È tornata l’America degli ideali e della speranza

Joe Biden ha prestato giuramento il 20 gennaio 2021 diventando il 46mo presidente degli Stati Uniti d’America.  È significativo che la sobria cerimonia presidenziale si sia svolta sulle scale del Congresso. Le stesse, dove, solo 14 giorni prima, i sostenitori di Donald Trump avevano inscenato una rivolta sediziosa.

Nel discorso d’insediamento, Biden si è rivolto agli americani appellandosi ai loro sentimenti, alla loro etica individuale; ciò affinché superino le profonde divisioni sociali ed economiche emerse durante l’attuale contingenza, condizionata dalla pandemia, così come dall’incertezza economica, ma anche dalle tensioni razziali e, non ultimo, dal profondo impeto anti-istituzionale creato dalla diffusione delle bugie di Trump.

Biden ha scelto di sottolineare nel suo discorso alcune parole che ha ripetuto spesso: “amore”, così come “unità”; nel contempo non ha mancato di citare “i suprematisti bianchi”, “l’estremismo”, “la pandemia” e “l’iniquità”.  Ha parlato senza alcuna esitazione delle ingiustizie e delle difficoltà che affliggono gli americani.  Ha voluto mettere in evidenza che sarà il Presidente di tutti gli americani, promettendo di lottare duramente per coloro che non lo hanno sostenuto come per quelli che l’hanno fatto.  Parole concrete pregne di ideali, che hanno dato forma ai suoi pensieri nobili.  Biden ha anche detto:

“Oggi, tutta la mia anima è in questo: riunire l’America, unire il nostro popolo, unire la nostra nazione. E chiedo a ogni americano di unirsi a me. Unirsi per combattere i nemici che ci affrontano: rabbia, risentimento, odio, estremismo, illegalità, violenza, malattie, disoccupazione e disperazione. Con l’unità possiamo fare grandi cose, cose importanti.”

L’America con Biden rifiuta l’attacco allo Stato di Diritto e prosegue nel suo cammino democratico nonostante la violenza dell’estremismo di destra culminata con l’assalto al Congresso.

È tornata l’America dell’etica, della solidarietà e della fiducia in un mondo migliore.

Il messaggio di speranza nel futuro e nel rinnovamento è arrivato ancora più forte dalla giovane poetessa Amanda Gorman, che ha declamato la poesia scritta per l’insediamento presidenziale.  Gorman è una ventiduenne nera che combatte fin da bambina difetti di pronuncia, che ha vinto diversi premi letterari e, che nell’aprile 2017, vince la prima edizione del titolo ”National Youth Poet Laureate”.  Il testo di “The Hill We Climb” (“La collina che scaliamo”) è un inno alla fiducia, alla speranza, per un’America che riesca a costruire un’unione più completa, più vera, che esca dal buio della pandemia, della violenza razziale e dell’abuso di potere.

Gli ultimi versi del poema della Gorman sono un augurio che traduce perfettamente quanto Joe Biden vuole fare per l’America.

“… fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.”

Questa è l’America della lotta per i diritti civili e sociali. Questa è l’America della “nuova frontiera” dei fratelli Kennedy, della lotta non violenta di Martin Luther King, dello “Yes, we can” di Barack Obama.

L’America degli ideali e della speranza è tornata.

Pubblicato il 22 gennaio 2021 da “Il Denaro”

E se Trump rifiutasse di andarsene?

A mezzogiorno del 20 gennaio 2021, scadrà il mandato di Donald Trump e del vicepresidente Mike Pence. “Nello stesso momento”, come cita il ventesimo emendamento alla Costituzione Americana, inizierà il mandato di Joe Biden e del suo vice, Kamala Harris.

Regola semplice — non c’è nulla da interpretare e non sono previste eccezioni.

La durata del mandato presidenziale è di quattro anni ed è stabilito chiaramente dall’articolo 2 della Costituzione.

Tuttavia, non sembra che il dettato costituzionale possa scalfire in alcun modo la determinazione di Trump di rimanere alla Casa Bianca.  La sua logica è semplicissima: la consultazione elettorale dello scorso novembre non è valida perché fraudolenta, cioè lesiva dei diritti degli americani. Lui si sente l’unico in grado di tutelarli e quindi accusa tutti di fare parte di un colossale complotto per rimuoverlo; non risparmia nessuno, dai membri del suo partito e i ministri del suo governo, ai giudici costituzionali che lui stesso ha nominato. 

Voi potreste chiedermi: cosa succederebbe se a mezzogiorno del prossimo 20 gennaio Trump rimanesse nella Casa Bianca? Probabilmente non succederebbe nulla di eclatante da un punto di vista istituzionale. Lo stato di diritto prevarrebbe sul populismo, sul caos e sulla destabilizzazione. 

Infatti, in quel preciso momento, le Forze Armate passerebbero sotto il comando di Joe Biden, i codici nucleari scadrebbero e quelli nuovi verrebbero messi a disposizione del nuovo presidente, anche tutto l’apparato esecutivo del governo USA risponderebbe a lui.  A Trump rimarrebbe la scorta, a cura dei Servizi Segreti, prevista per gli ex presidenti e una pensione.  Nella remotissima ipotesi che non volesse uscire fisicamente dalla Casa Bianca, rischierebbe l’arresto e l’incriminazione per violazione di domicilio. 

E’ gravissimo, invece, il tentativo perpretato da Trump per impedire a Joe Biden di iniziare il suo mandato senza compromettere la continuità dell’attività di governo del Paese.    

Biden ha denunciato, in un discorso del 28 dicembre 2020 trasmesso dai maggiori canali televisivi USA e dai social, l’assenza di collaborazione da parte di Trump e dei suoi più fedeli collaboratori nel passaggio delle consegne.  Per Biden, per esempio, è inaccettabile che Trump abbia impedito al Dipartimento della Difesa e all’intelligence di collaborare con lui e il suo governo.  Biden dovrà contare sull’efficienza, la fedeltà e il patriottismo di migliaia di dipendenti federali, civili e militari, per colmare il vuoto creato da Trump e riguadagnare il terreno perso in questi mesi, per quanto riguarda la transizione, ma anche quello perso nel corso degli ultimi quattro anni nei rapporti con i maggiori alleati internazionali.

Nonostante Trump, Il 20 gennaio si svolterà pagina.

Lo stato di diritto prevarrà. L’America tornerà ad avere un Presidente che non utilizza il suo tempo su Twitter e sui social in genere, offendendo minoranze, giornalisti, donne, avversari.

L’azione di Trump, ha probabilmente rafforzato il senso civico e la fiducia nella Costituzione dei funzionari dello Stato che hanno resistito a ogni tipo di pressione ed hanno dimostrato lealtà verso le istituzioni e quindi verso il popolo americano.

Il giornalista Chris Cuomo, durante il suo “talk show” trasmesso dalla CNN il 23 dicembre 2020, ha descritto Trump come un virus iniettato nel sistema per infettarlo, per renderlo debole.  Come un corpo che sviluppa gli anticorpi quando viene a contatto con un virus, lo stato di diritto negli USA si è difeso. Ha vinto ed è più forte. Il 20 gennaio 2021 ci sarà la pacifica transizione dei poteri a Joe Biden.

Pubblicato da “Il Denaro” il 30 dicembre 2020.

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Didascalia della foto:
John Fitzgerald Kennedy presta il giuramento come 35mo Presidente alla presenza del Presidente della Corte Suprema. Earl Warren. sulle scale del Congresso, Washington, il 20 gennaio 1961. (foto: STF/AFP/Getty)

Gli indiani d’America al centro dell’attenzione del Governo Biden

Joe Biden e Kamala Harris hanno coinvolto i vertici dei nativi americani durante la campagna elettorale. È interessante notare infatti che, nell’affrontare temi legati alle istituzioni locali, quindi che richiedevano un coinvolgimento dei governatori dei 50 Stati americani, entrambi hanno sempre incluso tra questi i leader delle tribù e delle nazioni indiane.  Si appellavano a loro mettendoli alla pari dei governatori. I nativi americani sono oltre cinque milioni, di cui 78% vive fuori dalle riserve.

Le 574 tribù indiane, riconosciute ufficialmente dal governo federale americano, avranno, quindi, in Joe Biden e Kamala Harris dei riferimenti istituzionali attenti ai loro bisogni e rispettosi della loro storia, identità e tradizioni.  Più di 374 trattati, stipulati ad oggi, in oltre duecento anni, definiscono il livello di sovranità garantito alle diverse tribù e nazioni native, regolamentano la gestione dei territori, e declinano i diritti dei nativi all’interno della più vasta Nazione americana.  Purtroppo, molto spesso i trattati non sono stati rispettati completamente dal Governo Americano.

Biden e Harris hanno promesso durante la campagna elettorale di far tornare la questione indiana al centro dell’attenzione del nuovo governo. La nomina a Ministro degli Interni della deputata nativa americana, Deb Haaland, è un chiaro segnale della loro determinazione.

Inoltre, qualora confermata dal Senato, questa nomina rappresenterà la prima opportunità per un esponente di una tribù o nazione nativa di partecipare attivamente nel governo degli USA, e per di più alla direzione di un Ministero.

L’Interior Department, si occupa della gestione dei parchi nazionali, delle riserve, delle risorse naturali e di tutto il patrimonio forestale, nonché dei programmi per le minoranze etniche. Il Ministro degli Interni in America, contrariamente a quanto avviene in quasi tutti gli altri Stati del Mondo, non gestisce la sicurezza pubblica e non ha alle sue dipendenze le forze dell’ordine.  Negli USA, queste responsabilità sono assegnate al Department of Homeland Security (dipartimento della sicurezza della nazione).

Deb Haaland è stata eletta deputato in una circoscrizione del New Mexico e appartiene ad una antica tribù nativa, riconosciuta dal governo federale con il nome “Pueblo of Laguna”.  La sua nomina a Ministro del governo federale, tuttavia, espone a dei possibili rischi la maggioranza alla Camera, confermata dai democratici nelle votazioni dello scorso novembre.  Vediamo perché: i democratici hanno 222 deputati, quindi, solo 4 oltre quota 218, che rappresenta il numero necessario per controllare la Camera.  Poiché Biden ha prelevato dalla Camera anche i deputati Cedric Richmond della Louisiana e Marcia Fudge dell’Ohio oltre alla nativa americana Deb Haaland e poiché la legge Americana non prevede la loro sostituzione immediata, i democratici alla Camera saranno ridotti a 219, cioè solo uno in più rispetto alla quota che serve per avere la maggioranza. 

L’attuale presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, è sicura che i democratici riusciranno a sostituire i tre deputati in occasione delle elezioni suppletive, le cui date non sono ancora state stabilite. Tuttavia, è preoccupata per quanto potrebbe accadere fra il 20 gennaio 2021, data in cui i tre deputati diventeranno ufficialmente parte del governo Biden, e quando si svolgeranno le elezioni suppletive.

Biden e Harris hanno promesso ai nativi americani di rafforzare il rapporto diretto fra il Governo Federale e le Nazioni indiane, con un approccio “Nation-to-Nation”.  Si propongono di ridurre la disparità di trattamento che affligge i nativi rispetto agli altri cittadini soprattutto in materia di assistenza sanitaria. Si prefiggono di restituire ai nativi la competenza sui territori da loro occupati, con particolare attenzione al cambiamento climatico e alla salvaguardia dei beni naturali e culturali delle diverse tribù e nazioni.  Intendono attuare tutte le iniziative necessarie per aumentare la sicurezza delle comunità native, specialmente la tutela delle donne, dei bambini e degli anziani.  Specifiche iniziative saranno adottate per aumentare lo sviluppo economico nelle comunità native e assicureranno maggiore tutela al loro diritto al voto. I veterani nativi saranno commemorati per i servizi resi nelle forze armate USA.

Sicuramente la nomina di Deb Haaland al Ministero degli Interni rappresenterà una decisa inversione di tendenza rispetto alle politiche attuate dal governo di Donald Trump nella gestione dell’ambiente e del patrimonio naturale americano. I nativi d’America sono stati protagonisti di numerose proteste e durissimi confronti nei territori indiani contro il passaggio di oleodotti irrispettosi dell’ambiente, contro lo sfruttamento indiscriminato e irragionevole delle risorse idriche e contro il fracking.

La maggioranza dei nativi americani ha sostenuto e votato Joe Biden e Kamala Harris, ora si aspettano una risposta leale, in controtendenza rispetto alla slealtà ricevuta negli ultimi due secoli. Si aspettano provvedimenti per la salvaguardia dei loro diritti che siano sostanziali e duraturi. 

Pubblicato da “Il Denaro” il 20 dicembre 2020

Trump crea confusione fra i repubblicani

Le continue accuse di brogli e irregolarità che il Presidente Donald Trump rivolge al sistema elettorale americano rischiano di far perdere ai repubblicani la maggioranza al Senato.

Trump crea confusione fra i repubblicani insinuando che anche le elezioni del 5 gennaio 2021 saranno irregolari, in linea con le accuse che ha rivolto per le elezioni presidenziali che ha perso a novembre.


Il 5 gennaio 2021 si svolgerà il ballottaggio per due seggi di senatore in rappresentanza della Georgia, che determinerà quale partito controllerà il Senato americano. Lo scrutinio si terrà perché nessun candidato ha superato il 50% dei voti nelle elezioni del 3 novembre 2020, traguardo stabilito dalle leggi della Georgia per l’elezione al primo turno.


La campagna elettorale è in pieno svolgimento e i sondaggi confermano una sostanziale parità fra i concorrenti in gara. Nella prima competizione georgiana, il confronto è fra il democratico Jon Ossoff e il senatore uscente, il repubblicano David Perdue. Nella seconda, è fra il reverendo democratico Raphael Warnock e la senatrice uscente, la repubblicana Kelly Loeffler.


È chiaro che se Trump continua, in modo illogico, a scoraggiare i repubblicani dall’andare a votare mentre i democratici mirano a portare più persone alle urne, il risultato sarebbe scontato e devastante per i candidati repubblicani. Senza il voto dei sostenitori di Trump, è impossibile che Perdue e Loeffler possano essere riconfermati al Senato.


Si ricorda che in Georgia, uno stato a gestione repubblicana, Joe Biden ha vinto principalmente perché i democratici sono riusciti ad ottenere il sostegno delle minoranze, e in particolare sono stati premiati dal voto degli americani di origine asiatica e delle isole del Pacifico.


È ironico che Trump accusi di brogli e d’inefficienze il sistema elettorale in Georgia retto da repubblicani. Trump accusa il governatore repubblicano della Georgia, Brian Kemp, e i suoi assistenti di essere, di fatto, strumenti di poteri occulti che si annidano all’interno delle strutture pubbliche americane, il cosiddetto “deep state”, una specie di stato clandestino parallelo, teoria sostenuta dai complottisti della estrema destra di oltreoceano.


Ma vediamo perché la gara in Georgia è così importante. Ricordiamo in primo luogo che oltre ad aver vinto la Presidenza degli USA, i democratici hanno anche riconfermato la maggioranza alla Camera, dove possono contare su 222 deputati contro i 213 dei Repubblicani. Ora tocca al Senato dove, con le elezioni del 5 gennaio, se ne determinerà la maggioranza.


Facciamo qualche conto. Il Senato americano è composto da 100 senatori, ovvero due per ognuno dei 50 Stati dell’Unione. Il vice presidente degli Stati Uniti funge da presidente del Senato e, quando non si raggiunge una decisione a maggioranza, prevale il suo voto. Al momento, il nuovo Senato americano, risultante dalle elezioni dello scorso novembre, vede i repubblicani in vantaggio con 50 seggi, a seguire i democratici che, con 46 senatori propri e 2 senatori indipendenti, formano un’alleanza che al momento conta su 48 senatori. I senatori rimangono in carica per sei anni e ogni due anni si rinnova un terzo dei seggi.

Nella foto: i candidati democratici Raphael Warnock e Jon Ossoff durante un comizio a Marietta, Georgia, il 15 novembre 2020
(foto: Brynn Anderson – AP)


I due senatori che mancano all’appello saranno eletti, appunto, con il ballottaggio che si svolgerà in Georgia il 5 gennaio. Per ottenere la maggioranza, ai repubblicani basterà vincere uno solo dei due seggi in palio. Invece, i democratici dovranno vincere entrambi i seggi per raggiungere quota 50 e poi avvalersi del voto del vice presidente Kamala Harris per avere la maggioranza.


La strategia governativa di Joe Biden e Kamala Harris sarà fortemente influenzata da chi avrà il controllo del Senato. Se vincono i repubblicani, Biden e Harris dovranno governare nell’ottica del compromesso e sarebbe estremamente difficile mettere in atto molti dei programmi sociali proposti durante la campagna elettorale. Con la vittoria in Georgia, invece, si avrebbe il controllo dell’intero Congresso con la conseguente attuazione di larga parte del programma elettorale.


Cosa farà Trump durante il mese che manca all’appuntamento elettorale? Cercherà di aiutare il suo partito nel conservare il controllo del Senato, oppure continuerà a sparlare delle elezioni e divulgare maldicenze sul sistema elettorale americano, con il rischio di scoraggiare gli elettori repubblicani della Georgia dal partecipare al voto del prossimo 5 gennaio?


Per il momento, l’unica certezza è che Trump sta seminando confusione fra gli elettori repubblicani e un misto di rabbia e rassegnazione fra i dirigenti del suo partito.

Articolo pubblicato da “Il Denaro” il 7 dicembre 2020