Elezioni Usa: la base democratica ritorna in vita

Vice President Joe Biden at a rally in Tacoma, Wash., on the campus of the University of Washington - Tacoma on Friday, Oct. 8, 2010. (AP Photo/Ted S. Warren)

Anthony M. Quattrone

A tre settimane dalle elezioni di mid-term del 2 novembre 2010, repubblicani e democratici americani si danno battaglia per conquistare il voto degli indecisi.  Secondo il più recente sondaggio nazionale eseguito per ABC/Washington Post, i repubblicani hanno un vantaggio di circa sei punti percentuali sui democratici.  Questo vantaggio si è dimezzato rispetto a un mese fa, quando i repubblicani erano avanti di circa tredici punti percentuali.  Nelle elezioni di mid-term sono in palio tutti i 435 seggi per la Camera, trentasette dei 100 seggi del Senato, e trentanove delle cinquantaquattro cariche di governatore.  I repubblicani sono in testa alla Camera e per le cariche di governatore, mentre al Senato sembra che i democratici riusciranno a contenere i danni senza perdere la maggioranza.

Secondo i sondaggi locali, condotti in tutti i distretti elettorali, e in base alle tradizioni di voto, alla Camera i repubblicani possono contare di ottenere, con “certezza” 204 seggi, mentre 184 sono quelli “certi” per i democratici.  Trentanove seggi sono “in bilico”, dove i sondaggi rilevano che non è ancora possibile indicare una previsione di voto.  Su questi seggi si convoglierà l’interesse degli apparati dirigenti dei due partiti, incanalando enormi risorse finanziarie per conquistare sia gli elettori indecisi, sia per convincere la tradizionale base elettorale a rivotare per i candidati del proprio partito.

I democratici sono preoccupati di perdere il controllo della Camera, dove servono 218 deputati per raggiungere la maggioranza.  Per raggiungere quota 218, i democratici devono assolutamente conquistare ventiquattro dei trentanove seggi ancora “in bilico”. La direzione del partito sembrerebbe proiettata verso una strategia che tende a sostenere in modo massiccio tutti quei candidati adesso in carica e alcuni di quei esordienti che hanno ragionevoli possibilità di vincere contro candidati repubblicani in carica o esordienti.  Il deputato del Maryland, Chris Van Hollen, capo del Comitato elettorale democratico, è fiducioso che il sostegno che il partito nazionale darà ai candidati democratici sarà sufficiente per impedire che i repubblicani si addentrino troppo all’interno dei “territori” democratici.  Il comitato elettorale ha impegnato almeno 52 milioni di dollari (pari a circa 40 milioni di Euro) per pubblicità televisiva per sostenere direttamente i candidati democratici durante gli ultimi giorni di campagna elettorale.  La direzione democratica è al lavoro per sostenere in particolare alcuni dei veterani del partito che in questo momento sono in difficoltà, come il deputato del Colorado, John Salazar, quello della Georgia, Sanford Bishop, Phil Hare dell’Illinois, Joe Donnelly dell’Indiana, e in particolare il presidente della commissione forze armate della Camera, il deputato del Missouri, Ike Skelton.  Leggi tutto l’articolo

Un mondo senza armi nucleari: la strada per Washington passa da Praga

Diana De Vivo

“La protesta pacifica getta le basi per un impero. Ed è più potente di qualsiasi altra arma”, tuona Barack Obama, circa un anno fa, dinnanzi a 30 mila persone radunate in piazza Hradcani, Praga, a margine del vertice Usa-UE del 5 Aprile 2009.

Dinnanzi all’asimmetria delle minacce attuali, attori non-statali che si muovono ai confini degli Stati, il Presidente statunitense materializza la speranza di un mondo senza armi nucleari e inaugura l’impegno di mettere in sicurezza tutto il materiale nucleare in un tempo massimo di quattro anni.
L’esistenza di arsenali nucleari è, oggigiorno, l’eredità più pericolosa della Guerra Fredda quando intere generazioni hanno vissuto con la perpetua consapevolezza che il mondo potesse essere distrutto in pochi istanti, quando la deterrenza era declinata quale “Mutual Assured Destruction”.

A pochi giorni dal Nuclear Security Summit di Washington, che ha riunito 47 Capi di Stato, appuntamento di incomparabile rilevanza politico-strategica, in cima all’agenda internazionale di Obama, l’Iran inaugura oggi il cantiere di un nuovo sito per l’arricchimento dell’uranio, con la promessa, palesata dinnanzi agli occhi inermi della comunità internazionale, di completare, a fine novembre, la costruzione di dieci nuovi siti. leggi tutto l’articolo

L’ora della verità — un autunno pieno di sfide per Obama

Anthony M. Quattrone

U.S. President Barack Obama shakes hands after a town hall meeting on healthcare inside a hangar at Gallatin Field in Belgrade, Montana, August 14, 2009. REUTERS/Larry Downing
U.S. President Barack Obama shakes hands after a town hall meeting on healthcare inside a hangar at Gallatin Field in Belgrade, Montana, August 14, 2009. REUTERS/Larry Downing

Il presidente americano è in ferie in questo momento, godendosi un meritato ma breve periodo di riposo con la sua famiglia.  E’ riuscito ad incassare, prima della pausa estiva del Congresso la conferma della giudice Sonia Sotomayor alla Corte suprema.  La Sotomayor è il primo giudice di origine ispanica ed è la terza donna ad approdare alla massima corte americana.  La nomina della Sotomayor, ottenuta il 6 agosto 2009, con una larga maggioranza di 68 senatori contro 31, ha visto ben 9 repubblicani votare assieme ai 59 democratici presenti in aula (il sessantesimo democratico, Ted Kennedy, era assente a causa delle sue gravi condizioni di salute), facendo sperare che Obama potesse ancora ottenere anche l’appoggio dei repubblicani più moderati nelle iniziative politiche che andranno dibattute al ritorno dalle ferie.

Non è certo che Obama riesca ad ottenere un appoggio bipartisan nella formulazione di un piano per la riforma del sistema sanitario.  E’ stato già particolarmente difficile per i democratici ricucire le divisioni interne al partito su come finanziare la riforma sanitaria.  La componente fiscalmente conservatrice del partito non ha esitato a bloccare qualsiasi proposta di riforma che prevedeva un aumento del deficit statale, e il possibile aumento delle tasse per i contribuenti.  Obama avrebbe voluto licenziare la riforma prima della pausa estiva del Congresso, ma dovrà considerarsi fortunato se riuscisse a portare a termine il progetto entro la fine dell’anno.  Ai primi di agosto, la maggioranza democratica della Camera ha votato a favore di un pacchetto di proposte per riformare il sistema sanitario, riuscendo ad alienare sia i repubblicani sia la componente liberal della sinistra del partito democratico.  Il Senato, invece, ha affidato il compito di sviluppare una proposta condivisa di riforma ad un gruppo di sei senatori, tre democratici e tre repubblicani, già soprannominati la “banda dei sei”.

Gli strateghi democratici hanno fatto notare ad Obama che, ad ogni incontro aperto al pubblico sul tema della riforma sanitaria, partecipano attivamente gruppi molto ben organizzati contrari a qualsiasi progetto che potesse togliere potere alle varie parti dell’industria medica.  Questi attivisti, probabilmente finanziati dalle diverse lobby dell’industria medica, stanno vincendo nella battaglia per convincere l’opinione pubblica ad opporsi al piano di riforma voluta dal presidente.  Il presidente ha incoraggiato, pertanto, gli attivisti democratici e coloro che sono a favore della riforma, di rimboccarsi le maniche, e di reagire con forza per smascherare eventuali provocazioni da parte delle lobby della sanità.  Obama ha incoraggiato i membri del Congresso a non rimanere passivi dinnanzi alle iniziative provocatorie da parte di coloro che vogliono bloccare qualsiasi tentativo di riforma. Leggi tutto l’articolo

I primi cento giorni di Obama

Popolarità ai massimi storici per il presidente americano

President Barack Obama greets guests at the "White House to Light House" Wounded Warrior Soldier Ride ceremony on the South lawn at the White House in Washington April 30, 2009. REUTERS/Jim Young
President Barack Obama greets guests at the "White House to Light House" Wounded Warrior Soldier Ride ceremony on the South lawn at the White House in Washington April 30, 2009. REUTERS/Jim Young

Anthony M. Quattrone

I primi cento giorni della presidenza di Barack Obama sono stati caratterizzati dalla frenetica attività del giovane presidente e di tutto il suo governo, nel portare avanti un programma di cambiamento nella politica americana. La data dei primi cento giorni non ha nessun riferimento legale o istituzionale in America, ma è diventato un punto di riferimento per comprendere lo stile, e per tracciare alcune traiettorie che andranno a caratterizzare i rimanenti tre anni e nove mesi di un primo mandato presidenziale.

E’ con la presidenza di Franklin Delano Roosevelt che gli americani sentirono parlare, per la prima volta, dei “primi cento giorni” di una presidenza, perché il nuovo presidente, proprio all’inizio della sua amministrazione, lanciò un rilevante numero di nuovi programmi, particolarmente audaci, per risollevare l’America della Grande Depressione. Roosevelt, come Obama oggi, si trovò ad affrontare una forte crisi bancaria ed un’enorme massa di americani senza lavoro. Nel caso di Roosevelt, però, il periodo dei cento giorni non partì con l’inaugurazione del 20 gennaio 1933, ma dall’inizio del mese di marzo e si concluse a metà giugno. Gli storici dibattono ancora sulla reale utilità delle misure economiche attuate da Roosevelt, ma nessuno nega l’importanza dello stimolo psicologico che l’attivismo presidenziale creò, e che, senza dubbio, aiutò il paese a risorgere.

Solo il presidente Ronald Reagan, nei primi cento giorni della sua presidenza, dal 20 gennaio al 29 aprile 1981, riuscì ad eguagliare Roosevelt nell’implementare un radicale cambio di rotta, tale da risollevare il paese dalla stagnazione, che si manifestava non solo in campo economico, ma forse anche in quello militare, con riflessi nella politica estera. Nell’arco dei primi 100 giorni, Reagan riuscì a far approvare dal Congresso il taglio delle tasse, nuove priorità di spesa, e una generale capitalizzazione del bilancio della difesa. Molti opinionisti americani attribuiscono a Reagan il merito di un lungo periodo di crescita dell’economia americana, e anche lo sgretolamento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia.

Obama, come Roosevelt 76 anni fa, cerca di riformare il capitalismo americano per salvarlo, non per sovvertirlo. Secondo il professor Allan Lichtman dell’American University, “Obama ha attuato grandi cambiamenti, ma sempre all’interno del normale arco conservatore-progressista. Si, il pendolo è oscillato, ma dalla corrente principale conservatrice, a quella principale del liberalismo”. Obama non ha nazionalizzato le banche, ma ha negoziato l’acquisto dei loro titoli “tossici”. Obama non cerca di sostituire le assicurazioni mediche private con un’assicurazione governativa, ma cerca di mettere proprio le assicurazioni al centro del nuovo piano che dovrebbe garantire a tutti gli americani la copertura sanitaria. E anche sulla questione delle tasse, Obama non vuole alzare le tasse per il 95 percento degli americani, ma solo per il 5 percento, riportandoli alle quote pagate quando era presidente il repubblicano, idolo dei conservatori, proprio Ronald Reagan.

Secondo William Galston, un ricercatore della Brookings Institution, un ex collaboratore del presidente democratico Bill Clinton, “Obama è un Reagan con il segno negativo”. Per il ricercatore, oggi Obama “sta tentando di disfare e annullare il reaganismo e Reagan stesso”, così come Reagan tentò di smontare completamente il sogno del presidente democratico Lyndon B. Johnson, di creare una “Grande Società” americana, finanziata dal governo. In pratica, Obama sta cercando di invertire un detto di Reagan, che stabiliva che “il governo non è parte della soluzione, ma è il problema”. Oggi, anche per molti conservatori americani, con l’eccezione dei liberisti puri, il governo non è il problema, ma è necessariamente l’ancora di salvezza dell’economia. Le differenze fra conservatori e liberal riguardano, semmai, più il grado dell’intervento governativo, ma non dell’intervento stesso. Leggi tutto l’articolo

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