Edwards e Giuliani si ritirano!

John Edwards si ritira, ma ottiene l’impegno formale di Hillary Clinton e di Barack Obama a lottare per debellare la povertà in America. Rudi Giuliani si ritira e sostiene John McCain.

Memorabile discorso di Barack Obama alla University of Denver

ANTHONY M. QUATTRONE

L’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, ha deciso di “sospendere” la sua partecipazione nelle primarie democratiche. Dopo le primarie in Iowa, New Hampshire, Michigan, Nevada, e Sud Carolina, e prima del Super Tuesday del prossimo martedì, in cui si svolgeranno consultazioni elettorali in 22 stati, Edwards si è fatto da parte per “lasciare che la storia possa tracciare la sua via”, come ha detto nel suo discorso d’addio, a New Orleans, il 30 gennaio. Edwards ha aggiunto che, “con le nostre convinzioni e con un po’ di spina dorsale, ci riprenderemo la Casa Bianca a novembre”. E’ interessante notare che Edwards non ha dichiarato di ritirarsi dalle primarie, ma di “sospendere” la sua partecipazione, sia per poter continuare a ricevere il contributo pubblico per la sua campagna elettorale (un dollaro federale per ogni dollaro ricevuto da finanziatori privati, fino a un massimo di 250 dollari per finanziatore), sia per lasciare aperto uno spiraglio alla sua partecipazione all’azione politica dei democratici nei mesi a venire.

Edwards, tuttavia, ha deciso di non dare il suo appoggio specifico ad uno dei due candidati ancora in gara, la senatrice di New York, Hillary Clinton, o il senatore dell’Illinois, Barack Obama, preferendo di sostenere lo sforzo del partito democratico nel suo complesso, per vincere le presidenziali. L’ex senatore del Nord Carolina ha, tuttavia, strappato una promessa da entrambi i candidati ancora in gara. Clinton e Obama si sono formalmente impegnati con Edwards affinché la lotta per debellare la povertà in America fosse al centro dell’iniziativa del futuro presidente democratico.

La campagna elettorale di Edwards si è fermata dove era iniziata circa 13 mesi fa, a New Orleans. L’ex senatore aveva scelto questa città, vittima della distruzione causata dall’uragano Katrina, per far partire la sua campagna elettorale per dare una voce al “pianto degli oppressi che Washington non sente”. La campagna di Edwards è partita con una sfilza di idee progressiste come la necessità di dare la copertura assicurativa medica universale, è stato il primo a chiedere al Congresso di non finanziare la guerra in Iraq, e si è battuto in prima fila per denunciare il potere delle lobby a Washington, proponendo di regolamentarli.

Hillary Clinton, commentando la decisione di Edwards, ha dichiarato che “John Edwards ha chiuso la sua campagna oggi nello stesso modo in cui l’ha iniziata, stando a fianco alla gente che troppo spesso viene emarginata e lasciata sempre fuori dal nostro dibattito nazionale.”

Per Obama, in un discorso molto appassionato a Denver, ha commentato il ritiro di Edwards complimentandosi con l’ex senatore e sua moglie Elizabeth per la lotta contro la povertà che divide l’America in due, dichiarando che “la coppia ha sempre creduto profondamente che le due Americhe possono diventare una, e che il nostro paese può unirsi attorno a questo scopo comune”. Obama ha incoraggiato i suoi sostenitori ad abbracciare questo obiettivo dei coniugi Edwards.

E’ difficile capire come si comporteranno i sostenitori di Edwards nelle prossime primarie, in mancanza di una sua aperta e decisa preferenza per uno dei due candidati ancora in gara. Secondo un sondaggio condotto qualche giorno fa per l’Associated Press/Yahoo, fra i sostenitori dell’ex senatore il 40 percento appoggerebbe Clinton, il 25 è per Obama, mentre il restante 35 è ancora indeciso.

Mentre Edwards annunciava la “sospensione” della sua campagna elettorale a New Orleans, Barack Obama teneva un discorso, quasi in contemporanea, dinnanzi a 14 mila persone all’Università di Denver, in Colorado. Il numero dei partecipanti è considerato un record se si considera che nel 2004 solo 12 mila democratici votarono nelle primarie democratiche in Colorado.

Alla presenza di Caroline Kennedy, che lo ha presentato al pubblico, Obama ha detto che questa campagna elettorale “riguarda il passato che si batte contro il futuro, e se io sarò il candidato, i repubblicani non potranno far sì che queste elezioni riguardino il passato. Se scegliete il cambiamento, avrete un candidato che non dice alla gente solo quello che vogliono sentire. Le opinioni testate dai sondaggi e le risposte calcolate sono il modo in cui Washington affronta le sfide, ma non è il modo in cui si può vincerle, non è il modo in cui si ispira il nostro paese ad unirsi attorno ad uno scopo comune, e non è quello di cui l’America ha bisogno in questo momento. Avete bisogno di un candidato che dice la verità”.

Il discorso di Obama all’Università di Denver ha riportato alla ribalta concetti cari ai democratici, dai temi legati alla lotta per i diritti civili, a quelli della solidarietà, della libertà, e dell’ottimismo del progresso, ribadendo la necessità di unire l’America. Obama ha detto, “Abbiamo seguito un King (ndr: Martin Luther King) fino alla cima di una montagna, e un Kennedy (ndr: Bob Kennedy) che ci ha chiesto di rigettare l’insensata minaccia della violenza. Siamo il partito di un giovane presidente (ndr: John Fitzgerald Kennedy) che ci ha detto di chiederci cosa potevamo fare per il nostro paese, e che ci ha messo sulla traiettoria per la luna. Siamo il partito di un uomo che ha saputo superare un handicap personale (ndr: Franklin Delano Roosevelt), che ci ha detto che dovevamo avere paura solo della paura stessa, e che ha saputo battere il fascismo e liberare un intero continente dalla tirannia. Siamo il partito di Jackson, che riprese la Casa Bianca per la gente di questo paese. E siamo il partito di Jefferson, che scrisse le parole che ancora ascoltiamo — che siamo stati tutti creati uguali, e che ci mandò ad Ovest a tracciare nuovi sentieri, fare nuove scoperte, ed ad attuare le promesse dei nostri più alti ideali. Ecco chi siamo”. L’intero testo del discorso di Obama è disponibile in rete.

Sul fronte repubblicano, l’ex sindaco di New York Rudi Giuliani ha finalmente annunciato il 30 gennaio di ritirarsi dalla competizione elettorale e ha chiesto ai suoi elettori di sostenere il senatore dell’Arizona, John McCain. Giuliani e McCain sono apparsi insieme alla Biblioteca Presidenziale Ronald Reagan a Simi Valley in California. Giuliani ha dichiarato che “John McCain è il più qualificato dei candidati per essere il prossimo Comandante in Capo degli Stati Uniti. E un eroe americano.” Giuliani ha voluto anche rimarcare il significato del luogo dove ha deciso di annunciare il suo ritiro e l’appoggio che darà a McCain, dichiarando che “è giusto fare questo annuncio qui, presso la biblioteca Reagan perchè la leadership del presidente Reagan rimane un’ispirazione sia per John McCain,sia per me”. McCain, ha ringraziato Giuliani, definendolo “il mio forte braccio destro, il mio partner, il mio amico”.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 31 gennaio 2008.

McCain vince. Giuliani medita di ritirarsi e appoggiare McCain.

ANTHONY M. QUATTRONE

Nelle primarie repubblicane della Florida del 29 gennaio, il senatore dell’Arizona John McCain ha vinto con il 36 percento, contro il 31 per l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, il 15 per l’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, il 13 per l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, e il 3 del deputato del Texas, Ron Paul.  Con questa vittoria, McCain si aggiudica tutti i 57 delegati della Florida che voteranno nella convention repubblicana del prossimo settembre a Minneapolis-Saint Paul, Minnesota.

La vittoria di McCain in Florida non solo conferma la traiettoria positiva che sta caratterizzando le sue ultime prove elettorali, ma getta anche le basi per costruire un’alleanza che potrebbe portarlo a superare il 50 percento dei consensi in casa repubblicana.  Secondo il Devlin Barrett dell’Associated Press, sembrerebbe, infatti, che dopo la cocente sconfitta in Florida, Rudi Giuliani sarebbe intenzionato a gettare la spugna a favore dell’anziano ex prigioniero di guerra..

La possibile alleanza fra McCain e Giuliani potrebbe essere alla base della dichiarazione che McCain ha fatto, dopo aver ricevuto le congratulazioni dell’ex sindaco per la vittoria in Florida.  McCain ha detto, “voglio ringraziare il mio caro, caro amico Rudi Giuliani, che ha investito il suo cuore e la sua anima in queste primarie e si è sempre comportato in linea con le qualità di un eccezionale leader americano, quello che lui è.  Grazie Rudi per tutto quello che hai aggiunto a questa gara e per essere un’ispirazione per me e per milioni d’Americani”.

La sconfitta di Giuliani era nell’aria già da qualche giorno, specialmente da quando McCain, Romney e Huckabee continuavano a guadagnare consensi attraverso le competizioni negli stati più piccoli.

Per gli analisti americani, due fattori maggiori hanno contribuito alla sconfitta di Giuliani.  In primo luogo, Giuliani non era è in linea con il credo conservatore, tanto caro alla destra religiosa americana.  Non è completamente contro l’aborto, non è contrario ad alcuni diritti dei gay, e non ha dimostrato di essere particolarmente a favore della libertà di portare un’arma.  In secondo luogo, Giuliani ha preferito condurre una campagna elettorale atipica, concentrandosi solo sugli stati grossi, con un alto numero di delegati. Questa strategia non gli ha permesso di mettersi in luce negli stati più piccoli, dove si sono svolte le prime consultazioni.  Pertanto, non solo non ha ricevuto una adeguata copertura dei media, ma non è riuscito ad apparire come un “vincitore”.

Per Michael Powell e Michael Cooper del New York Times, la sconfitta di Giuliani in Florida va ricercata in un’altra dinamica, forse ancora più semplice: “Più gli elettori repubblicano lo vedevano, meno lo volevano votare”.  Per i giornalisti del Times, Giuliani ha fatto enormi sforzi per sembrare un “vero” conservatore, ma, non è riuscito a convincere l’elettorato repubblicano in Florida.

In Florida hanno votato anche gli elettori democratici, ma, a causa della decisione della Florida di anticipare le primarie, la direzione nazionale del partito ha privato lo stato di tutti i suoi delegati per la convention del prossimo agosto.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, ha ottenuto il 50% dei voti, contro il 33 per il senatore dell’Illinois, Barack Obama, e il 14 per l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards.

Ora si va spediti verso il Super Tuesday del prossimo 5 febbraio, quando gli elettori in 22 stati voteranno per i candidati democratici e repubblicani.  L’unico appuntamento elettorale prima del Super Tuesday, sarà la competizione repubblicana di venerdì 1 febbraio nel Maine.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 30 gennario 2008.

Oggi si vota in Florida, fra 7 giorni in 22 stati

ANTHONY M. QUATTRONE

Probabilmente oggi si deciderà in Florida la sorte dell’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, per quanto riguarda la sua aspirazione a diventare il candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali USA che si terranno a novembre. Il sindaco più famoso d’America sta conducendo una campagna elettorale alquanto atipica concentrando tutte le sue risorse e l’attenzione sugli stati più grossi dell’Unione, cioè quelle con il numero più alto di delegati che parteciperanno alla Convention Repubblicana che si terrà dall’1 al 4 settembre.

In pratica, Giuliani è stato quasi del tutto assente nelle consultazioni elettorali repubblicane che si sono svolte fino ad ora in sei stati, cioè in Iowa, Wyoming, Michigan, New Hampshire, Nevada, e Sud Carolina, riscuotendo punteggi percentuali bassissimi. Durante il mese di gennaio, Giuliani ha visto scendere il suo consenso a livello nazionale dal un picco del 44 percento raggiunto in un sondaggio nazionale della ABC News/Washington Post nel febbraio dello scorso anno, al magro 12 percento dell’ultimo sondaggio condotto per il Los Angeles Times/Bloomberg il 22 gennaio 2008, che lo piazza al quarto posto, dietro al senatore dell’Arizona, John McCain con 22 percento, l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, con 18 percento, e l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, con 17.

La settimana scorsa, Giuliani ha dovuto registrare anche una sonora stroncatura da parte del New York Times, il quale ha deciso non solo di appoggiare John McCain come miglior candidato per i repubblicani, ma ha anche voluto spiegare in dettaglio perchè non può appoggiare l’ex sindaco di New York. Il New York Times appoggiò Giuliani per la sua rielezione nel 1997, perchè era convinto che il sindaco aveva trasformato New York da una città sporca, pericolosa, ed ingovernabile, in una città pulita, sicura, e ordinata. Per il giornale, il Giuliani di allora non esiste più, se è mai esistito, e quello che è venuto alla luce in questi ultimi anni è un arrogante, reticente, e vendicativo politico, che ha utilizzato ed utilizza il potere per fini personali, circondandosi di pessimi collaboratori, alcuni dei quali sono finiti sotto inchiesta per crimini di varia natura. Il New York Times accusa Giuliani anche di aver sfruttato per fini politici il disastro dell’undici settembre e le paure create dal terrorismo, scrivendo che “il Rudolph Giuliani del 2008 ha vergognosamente trasformato l’orrore dell’undici settembre in un affare lucrativo, con una lista di clienti segreti, per poi sfruttare il peggiore incubo della città e del paese, per promuovere la sua campagna elettorale”.

Quali sono le reali possibilità di Giuliani in Florida? Secondo la media dei sette sondaggi più recenti, McCain e Romney sono alla pari con il 27 percento, seguiti da Giuliani con il 17 percento, da Huckabee con 15, ed infine, da Ron Paul, con 4 percento. Non sembra, secondo i sondaggi, che Giuliani ha la pur minima possibilità di vincere in Florida, dove le regole del partito repubblicano prevedono che al vincitore spettano tutti i 57 delegati in palio. Nel campo di Giuliani, si spera che i sondaggi si sbaglino ancora una volta, così com’è successo per i democratici in alcune occasioni in queste ultime tornate elettorali.

Sul fronte democratico Barack Obama ha sbancato nel Sud Carolina sabato scorso, andando oltre tutte le previsioni dei sondaggi, ottenendo il 55 percento dei consensi degli elettori democratici. Hillary Clinton ha ottenuto il secondo posto con il 27 percento, davanti a John Edwards con il 18 percento.

La straordinaria partecipazione popolare nelle primarie democratiche nel Sud Carolina, dove oltre 530 mila cittadini hanno votato, registrando l’83,5 percento di aumento rispetto al 2004, quando 290 mila democratici votarono, indica che l’interesse popolare nei confronti dei democratici si va consolidando, seguendo una traiettoria iniziata in Iowa e continuata negli altri stati dove, fino ad ora, si sono svolte le primarie del partito dell’asinello.

Secondo un exit poll condotto per il New York Times , circa il 55 percento dei votanti era composto da neri e 43 percento da bianchi. Obama è riuscito a conquistare il 78 percento del voto nero, Clinton il 19, e Edwards il 2 percento. Fra i bianchi, Obama ha ottenuto solo il 24 percento, contro il 36 per Clinton e il 40 per Edwards.

Secondo Patrick Healy del New York Times, la vittoria di Obama è in parte dovuta al fatto che il senatore dell’Illinois “è riuscito a portare al voto un altissimo numero di neri, una dinamica che non si dimostrerà necessariamente decisiva nei 22 stati in cui si svolgeranno le consultazioni il 5 febbraio”. Nel suo articolo del 27 gennaio, Healy scrive che Obama ha ottenuto “una quota del voto bianco, il 24 percento, al di sotto di quanto ottenuto in Iowa e nel New Hampshire, un dato che solleva la preoccupazione che la questione razziale potrà dividere i democratici, anche a fronte dello straordinario entusiasmo che il partito dimostra nei confronti dei suoi candidati”.

Secondo l’influente deputato nero del Sud Carolina, James Clyburn, il quale continua a dichiarare una formale neutralità nei confronti di tutti i candidati democratici, gli attacchi molto duri che l’ex presidente Bill Clinton ha rivolto contro Obama lo hanno aiutato a procedere in avanti. Per Clyburn, se Obama vincerà la candidatura democratica, “dovrà affrontare un’offensiva piena di attacchi quest’autunno, e potrà rivolgere lo sguardo verso il Sud Carolina, come il posto che lo ha temprato”.

Obama, immediatamente dopo aver appreso i risultati ha dichiarato, ad una folla festante in Columbia, la capitale del Sud Carolina, che “stasera, ai cinici che credevano che quello che era iniziato nelle nevi dell’Iowa era solo un’illusione è stata raccontata una storia diversa dalla brava gente del Sud Carolina. Dopo quattro grosse competizioni in ogni angolo del paese, abbiamo più voti, più delegati, e la più diversa coalizione di Americani che abbiamo visto da tanto, tantissimo tempo”.

Obama, rispondendo ad un attacco dei coniugi Clinton, che prima delle primarie del Sud Carolina hanno utilizzato qualche frase di Obama, fuori del contesto in cui erano state pronunciate, per far sembrare che il senatore dell’Illinois era favorevole alle idee dei repubblicani, ha dichiarato che “siamo di fronte a decenni di amara partigianeria che porta i politici a demonizzare gli avversari, invece di avvicinarsi. E’ un tipo di partigianeria che ti vieta anche di dire che un repubblicano ha un’idea, anche se è un’idea che non condividi. Questo tipo di politica non fa bene al nostro partito, e non fa bene al nostro paese.”

In un editoriale del New York Times di domenica, Caroline Kennedy, la figlia del presidente John F. Kennedy, assassinato nel 1963, ha scritto un opinione a favore di Barack Obama intitolato “Un presidente come mio padre”. Caroline scrive che “non ho mai visto un presidente che mi ha potuto ispirare nel modo in cui le persone mi dicono che mio padre ispirava loro. Ma per la prima volta, penso che ho trovato un uomo che potrebbe essere quel presidente—non solo per me, ma per una nuova generazione di americani”. Ora si attende che anche il fratello del presidente Kennedy, il senatore del Massachusetts e patriarca del partito democratico, Ted Kennedy, prenda posizione a favore di Obama.

Pubblicato sull’Avanti! del 29 gennaio 2008.

Per Obama la risorsa Ted Kennedy

ANTHONY M. QUATTRONE

Il patriarca del partito democratico, il senatore Ted Kennedy, ha finalmente deciso di annunciare pubblicamente che appoggerà la Barack Obama per la candidatura democratica per le presidenziali del 2008. L’annuncio di Ted Kennedy è avvenuto un giorno dopo la presa di posizione di Caroline Kennedy, figlia del presidente John Fitzgerald Kennedy, domenica mattina, quando sul New York Times ha definito Obama “un presidente come mio padre”

L’annuncio di Ted Kennedy, unico fratello in vita del presidente John e del compianto Robert, entrambi assassinati negli anni 60, è stato fatto ieri all’American University a Washignton, alla presenza di Caroline, del deputato del Rhode Island, Patrick J. Kennedy, e dello stesso Obama. Il senatore Kennedy ha dichiarato, dinnanzi ad una folla festante di studenti e accademici, che Obama “è un leader che vede con chiarezza il mondo, senza essere un cinico. E’ un combattente che si appassiona per le cause in cui crede, senza demonizzare coloro che hanno un punto di vista diverso dal suo”.

Per Kennedy, “con Obama abbiamo un nuovo leader nazionale che sta impostando per l’America un tipo diverso di campagna, che non riguarda solo se stesso, ma tutti noi. E’ una campagna a proposito del paese che sapremo diventare, se saremo capaci di innalzarci sopra la vecchia politica che ci classifica in gruppi diversi, l’uno contro l’altro”.

Secondo Jeff Zeleny del New York Times, Ted Kennedy ha voluto dare un tono personale alla dichiarazione di sostegno per Obama citando diverse volte i suoi due fratelli assassinati, cosa che il senatore fa molto di rado in pubblico. Nel suo articolo, Zeleny riferisce un’affermazione nel quale Ted Kennedy collega Barack Obama a suo fratello John: “C’era un altro tempo, in cui un altro giovane candidato gareggiava per la presidenza e sfidava l’America a varcare una nuova frontiera. Affrontò le critiche rivoltegli da un precedente presidente democratico, che era molto rispettato nel partito” riferendosi a Harry S. Truman. “E John Kennedy rispose: ‘Il mondo sta cambiando. I vecchi modi di fare non funzionano più. E’ venuto il momento per una nuova generazione di leadership’. E così è nel caso di Barack Obama”.

Il sostegno dei Kennedy potrebbe essere determinante per Obama nel contrastare la forza organizzativa di Hillary Clinton. Nelle primarie che si svolgeranno in ben 22 stati nel Super Tuesday di martedì 5 febbraio, Obama non potrà contare sul forte sostegno degli elettori neri, ma dovrà cercare di ottenere ampi consensi nella comunità ispanica, tradizionalmente vicino a Bill e Hillary Clinton, e fra i bianchi. La figura dominante di Ted Kennedy nel partito democratico e l’immensa rete di contatti politici sviluppati dal “Kennedy Clan” saranno messe alla prova la settimana prossima.

La forza e l’esperienza dei Kennedy saranno sicuramente fondamentali per Obama quando dovrà affrontare attacchi spregiudicati da parte degli avversari. I Clinton ora, e i repubblicani un domani, se Obama diventerà il candidato presidenziale dei democratici, sapranno sfruttare ogni errore del giovane senatore, e gli imputeranno qualsiasi manchevolezza, reale o presunta. Per esempio, Hillary Clinton ha recentemente accusato Obama di aver avuto il sostegno dell’imprenditore immobiliare di Chicago, Antoin “Tony” Rezko, un indiziato per frode, per il quale un giudice federale ha revocato ieri la cauzione di due milioni di dollari, arrestandolo nell’attesa del processo che si svolgerà il prossimo 25 febbraio.

Rezko ha contribuito finanziariamente in passato alle campagne elettorali di Obama per deputato alla Camera dei Deputati dell’Illinois e per il Senato USA, oltre all’attuale campagna per le primarie democratiche. Nel 2006, quando Obama fu informato delle accuse federali contro Rezko, il senatore donò $11.500 ricevuti dall’imprenditore ad attività di beneficenza. All’inizio di gennaio di quest’anno, Obama ha devoluto in beneficenza anche $40.000 che ha ricevuto per le sue campagne precedenti da donatori collegati in qualche modo a Rezko.

Forse l’immediata reazione di Obama nel distanziarsi da Rezko, donando in beneficenza i finanziamenti ricevuti, e la sua totale estraneità alle attività dell’indiziato, gli hanno permesso di bloccare subito qualsiasi speculazione giornalistica e politica, incluso l’infelice attacco da parte dei coniugi Clinton. La campagna elettorale è lunga, e la strada che Obama dovrà percorrere sarà piena di tanti altri attacchi politici e personali. La forza dei Kennedy sarà sicuramente una preziosissima risorsa per il giovane senatore nero dell’Illinois nel percorrere la strada tutta in salita verso la nomination democratica.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 29 gennaio 2008.

Barack Obama vince oltre le previsioni in Sud Carolina.

ANTHONY M. QUATTRONE

Barack Obama sbanca nel Sud Carolina, andando oltre tutte le previsioni dei sondaggi, ottenendo il 55,40 percento dei consensi degli elettori democratici.  Hillary Clinton ha ottenuto il secondo posto con il 26,5 percento, davanti a John Edwards con il 17,6 percento.

La straordinaria partecipazione popolare nelle primarie democratiche nel Sud Carolina, dove oltre 530 mila cittadini hanno votato, registrando l’83,5 percento di aumento rispetto al 2004, quando 290 mila democratici votarono, indica che l’interesse popolare nei confronti dei democratici si va consolidando, seguendo una traiettoria iniziata in Iowa e continuata negli altri stati dove, fino ad ora, si sono svolte le primarie del partito dell’asinello.

Secondo un exit poll condotto per il New York Times , circa il 55 percento dei votanti era composto da neri e 43 percento da bianchi.  Obama è riuscito a conquistare il 78 percento del voto nero, Clinton il 19, e Edwards il 2 percento.  Fra i bianchi, Obama ha ottenuto solo il 24 percento, contro il 36 per Clinton e il 40 per Edwards.

Secondo Patrick Healy del New York Times, la vittoria di Obama è in parte dovuta al fatto che il senatore dell’Illinois “è riuscito a portare al voto un altissimo numero di neri, una dinamica che non si dimostrerà necessariamente decisiva nei 22 stati in cui si svolgeranno le consultazioni il 5 febbraio”.  Nel suo articolo del 27 gennaio, Healy scrive che Obama ha ottenuto “una quota del voto bianco, il 24 percento, al di sotto di quanto ottenuto in Iowa e nel New Hampshire, un dato che solleva la preoccupazione che la questione razziale potrà dividere i democratici, anche a fronte dello straordinario entusiasmo che il partito dimostra nei confronti dei suoi candidati”.

Secondo l’influente deputato nero del Sud Carolina, James Clyburn, il quale continua a dichiarare una formale neutralità nei confronti di tutti i candidati democratici, gli attacchi molto duri che l’ex presidente Bill Clinton ha rivolto contro Obama lo hanno aiutato a procedere in avanti.  Per Clyburn, se Obama vincerà la candidatura democratica, “dovrà affrontare un’offensiva piena di attacchi quest’autunno, e potrà rivolgere lo sguardo verso il Sud Carolina, come il posto che lo ha temprato”.

Obama, immediatamente dopo aver appreso i risultati ha dichiarato, ad una folla festante in Columbia, la capitale del Sud Carolina, che “stasera, ai cinici che credevano che quello che era iniziato nelle nevi dell’Iowa era solo un’illusione è stata raccontata una storia diversa dalla brava gente del Sud Carolina. Dopo quattro grosse competizioni in ogni angolo del paese, abbiamo più voti, più delegati, e la più diversa coalizione di Americani che abbiamo visto da tanto, tantissimo tempo.”

Obama, rispondendo ad un attacco dei coniugi Clinton, che prima delle primarie del Sud Carolina hanno utilizzato qualche frase di Obama, fuori del contesto in cui erano state pronunciate, per far sembrare che il senatore dell’Illinois era favorevole alle idee dei repubblicani, ha dichiarato che “siamo di fronte a decenni di amara partigianeria che porta i politici a demonizzare gli avversari, invece di avvicinarsi.  E’ un tipo di partigianeria che ti vieta anche di dire che un repubblicano ha un’idea, anche se è un’idea che non condividi.  Questo tipo di politica non fa bene al nostro partito, e non fa bene al nostro paese.”

In un editoriale del New York Times di oggi, Caroline Kennedy, la figlia del presidente John F. Kennedy, assassinato nel 1963, ha scritto un opinione a favore di Barack Obama intitolato “Un presidente come mio padre”.  Caroline scrive che “non ho mai visto un presidente che mi ha potuto ispirare nel modo in cui le persone mi dicono che mio padre ispirava loro.  Ma per la prima volta, penso che ho trovato un uomo che potrebbe essere quel presidente—non solo per me, ma per una nuova generazione di americani”.

I democratici si concentreranno nei prossimi dieci giorni sulla tornata elettorale del 5 febbraio, quando in 22 stati si svolgeranno le consultazioni.  I repubblicani dovranno prima completare la gara in Florida, martedì 29 gennaio, dove al vincitore saranno assegnati tutti i 57 delegati in palio, per poi affrontare il Super Tuesday del 5 febbraio.  In Florida, voteranno anche i democratici, ma la direzione nazionale del partito ha tolto alla Florida tutti i delegati, sanzionando lo stato per aver anticipato la data delle primarie a gennaio.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 27 gennaio 2008.

Il New York Times tromba Rudolph Giuliani!

Il giornale di New York appoggia Clinton per i democratici e McCain per i repubblicani

di ANTHONY M. QUATTRONE

Alla vigilia delle primarie democratiche nel Sud Carolina e a pochi giorni dalle importantissime primarie repubblicane in Florida, il New York Times ha deciso di annunciare pubblicamente le sue preferenze per la nomina a candidato presidente per i due maggiori partiti. Per i democratici, il massimo giornale di New York appoggia Hillary Clinton, e per i repubblicani, John McCain.
Il New York Times considera la senatrice di New York, Hillary Clinton, pronta per affrontare dal primo giorno alla Casa Bianca sia i problemi internazionali, sia quelli interni. Per il giornale, la Clinton è sicuramente più esperta e preparata del senatore dell’Illinois, Barack Obama, per dirigere il paese e riportare l’America sulla rotta giusta. Il giornale si dichiara affascinato dalle idee e dall’entusiasmo di Obama, ma è preoccupato che il relativamente giovane senatore nero non abbia ancora avuto l’occasione di dimostrare come metterebbe in pratica le sue idee. Invece, Hillary Clinton, specialmente nel suo ruolo di senatrice dello stato di New York, ha già dato ampia dimostrazione delle sue capacità di fare quello che promette. Il New York Times auspica che la senatrice Clinton dimostri agli elettori le sue immense capacità di ascoltare e di dirigere, nutrendo la speranza che la grande capacità intellettiva della Clinton serva anche a dimostrare agli scettici che è capace di aprirsi, spiegarsi, e dirigere.
Il Times, tuttavia, ammonisce la Clinton che”così come appoggiamo risolutamente la sua candidatura, chiediamo alla signora Clinton di cambiare il tono della sua campagna”. Per il giornale, la dura campagna della Clinton contro Obama “non fa bene al paese, al Partito Democratico, o alla signora Clinton stessa, che spesso è etichettata come una persona che crea divisioni”.
Il Times liquida l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, lamentando che a causa delle troppe opinioni che il senatore ha cambiato negli ultimi anni su diversi temi, “non siamo certi quali siano le sue opinioni”.
Fra i repubblicani, il New York Times appoggia il senatore dell’Arizona, John McCain, perchè, secondo il giornale, oltre ad essere un eroe nazionale (riferendosi ai 5 anni trascorsi nelle prigioni comuniste in Vietnam) è l’unico candidato repubblicano che si è coerentemente battuto contro la tortura dei prigionieri sospettati di appartenere ad organizzazioni terroriste, per i diritti degli immigrati, e per la riforma del sistema di finanziamento delle elezioni americane. Il giornale di New York ammette di non essere in linea con le fondamentali convinzioni dei repubblicani, ma crede che John McCain è l’unico fra i candidati repubblicani che ha dimostrato di essere capace di lavorare con i deputati e senatori di entrambi i partiti, nell’interesse del paese.
Il giornale spiega le ragioni per cui non appoggia l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, e l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, addebitando al primo troppi cambiamenti di opinioni, e al secondo la troppa intransigenza religiosa, tipica della destra cristiana americana.
Il giornale ha voluto spiegare in dettaglio perchè non può appoggiare l’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani. Il New York Times appoggiò Giuliani per la sua rielezione nel 1997, perchè il giornale era convinto che il sindaco aveva trasformato New York da una città sporca, pericolosa, ed ingovernabile, in una città pulita, sicura, e ordinata. Per il New York Times il Giuliani di allora non esiste più, se è mai esistito. Il Giuliani che è venuto alla luce in questi ultimi anni è un arrogante, reticente, e vendicativo politico, che ha utilizzato ed utilizza il potere per fini personali, circondandosi di pessimi collaboratori, alcuni dei quali sono finiti sotto inchiesta per crimini di varia natura. Il New York Times accusa Giuliani di aver sfruttato per fini politici il disastro dell’undici settembre e le paure create dal terrorismo, scrivendo che “il Rudolph Giuliani del 2008 ha vergognosamente trasformato l’orrore dell’undici settembre in un affare lucrativo, con una lista di clienti segreti, per poi sfruttare il peggiore incubo della città e del paese, per promuovere la sua campagna elettorale”.
Con la stroncatura del New York Times, il test della Florida potrebbe diventare decisivo per Rudi Giuliani, il quale, sino ad ora, non è riuscito a brillare in nessuno degli stati in cui si sono svolte le primarie repubblicane.

Pubblicato su Agenzia Radicale del 26 gennaio 2008.

Bill Clinton: “I neri per Obama, le donne per Hillary”

ANTHONY M. QUATTRONE

“I neri voteranno per Barack Obama e le donne voteranno per Hillary Clinton” ha dichiarato all’Associated Press il 23 gennaio l’ex presidente americano Bill Clinton, prevedendo “una dinamica che potrebbe portare alla sconfitta di Hillary nelle primarie democratiche di sabato prossimo in Sud Carolina”.  Per Bill Clinton, “votare in base alla razza o al sesso del candidato è comprensibile perchè le persone sono fiere, quando qualcuno con cui si identificano emerge per la prima volta”.

Nel frattempo, la campagna elettorale della senatrice Clinton ha alzato il livello dello scontro nei confronti del senatore Obama, trasmettendo una serie di annunci radio nel Sud Carolina in cui si fa largo uso di una dichiarazione in cui quest’ultimo elogiava i repubblicani.  Obama aveva, infatti, dichiarato durante un dibattito televisivo lo scorso lunedì, che “sarebbe corretto dire che i repubblicani sono stati il partito delle idee per un lungo periodo di tempo negli ultimi 10, 15 anni, nel senso che sfidavano la saggezza convenzionale”.

Negli annunci radio, la campagna della Clinton usa la dichiarazione di Obama, fuori del contesto in cui è stata fatta, facendo dichiarare all’annunciatore che “Hillary Clinton crede che queste elezioni riguardano la necessità di rimpiazzare le idee disastrose dei repubblicani, con idee nuove, come quelle che servono per riavviare l’economia”.

La dichiarazione di Obama, invece, seguiva un ragionamento storico in cui faceva notare che il partito o il candidato che ha rappresentato qualcosa di nuovo, creava le condizioni per il cambiamento come, quando, secondo Obama, il presidente democratico John F. Kennedy cambiò la direzione in cui andava il paese.  In breve, durante il dibattito Obama aveva invitato il partito democratico a non lasciare ai repubblicani la leadership del cambiamento, rimanendo ancorato a vecchie idee e vecchi temi.

I sostenitori di Obama nel Sud Carolina, capeggiati dall’ex governatore dello stato, Jim Hodges, hanno immediatamente reagito agli attacchi della campagna della Clinton.  Per Hodges, “sembrerebbe che i partigiani della Clinton vogliono vincere a qualsiasi costo”.  Già pochi giorni fa, il senatore Ted Kennedy aveva avvertito che certi attacchi personali fra i candidati democratici potevano creare insanabili divisioni nel partito che avrebbero sicuramente favorito i repubblicani nelle elezioni di novembre.

La preoccupazione di Bill Clinton per l’andamento delle primarie nel Sud Carolina è giustificato in base ai risultati dei sondaggi condotti negli ultimi giorni, i quali indicano circa12 punti di vantaggio di Barack Obama sull’ex first lady.  La robustezza dell’elettorato nero nel Sud Carolina dovrebbe scongiurare che i sondaggi incappino nello stesso errore in cui sono incorsi nel New Hampshire poche settimane fa, quando erroneamente predissero la vittoria di Obama.  In quella circostanza, gli elettori neri erano una minoranza, mentre nel Sud Carolina dovrebbero essere almeno la metà di tutti i democratici che si presenteranno alle urne il 26 gennaio.

La rosa dei candidati democratici si è ulteriormente assottigliata con il ritiro del deputato dell’Ohio, Dennis Kucinich, il quale annuncerà ufficialmente l’abbandono nel corso della giornata del 25 gennaio.  Sono rimasti in gara per i democratici solo quattro candidati: Hillary Clinton, Barack Obama, l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, e l’ex senatore dell’Alaska, Mike Gravel.
Nell’ultimo sondaggio nazionale condotto fra il 18 e il 22 gennaio per Los Angeles Times/Bloomberg, il vantaggio di Hillary Clinton si è ulteriormente assottigliato.  La Clinton registra il 42 percento dei consensi, contro il 33 per Obama e 11 per Edwards, 1 per Kucinich, mentre gli indecisi sono circa 13 percento.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 25 gennaio 2008.

Repubblicani: Thompson si ritira!

I Democratici preoccupati per lo scontro virulento fra Clinton e Obama.

ANTHONY M. QUATTRONE

L’ex senatore del Tennessee, l’attore Fred Thompson, ha deciso di abbandonare la competizione per la nomina a candidato presidenziale del partito repubblicano dopo aver subito una serie di sconfitte nelle primarie che si sono tenute fino ad ora.  La decisione di Thompson arriva dopo il terzo posto che ha ottenuto nel Sud Carolina e prima della difficile competizione del 29 gennaio in Florida, dove, secondo la media dei sondaggi, non riesce a superare il 10 percento del voto.  Thompson aveva dichiarato che le consultazioni nel Sud Carolina sarebbero state decisive per la sua campagna elettorale.  Nel Sud Carolina, Thompson non è riuscito a superare il 16 percento dei consensi ottenendo solo il terzo posto dietro al senatore dell’Arizona, John McCain, che ha vinto con il 33 percento, e all’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, che ha ottenuto il secondo posto con il 30.  Thompson non ha ancora dichiarato se inviterà i suoi sostenitori ad appoggiare uno degli altri candidati rimasti in gara.

Gli ultimi due sondaggi condotti in Florida il 20 gennaio danno indicazioni contrastanti sulle preferenze di voto.  La Rasmussen prevede la vittoria dell’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney con il 25 percento, seguito da McCain con 20, l’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, con 19, e Huckabee con 16.  Il sondaggio condotto dalla SurveyUSA per alcune televisioni locali prevede la vittoria di McCain con il 25 percento, seguito da Giuliani con 20, Romney con 19, e Huckabee con 14.  Prendendo in considerazione il margine di errore per entrambi i sondaggi, le previsioni sono, a questo punto, incerte.  Forse qualche indicazione più sicura si potrà avere solo dopo un’eventuale dichiarazione di Thompson a favore di uno dei contendenti rimasti in gara.

I contendenti democratici sono tutti concentrati sulle votazioni di sabato, 26 gennaio, quando nel Sud Carolina saranno assegnati 45 delegati per la convention del partito che si terrà a fine agosto.  I sondaggi più recenti sono stati condotti prima dei caucus del 20 gennaio nel Nevada, dove la senatrice di New York, Hillary Clinton, ha battuto il senatore dell’Illinois, Barack Obama, e l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, con il 51 percento, contro il 45 e il 5 percento, rispettivamente.  Nel Sud Carolina, i sondaggi indicano, in media, la vittoria di Obama con il 42,3 percento, contro il 32,3 per la senatrice Clinton, e il 14 per Edwards.  Tuttavia, dopo il fallimento dei sondaggi nel New Hampshire, che davano Obama vincente, tutti gli osservatori sono prudenti nell’interpretare queste previsioni.

Hillary Clinton e Barack Obama si sono scontrati duramente durante e dopo il dibattito televisivo che si è tenuto il 21 gennaio, organizzato dalla CNN e dal gruppo dei parlamentari neri del Congresso.  Per Patrick Healy e Jeff Zeleny del New York Times, lo scontro è stato fra i più duri e i più personali finora visti in questa campagna elettorale.  L’ex first lady e il senatore nero dell’Illinois si sono affrontati aspramente mettendo in dubbio la coerenza e l’onestà dell’avversario..

I momenti salienti del dibattito hanno testimoniato alcuni scambi che potrebbero diventare delle armi utili per i repubblicani contro il candidato che sarà scelto dai democratici.  Per esempio, la senatrice Clinton ha accusato Obama di essersi legato ad un “proprietario immobiliare di un quartiere malfamato”, riferendosi ad un imprenditore di Chicago, Antoin Rezko, che è stato accusato di attività fraudolenta da parte delle autorità federali lo scorso autunno.  Obama, che aveva lavorato in passato per uno studio legale che aveva assistito Rezko nelle sue attività immobiliari, ha restituito, lo scorso sabato, circa 40 mila dollari di contributi elettorali ricevuti da sostenitori legati a Rezko.

Barack Obama ha dichiarato nel corso del dibattito che alle volte ha la sensazione di gareggiare non solo contro Hillary, ma anche contro Bill Clinton, lamentandosi dei ripetuti attacchi che l’ex presidente gli ha riservato sin dopo la vittoria che il senatore nero ha ottenuto in Iowa il 3 gennaio.  Obama ha intimato a Hillary e Bill Clinton di smetterla di distorcere la verità quando parlano delle sue opinioni politiche e di come ha votato in Senato, riferendosi alla recente polemica con l’ex presidente, il quale aveva insinuato che Obama non era affatto stato sempre contro la guerra in Iraq.

Durante lo scontro televisivo del 21 gennaio, caratterizzato da continue interruzioni della Clinton e di Obama, John Edwards ha dovuto faticare non poco per potersi far sentire.  L’ex senatore del Nord Carolina ha cercato di mettere in risalto che i due maggiori contendenti sembravano più interessati ad attaccarsi a vicenda su questioni personali piuttosto che ad affrontare i veri problemi del paese.  Edwards ha cercato più volte di riportare il dibattito sui temi che interessano la gente del Sud Carolina, come la questione della copertura sanitaria universale.  Edwards, che è un nativo del Sud Carolina, vinse le primarie del suo stato natio nel 2004, dimostrando di interpretare bene le preoccupazioni e le aspettative degli elettori.  La competizione di sabato prossimo potrebbe risultare decisiva per la continuazione della partecipazione di Edwards nelle primarie democratiche.

Gli strateghi del partito democratico sono, allo stesso tempo, entusiasti dell’interesse che gli americani stanno dimostrando attorno alle primarie democratiche, ma anche molto preoccupati per i toni troppo accessi e personali che si stanno sviluppando negli scontri fra i candidati.  La demarcazione fra il campo della Clinton e quello di Obama potrebbe diventare un muro invalicabile che potrebbe creare notevoli difficoltà al partito, quando sarà necessario unire tutti i democratici attorno al candidato prescelto per lo scontro con i repubblicani il prossimo novembre.  Il senatore del Massachusetts e “patriarca” del partito, Ted Kennedy, ha ammonito proprio l’ex presidente Bill Clinton di fare attenzione a non fare opera di divisione fra i democratici, perchè le conseguenze potrebbero essere devastanti nello scontro con i repubblicani il prossimo novembre.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 23 gennaio 2008.

Romney e Clinton vincono in Nevada. McCain vince in Sud Carolina.

Ancora record di partecipazione fra gli elettori democratici.

ANTHONY M. QUATTRONE

L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha vinto in Nevada portando a tre le vittorie nelle primarie per designare il candidato del partito repubblicano alle presidenziali USA del 2008.  Dopo il successo in sordina nel Wyoming il 5 gennaio, e la vittoria in Michigan il 15 gennaio, Romney ha vinto anche in Nevada.  Romney ha ottenuto oltre il 51 percento dei consensi fra gli elettori repubblicani, battendo il deputato texano Ron Paul e il senatore dell’Arizona John McCain, entrambi al 13 percento, l’ex senatore del Tennessee, Fred Thompson e l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, entrambi all’8 percento, seguiti dall’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, con il 4 percento.

Romney, un mormone nato a Detroit, in Michigan, ha potuto contare sul forte appoggio della comunità mormone in Nevada, pari a circa l’8 percento della popolazione residente.  Secondo David Espo dell’Associated Press, metà dei voti che Romney ha ottenuto in Nevada provengono dal voto dei mormoni.  La vittoria dell’ex governatore del Massachusetts potrebbe non essere rilevante dal punto di vista dell’assegnazione dei delegati perchè le regole del partito repubblicano in Nevada non prevedono da parte dei delegati l’impegno formale a favore dei candidati vincenti, quando, ai primi di settembre, si terrà la convenzione del partito repubblicano per la scelta del candidato presidente.  I candidati repubblicani hanno, infatti, dimostrato più interesse per conquistare i 24 delegati in palio nel Sud Carolina, piuttosto che i 31 del Nevada, perchè, mentre questi ultimi non hanno l’obbligo di votare per il candidati vincenti nel Nevada, i delegati del Sud Carolina saranno “impegnati” formalmente a votare per i vincitori.

In concomitanza con i caucus nel Nevada, si sono svolte anche le primarie repubblicane nel Sud Carolina (le primarie democratiche si terranno il 26 gennaio).  John McCain ha vinto con il 33 percento, contro Huckabee con 30, Thompson con 16, Romney con 15, Paul con 3,7 e Giuliani con il 2.

Secondo il New York Times, il vero sconfitto nelle primarie del Sud Carolina è l’ex pastore battista Mike Huckabee, perchè è riuscito a conquistare solo 4 su 10 dei votanti che si definiscono “cristiani evangelici” che nel Sud Carolina compongono ben 60 percento degli elettori repubblicani.  McCain è riuscito a conquistare un quarto del voto cristiano evangelico.

Tornado al Nevada, fra i democratici la senatrice di New York, Hillary Clinton ha vinto con il 51 percento del voto popolare, seguito dal senatore dell’Illinois, Barack Obama, con il 45 percento.  L’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards ha ottenuto solo il 4 percento.  Tuttavia, in base al meccanismo elettorale per lo svolgimento dei caucus democratici in Nevada, Obama ha ottenuto 13 dei 25 delegati in palio, mentre la senatrice Clinton solo 12.  La vittoria della Clinton in termini di voto popolare in Nevada conferma la traiettoria positiva della ex first lady, la quale, dopo la sconfitta del 3 gennaio in Iowa, ha saputo rimettere a fuoco la sua campagna elettorale dimostrando di poter continuare ad ottenere un forte appoggio delle donne.  I risultati del Nevada confermano anche la popolarità della senatrice fra gli elettori ispanici.  Il voto delle donne e degli ispanici sono stati fondamentali in Nevada, e sicuramente continueranno ad esserlo nei prossimi appuntamenti elettorali.

La notizia più importante per il partito democratico è l’alto numero di elettori democratici che ha votato nelle primarie del Nevada.  Oltre 107 mila democratici hanno preso parte ai caucus, facendo registrare, per il terzo stato consecutivo, un nuovo record di partecipazione.  Secondo i leader del partito, l’alta affluenza alle urne democratiche è, in pratica, un referendum sull’operato del governo Bush ed è una chiara richiesta per un cambio di rotta a Washington.

Ora l’attenzione si sposta verso le primarie democratiche in Sud Carolina di sabato prossimo, e le primarie della Florida che si terranno il 29 gennaio.

In Sud Carolina, i sondaggi condotti prima delle elezioni in Nevada indicano, in media, una vittoria per la senatrice di New York con il 37,8 percento, contro il 33,8 per Obama e 18 per Edwards.  In Florida, i sondaggi, condotti anch’essi prima della consultazione elettorale in Nevada, indicano, in media, 19 punti di vantaggio della Clinton su Obama, con 48,8 per la senatrice, contro il 28,8 per il senatore dell’Illinois, e l’11,7 percento per Edwards.

Fra i repubblicani, i sondaggi indicano una vittoria di McCain con il 23,2 percento, su Giuliani con 20,3, Romney con 18, Huckabee con 17,3, e Thompson con 8,5.  Il vincitore in Florida per i repubblicani vince tutti i 57 delegati in palio.  I risultati dei sondaggi si riferiscono a dati fermi al 16 gennaio, prima della vittoria di Romney nel Nevada e di McCain nel Sud Carolina.  Pertanto, con quattro candidati in soli 6 punti percentuali, la gara in casa repubblicana è da considerarsi completamente aperta.  Il risultato in Florida darà una chiara indicazione anche sulla salute della campagna elettorale di Rudi Giuliani, il quale punta tutto sulla conquista di grandi stati come la Florida.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 20 gennaio 2008.

“Bradley Effect”: allarme pregiudizio razziale per Obama

ANTHONY M. QUATTRONE

Gli analisti americani sono ancora al lavoro per comprendere perchè tutti i sondaggi di previsione per le elezioni democratiche nel New Hampshire hanno fallito.  Uno dei massimi esperti americani nel campo del sondaggistica, il direttore della Pew Research Center, Andrew Kohut, ha pubblicato alcune considerazioni in un articolo apparso sul New York Times del 10 gennaio.  Kohut fa osservare che, nel caso dei sondaggi nel New Hampshire, la discrepanza fra previsioni e risultati è avvenuto solo per quanto riguarda i democratici, ma nel caso dei repubblicani, i sondaggi hanno fatto un eccellente lavoro.

Fra i democratici, i sondaggi prevedevano, in media, la vittoria di Barack Obama con circa 8 punti di vantaggio su Hillary Clinton.  Fra i repubblicani, i sondaggi prevedevano la vittoria di John McCain, in media, con 5,3 punti su Mitt Romney, mentre i dati finali hanno premiato McCain con un vantaggio di 5,5.  Kohut nota che le diverse organizzazioni di rilevamento hanno utilizzato diverse metodologie, dal rilevamento personale a quello telefonico, ma tutte hanno sbagliato nel caso dei risultati per i democratici.  La metodologia scelta da ciascuna organizzazione, dalle più famose come la Gallup, alle meno note che agiscono sono localmente, è stata utilizzata in ugual modo per ricavare le tendenze di voto fra gli elettori democratici e fra i repubblicani.  Perciò, dal punto di vista di Kohut, probabilmente il fallimento non è da imputare ad un errore di campionatura o di metodologia statistica, ma a qualcosa che concerne la specifica gara fra Barack Obama e Hillary Clinton.

Kohut prende in considerazione la notizia che 17 percento degli elettori democratici intervistati durante le exit poll hanno dichiarato di aver deciso all’ultimo momento per chi votare.  L’esperto fa notare, tuttavia, che il dato non è abbastanza significativo da giustificare la discrepanza fra i sondaggi ed il risultato finale, perchè il 39 percento degli indecisi ha votato per Clinton, mentre il 36 per Obama.  L’esperto non crede nemmeno che l’alto numero di votanti può essere la causa dell’errore dei sondaggi.  Infatti, il profilo degli elettori che hanno partecipato alle primarie democratiche, composto da un 54 percento che si dichiara democratico e da un 44 percento che si dichiara indipendente, non è cambiato rispetto alle elezioni del 2000, le ultime elezioni senza un candidato presidente in carica.

Pertanto, per Kohut,il motivo per comprendere il fallimento dei sondaggi va probabilmente cercato in qualche altro dato significativo, e raccomanda di non ignorare una tendenza già notata nei sondaggi precedenti quando un candidato nero è in gara, specialmente per quanto riguarda il rilevamento per le preferenze fra gli elettori bianchi a basso reddito e poco istruiti.  Le persone con un reddito basso, secondo l’esperto, sono gli stessi che, in generale, non rispondono ai sondaggi, e che sono meno inclini ad appoggiare un candidato nero.

Kohut trova interessante la divisione socio-economica fra coloro che hanno votato per Clinton e Obama.  Clinton batte Obama per 47 a 35 fra i votanti che provengono da famiglie con entrate al di sotto dei 50 mila dollari annuali.  Obama batte Clinton 40 a 35 fra coloro che guadagnano più di 50 mila dollari.  Clinton batte Obama fra coloro che non hanno mai frequentato l’università, per 43 a 35, mentre Obama vince fra gli universitari e i laureati per 39 a 34 percento.  In breve, i bianchi dei ceti sociali a basso reddito non solo tendenzialmente non rispondono ai sondaggi, ma sono anche quelli che hanno opinioni meno favorevoli nei confronti dei neri.  Il mondo dei sondaggi ha difficoltà ad incorporare questo dato nella composizione dei campioni.  Per Kohut, “le difficoltà persistono nell’intervistare le persone a basso reddito, i più poveri, e quelli con bassi livelli di istruzione”.  In Iowa, secondo Kohut, questo problema non si è manifestato “forse perchè Obama non era ancora percepito come una minaccia per i votanti bianchi dell’Iowa perché non era ancora il candidato in vantaggio”.

Frank James del Chicago Tribune ricorda in un articolo del 10 gennaio, che il fallimento dei sondaggi fra i democratici nel New Hampshire potrebbero essere in linea con quello che nel mondo dei sondaggi americani è chiamato “the Bradley Effect” (l’effetto Bradley).  Tom Bradley, un popolare sindaco nero di Los Angeles, perse nel 1982 contro un candidato bianco per le elezioni a governatore della California, dopo che le proiezioni dei sondaggi gli avevano costantemente previsto la vittoria.  L’effetto Bradley si riferisce alla situazione in cui un significativo numero di elettori bianchi dichiarano, durante i sondaggi, che sono sinceramente indecisi o che voteranno per un candidato non bianco, ma che poi, quando vanno effettivamente a votare, danno il voto in larga parte al candidato bianco.  Per James, le future primarie daranno la possibilità di capire se esiste un Bradley Effect nel caso di Obama e se Clinton e John Edwards continueranno a dividersi il voto dei bianchi più poveri e meno istruiti.  Se i democratici arrivassero alla conclusione che esiste un fattore razza, tale da indurre una larga fetta di elettori democratici bianchi a votare per il candidato repubblicano, o a non presentarsi alle urne a novembre, la candidatura di Obama potrebbe essere a rischio.

Pubblicato su Agenzia Radicale l’11 gennaio 2008.