La deriva antidemocratica del Partito Repubblicano americano

Oggi il Partito repubblicano americano ha fatto un nuovo decisivo passo verso il baratro del trumpismo. I repubblicani hanno ufficialmente censurato i deputati Liz Cheney e Adam Kinzinger per la loro partecipazione nella commissione di inchiesta della Camera che sta indagando sugli eventi legati all’assalto al Congresso, avvenuto il 6 gennaio 2021. Secondo i repubblicani, la commissione sta portando avanti una caccia alle strega contro “cittadini comuni impegnati in un legittimo dialogo politico”. Insomma, per il nuovo partito repubblicano, l’assalto armato contro la massima istituzione rappresentativa del popolo americano, il Congresso, rientrerebbe nella sfera di un legittimo dialogo politico.

Per alcuni Repubblicani di quello che fu il partito di Ronald Reagan, la deriva estremista dei sostenitori di Trump è totalmente inaccettabile. Il senatore Mitt Romney, candidato repubblicano alle presidenziali vinte da Barack Obama nel 2012, ha commentato duramente la censura comminata a Cheney e Kinzinger. Per Romney, “è una vergogna quando un partito decide di censurare persone coscienziose che cercano la verità subendo attacchi al vetriolo. Onore a Liz Cheney e Adma Kinzinger per la loro ricerca della verità a costo di grandi danni personali.”

La censura repubblicana segue l’attacco che Donald Trump ha sferrato contro il suo vice, Mike Pence, in una intervista televisiva dell’1 febbrario 2022. In quell’occasione, Trump ha accusato Pence di essersi rifiutato di sovvertire il risultato elettorale e, pertanto, secondo Trump, la commissione parlamentare sui fatti del 6 gennaio dovrebbe indagare Pence e non lui!!! La commissione, secondo Trump, dovrebbe chiedere a Pence “perché non abbia rispedito agli Stati i voti dei grandi elettori, chiedendo agli Stati di revisionare la loro certificazione”.

Mentre i repubblicani erano intenti a censurare Cheney e Kinziner, l’ex vicepresidente Mike Pence ha risposto per le rime alle accuse di Trump. Durante un discorso tenuto oggi presso la think tank conservatrice “The Federalist Society”, Pence ha dichiarato che “Trump si sbaglia – il vicepresidente non ha l’autorità di sovvertire le decisioni del popolo americano”. Per Pence, “la verità è che c’è molto più in gioco che il nostro partito o le nostre fortune politiche. Se perdiamo la nostra fiducia nella Costituzione, non perderemo solo le elezioni, ma perderemo il nostro Paese”. Per Pence, la proposta di Trump di sovvertire il risultato elettorale è “un-American”, cioè, è contrario allo spirito americano.

La battaglia per l’anima del Partito repubblicano americano è in pieno corso. Al momento, i sondaggi danno ai repubblicani un netto vantaggio per le elezioni del “mid-term” del prossimo novembre, quando si rinnoverà l’intera Camera e un terzo del Senato. Quale corrente del Partito prenderà il sopravvento? I repubblicani tradizionali alla Romney, Cheney e Kinzinger, o i fanatici trumpiani?.

Conflitto per l’anima del Partito Repubblicano Usa

E’ in corso una storica battaglia per il controllo del Partito Repubblicano fra la componente conservatrice istituzionale, capeggiata dal senatore Mitt Romney e la deputata Liz Cheney, e quella capeggiata dall’ex presidente Donald Trump che è influenzata dalla deriva conservatrice-populista che aderisce alle teorie del complotto.

Le due componenti hanno visioni simili sui temi economici e sociali, ma partono da posizioni diametralmente opposte riguardo all’interpretazione della realtà, al rispetto delle regole democratiche e degli avversari, ed infine alla validità dello stesso stato di diritto.

In campo economico, le componenti del partito repubblicano che abbiamo descritto sono contrarie al prelievo fiscale federale, fatta eccezione per le quello destinato alle spese militari; mentre tollerano il prelievo fiscale se destinato a finanziare attività locali, cioè allo stato di appartenenza.

I repubblicani sono di solito allineati sulle posizioni economiche espresse agli inizi degli anni 80 da Ronald Reagan negli USA e da Margaret Thatcher nel Regno Unito, fautori del neoliberismo e dell’abolizione delle numerose norme che a loro dire imbrigliavano il mondo economico-produttivo. I repubblicani sono, generalmente, fautori della limitazione del potere del governo centrale soprattutto in ambito economico, infatti, ogni qualvolta sia previsto dalla costituzione, ricorrono al trasferimento di funzioni e responsabilità ai 50 Stati che formano l’Unione, e lottano per impedire al Governo Federale di accentrarle.

Sulle questioni sociali e sui temi dei diritti civili, quali l’aborto, la costituzione di coppie non tradizionali, l’omosessualità, l’uso delle droghe leggere e così via, il partito repubblicano fatica, al suo interno, a trovare una posizione condivisa fra quella oltranzista della destra religiosa, tradizionalmente sostenuta dagli stati del Sud e del Centro degli Stati Uniti, e quella della componente socialmente più aperta  che è propria dei repubblicani delle grandi città, specialmente quelle che si trovano sulle due coste americane.

Il partito è anche influenzato da una contraddizione che nasce dall’antipatia della destra religiosa nei confronti dei possidenti miliardari, considerati cattivi esempi da un punto di vista morale, ma comunque agevolati dalle iniziative repubblicane che facilitano i loro affari.

All’interno della già complessa galassia delle componenti che formano il partito repubblicano sulla base degli interessi che le accomunano, ne è comparsa, da qualche anno, una trasversale che le abbraccia tutte grazie alle teorie dei complotti, sposate in primo luogo dai più convinti sostenitori di Donald Trump.

Questa componente è alimentata da una ulteriore varietà di sottogruppi, quello che crede che sia in atto un complotto da parte di ricchi ebrei che utilizzano laser diretti dallo spazio per causare incendi in California, quello che sostiene che Hillary Clinton, Joe Biden e tutta la direzione democratica facciano parte di una cerchia mondiale di pedofili responsabili per la morte di tanti bambini, con l’intento di bere il loro sangue, e molti altri ancora.

Inoltre, il partito repubblicano è sostenuto dai seguaci di QAnon che sostengono l’idea che ci sia uno “stato ombra”, il cosiddetto “Deep State”, che controlla il governo federale americano dal suo interno; sempre secondo QAnon, Donald Trump è’ l’unico che si batte per liberare l’umanità dalla schiavitù imposta da funzionari civili e militari infedeli e corrotti. Anche i no vax hanno partecipato a questa kermesse dando un grande sostegno a Trump nel diffondere teorie rispetto alla “bufala” del COVID-19. Capita anche che gruppi complottisti, senza una particolare finalità e non collegati agli altri,  abbiano come unico legame la fedeltà nei confronti di Donald Trump e un fanatismo religioso estremista liberamente tratto dagli insegnamenti cristiani elaborati, per i loro scopi, dalla interpretazione suprematista bianca.

Con questi presupposti, si è arrivati alle due difficili decisioni prese dal partito repubblicano il 5 febbraio 2021. In primo luogo ha bloccato la componente complottista ed estremista dal rimuovere Liz Cheney dal suo ruolo di leader dei repubblicani alla Camera; la sua colpa era di aver votato a favore dell’impeachment di Donald Trump per aver incitato l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021. Poi, ha rigettato la condanna richiesta dai democratici nei confronti di Marjorie Taylor Greene, una neo deputata complottista della Georgia, che ha più volte avallato dichiarazioni inneggianti all’esecuzione fisica di Nancy Pelosi e altri leader democratici, negando l’attentato contro il Pentagono l’11 settembre 2001, e denunciando come false le stragi di studenti avvenuti negli ultimi anni, organizzate ad arte secondo la deputata, per limitare il diritto degli americani a possedere armi. Nessun repubblicano ha votato a favore della rimozione della deputata dalle commissioni a cui era stata designata dal partito. Insomma, la direzione repubblicana ha dovuto mediare per trovare un compromesso e tenere unita la sua rappresentanza al Congresso.

Rimane ancora un’incognita il ruolo che Donald Trump svolgerà nel partito repubblicano da oggi fino, in particolare, al novembre 2022 quando si svolgeranno le elezioni parlamentari “mid-term” quando sarà rinnovata l’intera Camera e un terzo del Senato.

Molti politici democratici auspicano un ritorno del partito repubblicano a posizioni conservatrici “normali” o “tradizionali” affinché si garantisca negli USA uno sano dibattito fra il centrosinistra e il centrodestra, negli interessi della Nazione. Ma, se la componente estremista e complottista guidata da Donald Trump continuerà nella sua costante ascesa all’interno del Partito Repubblicano, non rimarrà più nulla di quello che fu il partito di Abraham Lincoln e di Ronald Reagan. E sarà una sconfitta per la democrazia.

Pubblicato da “Il Denaro” online l’8 febbraio 2021

Obama vince in linea con le previsioni dei sondaggi

Il Senato a maggioranza democratica, la Camera ai repubblicani

Supporters cheer at the end of President Barack Obama remarks during an election night party, early Wednesday, November 7, 2012, in Chicago. Obama defeated Republican challenger former Massachusetts Gov. Mitt Romney. (Matt Rourke/AP Photo)

Anthony M. Quattrone

I dati oggettivi che emergono dalle elezioni americane del 6 novembre 2012 sono la riconferma di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti, il controllo del Senato da parte dei democratici, quello della Camera da parte dei repubblicani, la vittoria dei democratici per 6 incarichi di governatore e dei repubblicani per 4.

Barack Obama ha ottenuto 51,25% del voto popolare e 332 voti del collegio elettorale, vincendo in 26 stati e nel Distretto di Columbia, mentre il candidato repubblicano, Mitt Romney, ha ricevuto il 48,75 del voto popolare e 206 voti elettorali, vincendo in 24 stati.  La vittoria di Obama è netta sia per quanto riguarda il voto popolare, con quasi tre milioni di preferenze in più, sia nel collegio elettorale con uno scarto di 126 punti.

Sembrerebbe che i giovani, le donne, le minoranze e gli operai delle zone industriali del Paese formino la base della nuova “coalizione vincente” che ha permesso a Obama di vincere negli stati “ballerini” come Ohio e Virginia.  L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, non è riuscito ad allargare la base elettorale tradizionale dei repubblicani, formata dalle popolazioni bianche del sud, dalla destra religiosa, e dai conservatori moderati – una base che oggi è sempre più minoritaria rispetto ai nuovi gruppi che emergono da un’America in piena transizione demografica.  Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e giornalista del NY Times, ha scritto sul giornale newyorchese all’indomani delle elezioni che “Per molto tempo, quelli di destra – e alcuni opinionisti- hanno sostenuto l’idea che la ‘vera America’, cioè tutto quello che contava davvero, fosse quella delle popolazioni bianche non urbane, cui entrambe partiti avevano l’obbligo di sottomettersi. Nel frattempo, la vera America stava diventando diversa da un punto di vista etnica e razziale, e anche maggiormente tollerante. La coalizione di Obama del 2008 non è stato un caso, era il paese che stiamo diventando.”

Al Senato erano in palio 33 dei 100 seggi che formano l’assemblea.  In questa tornata, i democratici hanno raggiunto quota 53, mentre i repubblicani sono scesi a 45.  Sono stati eletti due senatori indipendenti che molto probabilmente entreranno nel “caucus” democratico al Senato.  Alla Camera, dove erano in palio tutti i 435 seggi che formano l’assemblea, i repubblicani hanno ottenuto di nuovo la maggioranza, superando ampiamente la soglia di 218 deputati.  Per il momento, i repubblicani avrebbero 234 deputati, contro i 195 per i democratici, con sei seggi ancora da attribuire.  E’ interessante notare, tuttavia, che mentre i democratici hanno ottenuto un voto popolare più alto dei repubblicani, questi ultimi hanno guadagnato più seggi.  Il sistema elettorale americano non si basa sulla proporzione del voto popolare per la determinazione dei seggi da assegnare alla Camera, bensì sulla competizione diretta fra i diversi candidati in ciascuno dei 435 distretti elettorali.  Pertanto, la Camera USA vedrà una maggioranza di deputati repubblicani a fronte di una maggioranza di voto popolare ottenuto dai democratici.

Nelle undici competizioni elettorali per la carica di governatore, i democratici hanno vinto di nuovo in Delaware, Missouri, Montana, New Hampshire, Vermont, Washington e West Virginia, mentre hanno ceduto ai repubblicani l’incarico in Nord Carolina.  I repubblicani hanno vinto di nuovo in Indiana, Nord Dakota, e Utah.

Per valutare quanto spazio di manovra abbia Obama nel portare avanti la sua politica di riforme, sarà necessario comprendere il rapporto di forza fra progressisti e conservatori nel nuovo Congresso – un rapporto che non segue necessariamente la divisione fra democratici e repubblicani. Già nel 2008, quando sembrava che Obama avesse una solida maggioranza al Congresso, si comprese subito che i conservatori eletti nel partito democratico avrebbero formato un unico blocco con i loro colleghi repubblicani, per sbarrare la strada a qualsiasi progetto di riforma, anche leggermente progressista.  La riforma sanitaria fortemente voluta dal Presidente non è altro che il frutto di un compromesso fra la minoranza formata dai democratici liberal e progressisti e la maggioranza conservatrice formata da repubblicani e democratici di destra.

Ora sarà interessante vedere come si comporterà il 113mo Congresso quando sarà inaugurato il prossimo 3 gennaio.  Fra meno di due anni, si svolgeranno le elezioni di mid-term e saranno di nuovo messe in palio i 435 seggi alla Camera e un terzo dei 100 seggi al Senato.  Oggi il Congresso ha un gradimento sotto di sotto al 20% e molti cittadini incolpano senatori e deputati per le divisioni politiche e l’incapacità di portare a termine le riforme.  Il presidente Obama ha il vantaggio che non dovrà più prestare attenzione agli indici di gradimento, perché non è possibile un terzo mandato, e, pertanto, avrà le mani libere che potrà usare per mettere una forte pressione sui senatori e sui deputati per raggiungere accordi necessari per rilanciare l’America.

Cinque giorni alle elezioni USA

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama with New Jersey Governor Chris Christie
Photo of Christie/Obama – @Chris_Moody, via Twitter

Mancano solo cinque giorni alle elezioni americane e la competizione per la Casa Bianca vede il presidente in carica, Barack Obama, e lo sfidante repubblicano, Mitt Romney, battersi per conquistare il voto dei cittadini negli undici stati “ballerini”, quelli che determineranno chi sarà il prossimo presidente americano.  Alla fine dei giochi, non importerà chi avrà la maggioranza del voto popolare, ma chi avrà superato 270 voti elettorali dei 538 in palio, assegnati a ciascuno stato in base alla popolazione.  Nei diversi stati, chi ottiene la maggioranza del voto popolare vince tutti i voti elettorali assegnati a quello stato.  Obama avrebbe, secondo la media dei sondaggi nazionali, 201 voti elettorali “sicuri” contro i 191 per Romney.  Dei 146 voti rimanenti, i sondaggi darebbero 89 a Obama, portandolo a quota 290, e 57 a Romney, il quale raggiungerebbe quota 248.

Il margine di vittoria di Obama nei sondaggi degli otto stati dove sarebbe vincente, tuttavia, è ben all’interno del margine d’errore dichiarato dai sondaggisti. In breve, il presidente deve continuare un’intensa campagna specialmente in Ohio, con i suoi 18 voti, in Pennsylvania, con 20, Wisconsin con 10, Nevada con 6, e Michigan con 16.  Con la vittoria in questi cinque stati, Obama raggiungerebbe quota 271.  Ma Obama deve essere anche pronto in caso che Romney riuscisse nel conquistare l’Ohio, togliendo 18 voti al presidente, nel rimpiazzare quei voti con quelli del Colorado (9), Iowa (6) e New Hampshire (4), per un totale di 19 voti, che lo porterebbero oltre l’asticella di 270.

Molti commentatori americani, analizzando il potenziale effetto dell’uragano Sandy sul risultato delle elezioni americane, hanno notato che se da un lato Obama ha sicuramente guadagnato punti fra gli elettori per la sua impeccabile gestione dell’emergenza, con tanti complimenti ricevuti anche da acerrimi avversari politici del calibro del governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie, dall’altro lato sembra che il presidente rischi di perdere le elezioni in Ohio e Virginia perché le contee maggiormente colpite dal maltempo, dove la popolazione potrebbe non riuscire ad andare a votare, sono quelle che hanno una maggioranza elettorale democratica.  L’Ohio e la Virginia potrebbero passare da un candidato all’altro, determinando chi sarà il futuro presidente, per pochi voti.

Mentre i candidati continuano a fare comizi e raduni in particolare negli stati ballerini, i commentatori sono attenti alle notizie che provengono dall’economia.  Ogni notizia positiva può spingere l’ago della bilancia a favore di Obama, mentre quelle negative possono aumentare le possibilità dello sfidante.   Pochi giorni fa sono stati diramati dall’Università del Michigan i dati che indicano l’ aumento della fiducia dei consumatori rispetto al mese precedente, raggiungendo la quota più alta degli ultimi cinque anni. Ora si aspettano i dati sull’occupazione, che saranno diramati venerdì, 2 novembre 2012.

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