collaborazionisti” degli assalitori del Congresso. Altri quindici poliziotti sono indagati. Nel frattempo, sono stati arrestati dei poliziotti, appartenenti a dipartimenti di polizia di diverse città americane, che erano fra gli “assalitori” del 6 gennaio.


Inoltre, emergono anche le responsabilità dei vertici della polizia e della Guardia Nazionale per le inefficienze riscontrate nel coordinamento delle attività di sicurezza. Le procedure per attivare la guardia nazionale, già considerate “burocraticamente lente” in tempi “normali”, sembrerebbero essere state ulteriormente rallentate dalla leadership politica asservita a Trump, prima e durante l’assalto al Congresso. Volano accuse fra vertici della polizia e il Pentagono.


I prossimi giorni saranno determinanti per la democrazia americana. L’FBI avrà un ruolo decisivo da svolgere nel prevenire che terroristi e estremisti di destra, spesso organizzati in gruppi paramilitari, possano mettere a ferro e fuoco le capitali dei 50 stati e Washington stessa. La polizia federale così come la polizia locale e la Guardia Nazionale dovranno essere pronte a contrastare, loro malgrado, anche militarmente eventuali assalitori.

Contemporaneamente, sarà fondamentale per gli organi politici trovare un equilibrio fra la necessità di sanzionare Trump per aver istigato l’insurrezione contro lo Stato e quella di dare sfogo al malessere dei suoi sostenitori, riportandoli all’interno del processo democratico, parlamentare e, in primo luogo, non violento. Questo, tuttavia, non sarà possibile senza che i leader repubblicani contribuiscano a smantellare le bugie sostenute da Trump e dai suoi alleati sulla correttezza delle elezioni.


Il momento è decisivo per la tenuta democratica e lo stato di diritto negli Stati Uniti.

Pubblicato da “Il Denaro” il 12 gennaio 2021.

Trump minaccia i funzionari repubblicani della Georgia

In un maldestro tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni presidenziali dello scorso novembre, Donald Trump ha praticamente ordinato al Segretario di Stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, di sovvertire i risultati “trovando 11.780 voti”.  Si ricorda che il democratico Joe Biden ha vinto per 11.799 voti. 

In una registrazione di una telefonata del 2 gennaio 2021, pubblicata online dal Washington Post oggi, si può ascoltare Trump “ordinare” a Raffensperger e al suo consigliere Ryan Germany di “trovare” i voti necessari per sovvertire il risultato ufficiale.

Si ricorda che Trump e i suoi consiglieri avevano già contestato più volte i risultati della Georgia, così come quelli di altri stati, uscendo sconfitti in ogni occasione.  Hanno perso sia nei tribunali sia nella riconta dei voti, come è successo proprio in Georgia, uno Stato amministrato dai repubblicani.

Le minacce di Trump potrebbero avere delle conseguenze legali di notevole portata.  Nella registrazione si sente un irato Trump che allude a possibili conseguenze nel caso in cui il Segretario di Stato della Georgia rifiuti di sostenere le infondate accuse di brogli elettorali.  La minaccia più grave è arrivata quando Trump chiaramente avverte Raffensperger che se non avesse ribaltato i risultati delle elezioni, avrebbe corso “un grande rischio”. Era in linea anche il Capo dello Staff del presidente, Mark Meadows.

Raffensperger e Germany non hanno esitato a contrastare ogni accusa di Trump, ribadendo la correttezza della consultazione georgiana, non cedendo alle accuse, alle lusinghe, ai rimproveri o alle minacce.  Hanno più volte ribadito che le informazioni in possesso del Presidente non erano corrette.

Il 5 gennaio 2021 si terranno in Georgia il ballottaggio per due seggi al Senato.  Ai repubblicani basterà vincere uno dei due seggi per tenere un’esigua maggioranza di 51 a 49 voti. Se i democratici riuscissero a vincere entrambi seggi, si avrebbe un pareggio di 50 a 50, con il voto decisivo che passerebbe al vice presidente Kamala Harris.

Versione aggiornata pubblicata da “Il Denaro” il 5 gennaio 2021

E se Trump rifiutasse di andarsene?

A mezzogiorno del 20 gennaio 2021, scadrà il mandato di Donald Trump e del vicepresidente Mike Pence. “Nello stesso momento”, come cita il ventesimo emendamento alla Costituzione Americana, inizierà il mandato di Joe Biden e del suo vice, Kamala Harris.

Regola semplice — non c’è nulla da interpretare e non sono previste eccezioni.

La durata del mandato presidenziale è di quattro anni ed è stabilito chiaramente dall’articolo 2 della Costituzione.

Tuttavia, non sembra che il dettato costituzionale possa scalfire in alcun modo la determinazione di Trump di rimanere alla Casa Bianca.  La sua logica è semplicissima: la consultazione elettorale dello scorso novembre non è valida perché fraudolenta, cioè lesiva dei diritti degli americani. Lui si sente l’unico in grado di tutelarli e quindi accusa tutti di fare parte di un colossale complotto per rimuoverlo; non risparmia nessuno, dai membri del suo partito e i ministri del suo governo, ai giudici costituzionali che lui stesso ha nominato. 

Voi potreste chiedermi: cosa succederebbe se a mezzogiorno del prossimo 20 gennaio Trump rimanesse nella Casa Bianca? Probabilmente non succederebbe nulla di eclatante da un punto di vista istituzionale. Lo stato di diritto prevarrebbe sul populismo, sul caos e sulla destabilizzazione. 

Infatti, in quel preciso momento, le Forze Armate passerebbero sotto il comando di Joe Biden, i codici nucleari scadrebbero e quelli nuovi verrebbero messi a disposizione del nuovo presidente, anche tutto l’apparato esecutivo del governo USA risponderebbe a lui.  A Trump rimarrebbe la scorta, a cura dei Servizi Segreti, prevista per gli ex presidenti e una pensione.  Nella remotissima ipotesi che non volesse uscire fisicamente dalla Casa Bianca, rischierebbe l’arresto e l’incriminazione per violazione di domicilio. 

E’ gravissimo, invece, il tentativo perpretato da Trump per impedire a Joe Biden di iniziare il suo mandato senza compromettere la continuità dell’attività di governo del Paese.    

Biden ha denunciato, in un discorso del 28 dicembre 2020 trasmesso dai maggiori canali televisivi USA e dai social, l’assenza di collaborazione da parte di Trump e dei suoi più fedeli collaboratori nel passaggio delle consegne.  Per Biden, per esempio, è inaccettabile che Trump abbia impedito al Dipartimento della Difesa e all’intelligence di collaborare con lui e il suo governo.  Biden dovrà contare sull’efficienza, la fedeltà e il patriottismo di migliaia di dipendenti federali, civili e militari, per colmare il vuoto creato da Trump e riguadagnare il terreno perso in questi mesi, per quanto riguarda la transizione, ma anche quello perso nel corso degli ultimi quattro anni nei rapporti con i maggiori alleati internazionali.

Nonostante Trump, Il 20 gennaio si svolterà pagina.

Lo stato di diritto prevarrà. L’America tornerà ad avere un Presidente che non utilizza il suo tempo su Twitter e sui social in genere, offendendo minoranze, giornalisti, donne, avversari.

L’azione di Trump, ha probabilmente rafforzato il senso civico e la fiducia nella Costituzione dei funzionari dello Stato che hanno resistito a ogni tipo di pressione ed hanno dimostrato lealtà verso le istituzioni e quindi verso il popolo americano.

Il giornalista Chris Cuomo, durante il suo “talk show” trasmesso dalla CNN il 23 dicembre 2020, ha descritto Trump come un virus iniettato nel sistema per infettarlo, per renderlo debole.  Come un corpo che sviluppa gli anticorpi quando viene a contatto con un virus, lo stato di diritto negli USA si è difeso. Ha vinto ed è più forte. Il 20 gennaio 2021 ci sarà la pacifica transizione dei poteri a Joe Biden.

Pubblicato da “Il Denaro” il 30 dicembre 2020.

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Didascalia della foto:
John Fitzgerald Kennedy presta il giuramento come 35mo Presidente alla presenza del Presidente della Corte Suprema. Earl Warren. sulle scale del Congresso, Washington, il 20 gennaio 1961. (foto: STF/AFP/Getty)

Gli indiani d’America al centro dell’attenzione del Governo Biden

Joe Biden e Kamala Harris hanno coinvolto i vertici dei nativi americani durante la campagna elettorale. È interessante notare infatti che, nell’affrontare temi legati alle istituzioni locali, quindi che richiedevano un coinvolgimento dei governatori dei 50 Stati americani, entrambi hanno sempre incluso tra questi i leader delle tribù e delle nazioni indiane.  Si appellavano a loro mettendoli alla pari dei governatori. I nativi americani sono oltre cinque milioni, di cui 78% vive fuori dalle riserve.

Le 574 tribù indiane, riconosciute ufficialmente dal governo federale americano, avranno, quindi, in Joe Biden e Kamala Harris dei riferimenti istituzionali attenti ai loro bisogni e rispettosi della loro storia, identità e tradizioni.  Più di 374 trattati, stipulati ad oggi, in oltre duecento anni, definiscono il livello di sovranità garantito alle diverse tribù e nazioni native, regolamentano la gestione dei territori, e declinano i diritti dei nativi all’interno della più vasta Nazione americana.  Purtroppo, molto spesso i trattati non sono stati rispettati completamente dal Governo Americano.

Biden e Harris hanno promesso durante la campagna elettorale di far tornare la questione indiana al centro dell’attenzione del nuovo governo. La nomina a Ministro degli Interni della deputata nativa americana, Deb Haaland, è un chiaro segnale della loro determinazione.

Inoltre, qualora confermata dal Senato, questa nomina rappresenterà la prima opportunità per un esponente di una tribù o nazione nativa di partecipare attivamente nel governo degli USA, e per di più alla direzione di un Ministero.

L’Interior Department, si occupa della gestione dei parchi nazionali, delle riserve, delle risorse naturali e di tutto il patrimonio forestale, nonché dei programmi per le minoranze etniche. Il Ministro degli Interni in America, contrariamente a quanto avviene in quasi tutti gli altri Stati del Mondo, non gestisce la sicurezza pubblica e non ha alle sue dipendenze le forze dell’ordine.  Negli USA, queste responsabilità sono assegnate al Department of Homeland Security (dipartimento della sicurezza della nazione).

Deb Haaland è stata eletta deputato in una circoscrizione del New Mexico e appartiene ad una antica tribù nativa, riconosciuta dal governo federale con il nome “Pueblo of Laguna”.  La sua nomina a Ministro del governo federale, tuttavia, espone a dei possibili rischi la maggioranza alla Camera, confermata dai democratici nelle votazioni dello scorso novembre.  Vediamo perché: i democratici hanno 222 deputati, quindi, solo 4 oltre quota 218, che rappresenta il numero necessario per controllare la Camera.  Poiché Biden ha prelevato dalla Camera anche i deputati Cedric Richmond della Louisiana e Marcia Fudge dell’Ohio oltre alla nativa americana Deb Haaland e poiché la legge Americana non prevede la loro sostituzione immediata, i democratici alla Camera saranno ridotti a 219, cioè solo uno in più rispetto alla quota che serve per avere la maggioranza. 

L’attuale presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, è sicura che i democratici riusciranno a sostituire i tre deputati in occasione delle elezioni suppletive, le cui date non sono ancora state stabilite. Tuttavia, è preoccupata per quanto potrebbe accadere fra il 20 gennaio 2021, data in cui i tre deputati diventeranno ufficialmente parte del governo Biden, e quando si svolgeranno le elezioni suppletive.

Biden e Harris hanno promesso ai nativi americani di rafforzare il rapporto diretto fra il Governo Federale e le Nazioni indiane, con un approccio “Nation-to-Nation”.  Si propongono di ridurre la disparità di trattamento che affligge i nativi rispetto agli altri cittadini soprattutto in materia di assistenza sanitaria. Si prefiggono di restituire ai nativi la competenza sui territori da loro occupati, con particolare attenzione al cambiamento climatico e alla salvaguardia dei beni naturali e culturali delle diverse tribù e nazioni.  Intendono attuare tutte le iniziative necessarie per aumentare la sicurezza delle comunità native, specialmente la tutela delle donne, dei bambini e degli anziani.  Specifiche iniziative saranno adottate per aumentare lo sviluppo economico nelle comunità native e assicureranno maggiore tutela al loro diritto al voto. I veterani nativi saranno commemorati per i servizi resi nelle forze armate USA.

Sicuramente la nomina di Deb Haaland al Ministero degli Interni rappresenterà una decisa inversione di tendenza rispetto alle politiche attuate dal governo di Donald Trump nella gestione dell’ambiente e del patrimonio naturale americano. I nativi d’America sono stati protagonisti di numerose proteste e durissimi confronti nei territori indiani contro il passaggio di oleodotti irrispettosi dell’ambiente, contro lo sfruttamento indiscriminato e irragionevole delle risorse idriche e contro il fracking.

La maggioranza dei nativi americani ha sostenuto e votato Joe Biden e Kamala Harris, ora si aspettano una risposta leale, in controtendenza rispetto alla slealtà ricevuta negli ultimi due secoli. Si aspettano provvedimenti per la salvaguardia dei loro diritti che siano sostanziali e duraturi. 

Pubblicato da “Il Denaro” il 20 dicembre 2020

Lo Stato di Diritto regge all’urto di Donald Trump

La Corte Suprema americana, bocciando venerdì 11 dicembre 2020 il tentativo dei fedelissimi di Donald Trump di sovvertire il risultato delle presidenziali dello scorso novembre, ha ribadito la supremazia della Costituzione e dello Stato di Diritto rispetto agli interessi personali o di partito.   

La Corte ha rigettato in toto la richiesta presentata dal procuratore generale dello Stato del Texas, appoggiato da 17 altri Stati (tutti governati dai repubblicani) e da 100 deputati repubblicani, di annullare il risultato del voto popolare negli Stati della Georgia, della Pennsylvania, del Michigan e del Wisconsin per presunte irregolarità. La mozione texana proponeva, inoltre, di lasciar decidere alle camere legislative, a maggioranza repubblicana nei succitati quattro stati, se sostenere Donald Trump o Joe Biden. 

Se fossero state accettate le argomentazioni texane, Biden avrebbe sicuramente perso un totale di 62 grandi elettori, scendendo da 306 a 244, dando a Trump la maggioranza con 294 voti, rispetto agli attuali 232.  Un vero e proprio ribaltone!

La massima corte americana ha, quindi, rispedito al mittente la richiesta giudicandola completamente irregolare e in violazione del disposto della Costituzione Americana che prevede che ogni Stato possa gestire le elezioni secondo leggi proprie (statali), le quali, a loro volta, devono essere in sintonia con i diritti inalienabili dei cittadini americani, previsti dalla stessa Costituzione Americana.  La Corte aveva già bocciato un tentativo dei repubblicani di sospendere la certificazione dei risultati elettorali in Pennsylvania martedì, 8 dicembre 2020.

Trump contava sulla fedeltà o la riconoscenza dei tre giudici che ha nominato alla Corte Suprema nel corso degli ultimi anni.  La massima corte americana è formata da nove giudici, di cui, attualmente, sei sono di estrazione conservatrice (repubblicani), mentre tre sono di matrice liberal-progressista (democratici).  Quando si crea una vacanza nell’organico della Corte Suprema, il presidente degli USA nomina un candidato e il Senato lo conferma.  Il mandato dei giudici è a vita.  

Trump ha un’enorme difficoltà nell’accettare che sia i giudici, come i militari e i dirigenti di agenzie federali, posti all’apice delle rispettive organizzazioni ed uffici, sia attraverso nomine politiche o normali progressioni di carriera, si dimostrino, così come previsto dalla legge, fedeli alla Costituzione e non al Presidente.  Anche il Presidente stesso giura fedeltà alla Costituzione e da lui ci si aspetterebbe lo stesso comportamento.  Trump, tuttavia, antepone la fedeltà a se stesso rispetto a quella verso la Costituzione, alla Nazione, e al popolo sovrano.

Durante l’attuale mandato presidenziale, Trump ha rimosso chiunque manifestasse anche una minima indecisione fra la fedeltà verso di lui e quella dovuta alla Costituzione.  Il 91% dei membri della sua amministrazione è stato sostituito nell’arco di quasi quattro anni. Si tratta di 59 incarichi su 65.  Trump non è riuscito, tuttavia, a rimuovere dirigenti di carriera come il famoso immunologo, il dottor Anthony S. Fauci, presidente della National Institute of Allergy and Infectious Diseases, o militari come il generale Mark A. Milley, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate americane, che lo hanno contraddetto in pubblico in più occasioni.

Inoltre, il concetto di sovranità popolare per Trump non è mediato dal rapporto fra cittadino e Costituzione, la quale investe le cariche elettive e professionali di autorità.  Per Trump il rapporto è fra lui e quella parte di popolo che lo ha votato. Nella sua visione, è lui ad investire di autorità ministri, giudici, generali e dirigenti di agenzie federali e non la Costituzione. Pertanto, Trump si aspetta, di conseguenza, che chi occupa una carica istituzionale sia fedele a lui “in primis” e non alla Costituzione.

L’uscita di Trump il prossimo 20 gennaio, consentirà allo Stato di Diritto di ritornare centrale nelle dinamiche all’interno della Casa Bianca. È un bene per gli Stati Uniti e per tutto il mondo. Ma forse è anche un bene per tutti quegli americani di fede repubblicana che vorranno ritornare alla politica delle proposte programmatiche e delle normali diversità di vedute fra conservatori e progressisti, abbandonando una volta per tutte il culto imposto della personalità, proprio di monarchie assolutiste e regimi dittatoriali che devono essere confinati nell’oblio della storia.

Pubblicato su “Il Denaro” online il 13 dicembre 2020

Trump crea confusione fra i repubblicani

Le continue accuse di brogli e irregolarità che il Presidente Donald Trump rivolge al sistema elettorale americano rischiano di far perdere ai repubblicani la maggioranza al Senato.

Trump crea confusione fra i repubblicani insinuando che anche le elezioni del 5 gennaio 2021 saranno irregolari, in linea con le accuse che ha rivolto per le elezioni presidenziali che ha perso a novembre.


Il 5 gennaio 2021 si svolgerà il ballottaggio per due seggi di senatore in rappresentanza della Georgia, che determinerà quale partito controllerà il Senato americano. Lo scrutinio si terrà perché nessun candidato ha superato il 50% dei voti nelle elezioni del 3 novembre 2020, traguardo stabilito dalle leggi della Georgia per l’elezione al primo turno.


La campagna elettorale è in pieno svolgimento e i sondaggi confermano una sostanziale parità fra i concorrenti in gara. Nella prima competizione georgiana, il confronto è fra il democratico Jon Ossoff e il senatore uscente, il repubblicano David Perdue. Nella seconda, è fra il reverendo democratico Raphael Warnock e la senatrice uscente, la repubblicana Kelly Loeffler.


È chiaro che se Trump continua, in modo illogico, a scoraggiare i repubblicani dall’andare a votare mentre i democratici mirano a portare più persone alle urne, il risultato sarebbe scontato e devastante per i candidati repubblicani. Senza il voto dei sostenitori di Trump, è impossibile che Perdue e Loeffler possano essere riconfermati al Senato.


Si ricorda che in Georgia, uno stato a gestione repubblicana, Joe Biden ha vinto principalmente perché i democratici sono riusciti ad ottenere il sostegno delle minoranze, e in particolare sono stati premiati dal voto degli americani di origine asiatica e delle isole del Pacifico.


È ironico che Trump accusi di brogli e d’inefficienze il sistema elettorale in Georgia retto da repubblicani. Trump accusa il governatore repubblicano della Georgia, Brian Kemp, e i suoi assistenti di essere, di fatto, strumenti di poteri occulti che si annidano all’interno delle strutture pubbliche americane, il cosiddetto “deep state”, una specie di stato clandestino parallelo, teoria sostenuta dai complottisti della estrema destra di oltreoceano.


Ma vediamo perché la gara in Georgia è così importante. Ricordiamo in primo luogo che oltre ad aver vinto la Presidenza degli USA, i democratici hanno anche riconfermato la maggioranza alla Camera, dove possono contare su 222 deputati contro i 213 dei Repubblicani. Ora tocca al Senato dove, con le elezioni del 5 gennaio, se ne determinerà la maggioranza.


Facciamo qualche conto. Il Senato americano è composto da 100 senatori, ovvero due per ognuno dei 50 Stati dell’Unione. Il vice presidente degli Stati Uniti funge da presidente del Senato e, quando non si raggiunge una decisione a maggioranza, prevale il suo voto. Al momento, il nuovo Senato americano, risultante dalle elezioni dello scorso novembre, vede i repubblicani in vantaggio con 50 seggi, a seguire i democratici che, con 46 senatori propri e 2 senatori indipendenti, formano un’alleanza che al momento conta su 48 senatori. I senatori rimangono in carica per sei anni e ogni due anni si rinnova un terzo dei seggi.

Nella foto: i candidati democratici Raphael Warnock e Jon Ossoff durante un comizio a Marietta, Georgia, il 15 novembre 2020
(foto: Brynn Anderson – AP)


I due senatori che mancano all’appello saranno eletti, appunto, con il ballottaggio che si svolgerà in Georgia il 5 gennaio. Per ottenere la maggioranza, ai repubblicani basterà vincere uno solo dei due seggi in palio. Invece, i democratici dovranno vincere entrambi i seggi per raggiungere quota 50 e poi avvalersi del voto del vice presidente Kamala Harris per avere la maggioranza.


La strategia governativa di Joe Biden e Kamala Harris sarà fortemente influenzata da chi avrà il controllo del Senato. Se vincono i repubblicani, Biden e Harris dovranno governare nell’ottica del compromesso e sarebbe estremamente difficile mettere in atto molti dei programmi sociali proposti durante la campagna elettorale. Con la vittoria in Georgia, invece, si avrebbe il controllo dell’intero Congresso con la conseguente attuazione di larga parte del programma elettorale.


Cosa farà Trump durante il mese che manca all’appuntamento elettorale? Cercherà di aiutare il suo partito nel conservare il controllo del Senato, oppure continuerà a sparlare delle elezioni e divulgare maldicenze sul sistema elettorale americano, con il rischio di scoraggiare gli elettori repubblicani della Georgia dal partecipare al voto del prossimo 5 gennaio?


Per il momento, l’unica certezza è che Trump sta seminando confusione fra gli elettori repubblicani e un misto di rabbia e rassegnazione fra i dirigenti del suo partito.

Articolo pubblicato da “Il Denaro” il 7 dicembre 2020