Anthony M. Quattrone
Le sorprendenti vittorie della senatrice di New York, Hillary Clinton, per i democratici, e del senatore dell’Arizona, John McCain, per i repubblicani nelle primarie dell’8 gennaio nel New Hamphire danno lo spunto per alcune riflessioni sulle traiettorie che si cominciano a intravedere nella campagna elettorale americana. Il fallimento dei sondaggi riguardante il voto democratico nel New Hampshire, il tema del “cambiamento” nello scontro fra la Clinton e il senatore dell’Illinois, Barack Obama, e la strategia dell’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, meritano un’attenta riflessione.
È preoccupante che ben undici sondaggi davano, fino al 7 gennaio, vincente nelle primarie democratiche del New Hampshire Barack Obama, con una media di quasi otto punti percentuali, sulla Clinton. Fra questi sondaggi ci sono anche alcuni svolti da Gallup, Cnn, Cbs News, Zogby per la Reuters, Rasmussen e altri nomi importanti. Il mondo dei sondaggi americani si interroga sul motivo per il quale è incappato nello stesso errore. Sembra che nessuno dei sondaggi avesse seriamente preso in considerazione che circa il venti per cento dei votanti democratici faceva parte degli “indecisi”, che ha, di fatto, scelto per chi votare solo poco prima di entrare nei seggi. Alla presenza di una straordinaria macchina organizzativa, come quella di Hillary Clinton, appoggiata anche dalla struttura ufficiale del Partito democratico nel New Hampshire, si sarebbe dovuto mettere in conto la possibilità di influenzare il voto degli “indecisi”. Infatti, la Clinton ha potuto contare sulla mobilitazione di migliaia di sostenitori e centinaia di autisti che hanno portato gli elettori della propria parte a votare.
La seconda riflessione concerne il tema più impiegato da parte dei democratici, “change”, il cambiamento. Dopo la sonora batosta nel turno elettorale in Iowa, gli strateghi della campagna elettorale della Clinton hanno recepito bene il messaggio che proveniva dall’elettorato in cui si chiede sia il cambiamento, sia la fine dello status quo nella politica a Washington. Attraverso una campagna mediatica precisa, lo staff della Clinton ha ripescato e riutilizzato in grande stile uno slogan già scelto lo scorso luglio dai consulenti della senatrice di New York: “Ready for Change, Ready to Lead” (siamo pronti per il cambiamento, siamo pronti per dirigere). Lo scopo della strategia della Clinton era, ed è, di presentare all’elettorato una visione concreta e realistica del cambiamento, in contrasto con il “sogno” prospettato da Obama. Anche il presidente Bill Clinton, durante vari interventi a sostegno della moglie, ha messo in risalto che il cambiamento proposto da Obama sembra provenire dai libri di fiabe, mentre quanto è proposto da sua moglie, è più concreto e realizzabile. A ribadire la differenza del concetto di “change” fra lei e Obama, la senatrice Clinton ha evidenziato, in un dibattito lo scorso sabato che “le parole non sono azioni” cercando di focalizzare l’attenzione degli elettori sulla concretezza dei suoi programmi e del suo operato politico, rispetto alle proposte e all’attività di Obama.
La terza riflessione riguarda la strategia adottata dal team di Rudi Giuliani. Secondo molti osservatori americani, le idee di Rudi Giuliani e quelle di John McCain, il vincitore fra i repubblicani in Iowa, sono molto simili, e il bacino elettorale repubblicano e indipendente che sostiene i due candidati è, in sostanza, lo stesso. Mentre nel New Hampshire, McCain ha vinto con il 37 percento dei consensi, Giuliani è arrivato solo quarto con il nove per cento, dietro all’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney col 32 per cento, e l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee e vincitore delle primarie in Iowa, Mike Huckabee, con l’undici per cento. La decisione di Giuliani di non impegnarsi e di non investire fondi nelle primarie in Iowa del 3 gennaio, nel Wyoming il 5 gennaio, e nel New Hampshire l’altro ieri, farebbe parte di una strategia mirante a concentrare tutte le forze dell’ex sindaco di New York sulla conquista degli Stati con il più alto numero di delegati, come la Florida il 29 gennaio, e la California, New York e altri venti stati il 5 febbraio, durante il “Super Tuesday”. In diverse interviste, Giuliani ha cercato di spiegare questa strategia, provando a non offendere gli elettori degli Stati “ignorati”. La strategia di Giuliani è ad alto rischio, ma sembrerebbe basato sull’efficienza del minimo sforzo per il massimo guadagno. Se la scommessa gli andrà bene, dovrebbe trovarsi anche con abbastanza fondi a disposizione per arrivare fino alla Convention che si terrà ai primi di settembre per scegliere il candidato repubblicano alle presidenziali di novembre.
La campagna elettorale americana per le primarie si sta dimostrando pieno di sorprese e risulta particolarmente frizzante. Le prossime settimane, fino al “Super Tuesday” del 5 febbraio, in cui si svolgeranno le primarie in ben 22 stati, saranno decisivi. Soprattutto sarà un periodo in cui il carattere e la personalità del candidato, la sua capacità di attingere a tutta la propria forza interiore, e l’abilità di creare le necessarie alleanze per arrivare fino in fondo avranno una fondamentale importanza. La sorpresa del risultato nel New Hampshire non è la prima, e non sarà l’ultima di questa campagna elettorale.
Pubblicata sull’Avanti! il 10 gennaio 2008.