Scheda tecnica: Le elezioni di mezzo mandato negli USA

Tony Quattrone

Le elezioni USA del prossimo 8 novembre vedranno il rinnovo di un terzo del Senato e di tutta la Camera.  Saranno in gara anche 36 cariche di Governatore dei 50 Stati che compongono l’Unione e le cariche di Governatore di tre Territori sotto giurisdizione USA (Guam, le Isole Marianne Settentrionali, e le Isole Vergini americane).

Attualmente, il Senato americano è composto da 48 senatori democratici a cui si aggiungono 2 indipendenti che votano regolarmente con i democratici, contro 50 repubblicani per un totale di 100.  La Vice Presidente Kamala Harris funge da Presidente del Senato e, quando una votazione porta al pareggio, il suo voto aggiuntivo concede ai democratici la maggioranza.   Ogni Stato esprime 2 Senatori indipendentemente dal numero di residenti.  Pertanto, uno Stato popoloso come la California, con 39 milioni di abitanti, e uno meno come il Wyoming, con 580 mila, hanno lo stesso numero di Senatori, cioè due a testa.  I Senatori restano in carica per 6 anni e ogni due anni un terzo del Senato si rinnova. 

La Camera è composta da 435 deputati eletti in gare uninominali in ciascuno dei 435 distretti elettorali in cui sono suddivisi i 50 stati.  Ogni Deputato rappresenta circa 700 mila persone che compongono un singolo distretto elettorale. L’intera Camera si rinnova ogni due anni.  Attualmente, la Camera conta una maggioranza democratica di 220 Deputati contro 212 repubblicani.  Tre seggi sono vacanti.

Le elezioni americane che si svolgono a metà del mandato quadriennale di un Presidente sono chiamate di “midterm”, cioè, di mezzo mandato.  Tradizionalmente, il partito del Presidente in carica perde queste elezioni.  Quest’anno, con la presidenza del democratico Joseph Biden, la tradizione vorrebbe una vittoria dell’opposizione repubblicana sia al Senato sia alla Camera. 

Le indicazioni dei sondaggi a circa due settimane dal voto sono, invece, incerte. Fino a qualche mese fa, l’ondata vittoriosa dei repubblicani era data per certa, ma, con la decisione del 24 giugno 2022 della Corte Suprema, formata da una maggioranza di giudici conservatori, di rimuovere le garanzie costituzionali per il diritto all’aborto, un altissimo numero di donne e di giovani si sono iscritti alle liste elettorali.  Anche se l’inflazione, le cui cause sono addebitate alle politiche economiche democratiche, rimane il tema principale per moltissimi elettori, i diritti delle donne e la preoccupazione per l’avanzare dell’estremismo di destra istigato dall’ex presidente Donald Trump, hanno dato ai democratici la speranza di non perdere il Senato.

Nella corsa per ricoprire le 36 cariche di Governatore, si parte dalla situazione attuale con 20 repubblicani e 16 democratici. I sondaggi continuano a favorire i repubblicani che dovrebbero conservare le 20 cariche e forse conquistare qualcuno delle 16 attualmente ricoperte dai democratici.  Anche nel caso delle gare per i Governatori, si dovrà vedere l’effetto dell’alto numero di donne e giovani che si sono iscritti alle liste elettorali negli ultimi mesi.

L’economia americana continua a dare messaggi contradditori. Se da un lato sono stati creati milioni di posti di lavoro e la disoccupazione è ai minimi storici, dall’altro, l’inflazione causa notevoli problemi ai cittadini.  Gli economisti parlano di possibile recessione, ma, nel frattempo, l’economia ha ripreso a crescere.

Se i democratici perdessero il controllo della Camera e del Senato, l’intera piattaforma del Presidente Biden dovrebbe essere rivista, specialmente rispetto alle politiche energetiche, ai piani ecologici e alle proposte per ridurre il costo della spesa sanitaria dei cittadini.  Una maggioranza repubblicana bloccherebbe qualsiasi iniziativa del Presidente nel tentativo di creare le premesse per una debacle democratica nelle elezioni del 2024, quando si voterà per il Presidente, per l’intera Camera, per un terzo del Congresso e per 11 cariche di Governatore.

Image by Mary Pahlke from Pixabay

Pubblicato da “Il Denaro” online il 29 ottobre 2022

E se Trump rifiutasse di andarsene?

A mezzogiorno del 20 gennaio 2021, scadrà il mandato di Donald Trump e del vicepresidente Mike Pence. “Nello stesso momento”, come cita il ventesimo emendamento alla Costituzione Americana, inizierà il mandato di Joe Biden e del suo vice, Kamala Harris.

Regola semplice — non c’è nulla da interpretare e non sono previste eccezioni.

La durata del mandato presidenziale è di quattro anni ed è stabilito chiaramente dall’articolo 2 della Costituzione.

Tuttavia, non sembra che il dettato costituzionale possa scalfire in alcun modo la determinazione di Trump di rimanere alla Casa Bianca.  La sua logica è semplicissima: la consultazione elettorale dello scorso novembre non è valida perché fraudolenta, cioè lesiva dei diritti degli americani. Lui si sente l’unico in grado di tutelarli e quindi accusa tutti di fare parte di un colossale complotto per rimuoverlo; non risparmia nessuno, dai membri del suo partito e i ministri del suo governo, ai giudici costituzionali che lui stesso ha nominato. 

Voi potreste chiedermi: cosa succederebbe se a mezzogiorno del prossimo 20 gennaio Trump rimanesse nella Casa Bianca? Probabilmente non succederebbe nulla di eclatante da un punto di vista istituzionale. Lo stato di diritto prevarrebbe sul populismo, sul caos e sulla destabilizzazione. 

Infatti, in quel preciso momento, le Forze Armate passerebbero sotto il comando di Joe Biden, i codici nucleari scadrebbero e quelli nuovi verrebbero messi a disposizione del nuovo presidente, anche tutto l’apparato esecutivo del governo USA risponderebbe a lui.  A Trump rimarrebbe la scorta, a cura dei Servizi Segreti, prevista per gli ex presidenti e una pensione.  Nella remotissima ipotesi che non volesse uscire fisicamente dalla Casa Bianca, rischierebbe l’arresto e l’incriminazione per violazione di domicilio. 

E’ gravissimo, invece, il tentativo perpretato da Trump per impedire a Joe Biden di iniziare il suo mandato senza compromettere la continuità dell’attività di governo del Paese.    

Biden ha denunciato, in un discorso del 28 dicembre 2020 trasmesso dai maggiori canali televisivi USA e dai social, l’assenza di collaborazione da parte di Trump e dei suoi più fedeli collaboratori nel passaggio delle consegne.  Per Biden, per esempio, è inaccettabile che Trump abbia impedito al Dipartimento della Difesa e all’intelligence di collaborare con lui e il suo governo.  Biden dovrà contare sull’efficienza, la fedeltà e il patriottismo di migliaia di dipendenti federali, civili e militari, per colmare il vuoto creato da Trump e riguadagnare il terreno perso in questi mesi, per quanto riguarda la transizione, ma anche quello perso nel corso degli ultimi quattro anni nei rapporti con i maggiori alleati internazionali.

Nonostante Trump, Il 20 gennaio si svolterà pagina.

Lo stato di diritto prevarrà. L’America tornerà ad avere un Presidente che non utilizza il suo tempo su Twitter e sui social in genere, offendendo minoranze, giornalisti, donne, avversari.

L’azione di Trump, ha probabilmente rafforzato il senso civico e la fiducia nella Costituzione dei funzionari dello Stato che hanno resistito a ogni tipo di pressione ed hanno dimostrato lealtà verso le istituzioni e quindi verso il popolo americano.

Il giornalista Chris Cuomo, durante il suo “talk show” trasmesso dalla CNN il 23 dicembre 2020, ha descritto Trump come un virus iniettato nel sistema per infettarlo, per renderlo debole.  Come un corpo che sviluppa gli anticorpi quando viene a contatto con un virus, lo stato di diritto negli USA si è difeso. Ha vinto ed è più forte. Il 20 gennaio 2021 ci sarà la pacifica transizione dei poteri a Joe Biden.

Pubblicato da “Il Denaro” il 30 dicembre 2020.

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Didascalia della foto:
John Fitzgerald Kennedy presta il giuramento come 35mo Presidente alla presenza del Presidente della Corte Suprema. Earl Warren. sulle scale del Congresso, Washington, il 20 gennaio 1961. (foto: STF/AFP/Getty)

Gli indiani d’America al centro dell’attenzione del Governo Biden

Joe Biden e Kamala Harris hanno coinvolto i vertici dei nativi americani durante la campagna elettorale. È interessante notare infatti che, nell’affrontare temi legati alle istituzioni locali, quindi che richiedevano un coinvolgimento dei governatori dei 50 Stati americani, entrambi hanno sempre incluso tra questi i leader delle tribù e delle nazioni indiane.  Si appellavano a loro mettendoli alla pari dei governatori. I nativi americani sono oltre cinque milioni, di cui 78% vive fuori dalle riserve.

Le 574 tribù indiane, riconosciute ufficialmente dal governo federale americano, avranno, quindi, in Joe Biden e Kamala Harris dei riferimenti istituzionali attenti ai loro bisogni e rispettosi della loro storia, identità e tradizioni.  Più di 374 trattati, stipulati ad oggi, in oltre duecento anni, definiscono il livello di sovranità garantito alle diverse tribù e nazioni native, regolamentano la gestione dei territori, e declinano i diritti dei nativi all’interno della più vasta Nazione americana.  Purtroppo, molto spesso i trattati non sono stati rispettati completamente dal Governo Americano.

Biden e Harris hanno promesso durante la campagna elettorale di far tornare la questione indiana al centro dell’attenzione del nuovo governo. La nomina a Ministro degli Interni della deputata nativa americana, Deb Haaland, è un chiaro segnale della loro determinazione.

Inoltre, qualora confermata dal Senato, questa nomina rappresenterà la prima opportunità per un esponente di una tribù o nazione nativa di partecipare attivamente nel governo degli USA, e per di più alla direzione di un Ministero.

L’Interior Department, si occupa della gestione dei parchi nazionali, delle riserve, delle risorse naturali e di tutto il patrimonio forestale, nonché dei programmi per le minoranze etniche. Il Ministro degli Interni in America, contrariamente a quanto avviene in quasi tutti gli altri Stati del Mondo, non gestisce la sicurezza pubblica e non ha alle sue dipendenze le forze dell’ordine.  Negli USA, queste responsabilità sono assegnate al Department of Homeland Security (dipartimento della sicurezza della nazione).

Deb Haaland è stata eletta deputato in una circoscrizione del New Mexico e appartiene ad una antica tribù nativa, riconosciuta dal governo federale con il nome “Pueblo of Laguna”.  La sua nomina a Ministro del governo federale, tuttavia, espone a dei possibili rischi la maggioranza alla Camera, confermata dai democratici nelle votazioni dello scorso novembre.  Vediamo perché: i democratici hanno 222 deputati, quindi, solo 4 oltre quota 218, che rappresenta il numero necessario per controllare la Camera.  Poiché Biden ha prelevato dalla Camera anche i deputati Cedric Richmond della Louisiana e Marcia Fudge dell’Ohio oltre alla nativa americana Deb Haaland e poiché la legge Americana non prevede la loro sostituzione immediata, i democratici alla Camera saranno ridotti a 219, cioè solo uno in più rispetto alla quota che serve per avere la maggioranza. 

L’attuale presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, è sicura che i democratici riusciranno a sostituire i tre deputati in occasione delle elezioni suppletive, le cui date non sono ancora state stabilite. Tuttavia, è preoccupata per quanto potrebbe accadere fra il 20 gennaio 2021, data in cui i tre deputati diventeranno ufficialmente parte del governo Biden, e quando si svolgeranno le elezioni suppletive.

Biden e Harris hanno promesso ai nativi americani di rafforzare il rapporto diretto fra il Governo Federale e le Nazioni indiane, con un approccio “Nation-to-Nation”.  Si propongono di ridurre la disparità di trattamento che affligge i nativi rispetto agli altri cittadini soprattutto in materia di assistenza sanitaria. Si prefiggono di restituire ai nativi la competenza sui territori da loro occupati, con particolare attenzione al cambiamento climatico e alla salvaguardia dei beni naturali e culturali delle diverse tribù e nazioni.  Intendono attuare tutte le iniziative necessarie per aumentare la sicurezza delle comunità native, specialmente la tutela delle donne, dei bambini e degli anziani.  Specifiche iniziative saranno adottate per aumentare lo sviluppo economico nelle comunità native e assicureranno maggiore tutela al loro diritto al voto. I veterani nativi saranno commemorati per i servizi resi nelle forze armate USA.

Sicuramente la nomina di Deb Haaland al Ministero degli Interni rappresenterà una decisa inversione di tendenza rispetto alle politiche attuate dal governo di Donald Trump nella gestione dell’ambiente e del patrimonio naturale americano. I nativi d’America sono stati protagonisti di numerose proteste e durissimi confronti nei territori indiani contro il passaggio di oleodotti irrispettosi dell’ambiente, contro lo sfruttamento indiscriminato e irragionevole delle risorse idriche e contro il fracking.

La maggioranza dei nativi americani ha sostenuto e votato Joe Biden e Kamala Harris, ora si aspettano una risposta leale, in controtendenza rispetto alla slealtà ricevuta negli ultimi due secoli. Si aspettano provvedimenti per la salvaguardia dei loro diritti che siano sostanziali e duraturi. 

Pubblicato da “Il Denaro” il 20 dicembre 2020

La campagna più costosa della storia USA

Anthony M. Quattrone

“Saranno le elezioni più costose della storia degli Stati Uniti”, ha dichiarato a gennaio Michael Toner, il presidente della Commissione Elettorale Federale.  Secondo Toner, le presidenziali del 2008 costeranno almeno un miliardo di dollari, e se un candidato “vuole essere preso sul serio, dovrà raccogliere almeno 100 milioni di dollari entro la fine del 2007.”  La campagna del 2008 costerà più del doppio di quella del 1996.

Hillary Clinton è già al lavoro per racimolare la cifra necessaria per battersi prima per la nomination del partito democratico, e poi contro il candidato repubblicano per la presidenza.  Pochi giorni fa, ha organizzato una cena milionaria presso casa sua, dove ha ospitato 70 sostenitori che hanno promesso di raccogliere fra i 250 mila e un milione di dollari a testa.  I collaboratori di Hillary hanno anche organizzato altre iniziative indirizzate ai sostenitori “medi”, vale a dire quelli che possono raccogliere almeno $25 mila dollari a testa.

Sul fronte repubblicano, Rudi Giuliani mira a raccogliere fra i 100 e i 125 milioni di dollari attraverso l’aiuto di 250 sostenitori, secondo il “New York Daily News”.  Giuliani, che riceve massicci finanziamenti dai più importanti studi legali e finanziari degli stati di New York, New Jersey, e Connecticut, ha anche iniziato ad “esplorare le miniere d’oro della California”, sviluppando contatti con sostenitori pronti a contribuire grosse cifre – sta infatti conducendo un secondo viaggio sulla costa ovest nel giro di poche settimane.

Tutti gli altri candidati, come i democratici Barack Obama e John Edwards, ed il repubblicano John McCain, in questa fase sono al lavoro per racimolare fondi.  La legge federale obbliga i candidati a dichiarare tutti i contributi privati che ricevono e che accettano.  I candidati che accettano contributi privati non possono ricevere i fondi pubblici previsti dalla legge sul finanziamento delle campagne elettorali.  Gli avvocati di Barack Obama hanno presentato una richiesta urgente, datata 1 febbraio 2007, alla Commissione Elettorale Federale per sapere se un candidato che “riceve” fondi privati, ma che decide in un secondo momento di non “accettarli”, lasciandoli in un conto speciale presso terzi prima di restituirli, se questo candidato rimane idoneo a ricevere un finanziamento pubblico per la campagna elettorale.  I collaboratori di Obama pongono questa domanda perchè il loro candidato vuole tenere aperta l’opzione del finanziamento pubblico, che negli Stati Uniti viene collegata al concetto di “clean money, clean elections” (soldi puliti, elezioni pulite), dove l’influenza delle grosse lobby dovrebbe scomparire, almeno teoricamente. Obama, assieme a McCain e altri candidati hanno posto al centro della loro campagna elettorale anche la questione etica che riguarda il rapporto fra grandi finanziatori e politici.

La campagna elettorale del 2008 costerà molto di più di quelle del passato anche perchè diversi stati stanno cercando di anticipare le date delle primarie.  Tradizionalmente, il piccolo stato del New Hampshire è dal 1952 il primo a condurre le primarie per entrambi i partiti, alla fine di gennaio o nel febbraio dell’anno delle elezioni.  Nel 2008, Iowa ha dichiarato che anticiperà le primarie al 14 gennaio 2008, causando un rush di anticipi da parte di altri stati.  Le spese per tutti i candidati saliranno vertiginosamente se diversi grossi stati decideranno di anticipare le primarie a gennaio e febbraio.  La tabella di marcia attuale vede Iowa il 14 gennaio, Nevada il 19, New Hampshire il 22 ed il Sud Carolina il 29.  Tuttavia, New Hampshire potrebbe decidere di anticipare la data delle sue primarie addirittura al dicembre 2007, perchè una sua legge statale prevede che debba essere il primo stato a condurre le primarie.  Il danno più grosso per i budget dei diversi candidati è la possibile decisione da parte di California, Michigan, Pennsylvania e Illinois di anticipare la data delle loro primarie al 5 febbraio.

I sostenitori della riforma del sistema per il finanziamento elettorale credono che sia indispensabile creare un meccanismo che permetta ai candidati di partecipare alle elezioni senza doversi “vendere” ai finanziatori.  La Corte Costituzionale americana, tuttavia, ha stroncato il tentativo di mettere un limite sull’ammontare che un candidato o un sostenitore può spendere per la campagna elettorale perchè sarebbe una limitazione del diritto d’espressione garantito dal primo emendamento della Costituzione.  Sarà necessario trovare al più presto un equilibrio fra libertà d’espressione e pari opportunità nel processo democratico, specialmente di fronte ad una campagna elettorale che costerà oltre un miliardo di dollari.

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