Gli ultra conservatori preparano un film contro Barack Obama.

Anthony M. Quattrone

Il giornalista Leslie Wayne avverte, in un articolo pubblicato sul New York Times dell’8 febbraio, che un gruppo conservatore americano, Citizens United, è al lavoro per produrre un film contro il senatore dell’Illinois, Barack Obama. Il gruppo, che già ha prodotto diversi film, fra cui uno contro la senatrice di New York, Hillary Clinton, è diretto da David N. Bossie, l’ex investigatore per la commissione parlamentare sullo scandalo Whitewater, che coinvolse il presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, su presunti illeciti riguardanti i finanziamenti per la campagna elettorale di Bill. Bossie è stato additato da entrambi i repubblicani e i democratici come un “manipolatore” dell’informazione, tanto da indurre il presidente della Camera nel 1998, il repubblicano Newt Gingrich, a sollecitare la sua rimozione dalla commissione d’inchiesta Whitewater. Leggi tutto l’articolo!

Il repubblicano Romney lascia: ora McCain è ancora più forte.

I democratici Clinton e Obama ancora in pareggio.

Anthony M. Quattrone

L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha deciso di gettare la spugna, sospendendo la sua partecipazione nelle primarie repubblicane, concedendo, di fatto, la vittoria al senatore dell’Arizona, John McCain. Quest’è la notizia battuta dalla Associated Press alle 18,30 del 7 febbraio. Pochi minuti dopo, anche la CNN ha lanciato la notizia aggiungendo che Romney avrebbe dichiarato di farsi da parte “per il bene del partito, e del paese”. Con l’annuncio del ritiro di Romney fra i repubblicani, e il consolidamento della posizione di McCain, diventa essenziale per i democratici trovare una strategia per affrontare già da ora il probabile candidato repubblicano. I repubblicani, nel frattempo, possono iniziare subito la lunga campagna presidenziale di novembre, non sprecando altre preziose risorse nell’identificazione del candidato presidente. Leggi tutto l’articolo!

Super Tuesday: McCain consolida il vantaggio fra i repubblicani, Clinton e Obama alla pari fra i democratici

Anthony M. Quattrone

I risultati del Super Tuesday confermano il consolidamento del senatore dell’Arizona, John McCain, alla testa dei candidati repubblicani, e il sostanziale pareggio fra la senatrice di New York, Hillary Clinton, e il senatore dell’Illinois, Barack Obama, fra i democratici.

Fra i repubblicani, McCain ha vinto in 9 stati, Arizona, California, Connecticut, Delaware, Illinois, Missouri, New Jersey, New York, e Oklahoma. L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha vinto in 7 stati, Alaska, Colorado, Massachusetts, Minnesota, Montana, Nord Dakota, e Utah. L’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, ha vinto in 5 stati, Alabama, Arkansas, Georgia, Tennessee, e West Virginia. La conta dei delegati, che sarà completata durante la giornata odierna, vede già un evidente vantaggio per McCain. Dei 1.081 delegati in gara nel Super Tuesday, 815 sono stati già assegnati: McCain in testa con 504, seguito da Romney con 163, Huckabee con 138, e il deputato del Texas, Ron Paul, con 10. Si prevede che i rimanenti 266 delegati andranno in maggioranza a McCain, mentre non è ancora certo chi otterrà il secondo posto, con Romney e Huckabee abbastanza vicini. Leggi tutto l’articolo!

Oggi è il Super Tuesday!

Anthony M. Quattrone

Oggi è l’appuntamento elettorale più emozionante e forse la più attesa per le primarie americane, il famoso Super Tuesday, quando si terranno le primarie in 22 stati per i democratici e in 19 per i repubblicani. Alla vigilia di questa importantissima tornata elettorale, la Gallup ha pubblicato i risultati di un sondaggio nazionale, che vedrebbe fra i democratici la senatrice di New York, Hillary Clinton, e il senatore dell’Illinois, Barack Obama, sostanzialmente alla pari, con 46 e 44 percento rispettivamente, con un margine di errore di tre punti percentuali, e il senatore dell’Arizona, John McCain, consolidare il suo vantaggio fra i repubblicani, sull’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, con un solido 43 a 24, ben oltre il margine di errore, seguiti dall’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, con 18 punti. Il sondaggio della Gallup si riferisce a dati nazionali raccolti fra il 31 gennaio e il 2 febbraio, e non deve essere confuso con i sondaggi specifici per ciascuna delle primarie del Super Tuesday, dove, in particolare in casa repubblicana, le lunghezze fra McCain e Romney sono meno distanti. Leggi tutto l’articolo!

A 48 ore dal Super Tuesday, Obama raggiunge Clinton nei sondaggi nazionali.

Anthony M. Quattrone

A poco meno di 48 ore dal Super Tuesday del 5 febbraio, quando si svolgeranno le primarie in 22 stati per i democratici e in 19 per i repubblicani, la Gallup ha pubblicato i risultati di un sondaggio nazionale, che vedrebbe fra i democratici la senatrice di New York, Hillary Clinton, e il senatore dell’Illinois, Barack Obama, sostanzialmente alla pari, con 46 e 44 percento rispettivamente, con un margine di errore di 3 punti percentuali, e il senatore dell’Arizona, John McCain, consolidare il suo vantaggio fra i repubblicani, sull’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, con un solido 43 a 24, ben oltre il margine di errore, seguiti dall’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, con 18 punti. Il sondaggio della Gallup si riferisce a dati nazionali raccolti fra il 31 gennaio e il 2 febbraio, e non deve essere confuso con i sondaggi specifici per le primarie del Super Tuesday, dove, in particolare in casa repubblicana, le lunghezze fra McCain e Romney sono meno distanti. Leggi tutto l’articolo!

Edwards e Giuliani si ritirano!

John Edwards si ritira, ma ottiene l’impegno formale di Hillary Clinton e di Barack Obama a lottare per debellare la povertà in America. Rudi Giuliani si ritira e sostiene John McCain.

Memorabile discorso di Barack Obama alla University of Denver

ANTHONY M. QUATTRONE

L’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, ha deciso di “sospendere” la sua partecipazione nelle primarie democratiche. Dopo le primarie in Iowa, New Hampshire, Michigan, Nevada, e Sud Carolina, e prima del Super Tuesday del prossimo martedì, in cui si svolgeranno consultazioni elettorali in 22 stati, Edwards si è fatto da parte per “lasciare che la storia possa tracciare la sua via”, come ha detto nel suo discorso d’addio, a New Orleans, il 30 gennaio. Edwards ha aggiunto che, “con le nostre convinzioni e con un po’ di spina dorsale, ci riprenderemo la Casa Bianca a novembre”. E’ interessante notare che Edwards non ha dichiarato di ritirarsi dalle primarie, ma di “sospendere” la sua partecipazione, sia per poter continuare a ricevere il contributo pubblico per la sua campagna elettorale (un dollaro federale per ogni dollaro ricevuto da finanziatori privati, fino a un massimo di 250 dollari per finanziatore), sia per lasciare aperto uno spiraglio alla sua partecipazione all’azione politica dei democratici nei mesi a venire.

Edwards, tuttavia, ha deciso di non dare il suo appoggio specifico ad uno dei due candidati ancora in gara, la senatrice di New York, Hillary Clinton, o il senatore dell’Illinois, Barack Obama, preferendo di sostenere lo sforzo del partito democratico nel suo complesso, per vincere le presidenziali. L’ex senatore del Nord Carolina ha, tuttavia, strappato una promessa da entrambi i candidati ancora in gara. Clinton e Obama si sono formalmente impegnati con Edwards affinché la lotta per debellare la povertà in America fosse al centro dell’iniziativa del futuro presidente democratico.

La campagna elettorale di Edwards si è fermata dove era iniziata circa 13 mesi fa, a New Orleans. L’ex senatore aveva scelto questa città, vittima della distruzione causata dall’uragano Katrina, per far partire la sua campagna elettorale per dare una voce al “pianto degli oppressi che Washington non sente”. La campagna di Edwards è partita con una sfilza di idee progressiste come la necessità di dare la copertura assicurativa medica universale, è stato il primo a chiedere al Congresso di non finanziare la guerra in Iraq, e si è battuto in prima fila per denunciare il potere delle lobby a Washington, proponendo di regolamentarli.

Hillary Clinton, commentando la decisione di Edwards, ha dichiarato che “John Edwards ha chiuso la sua campagna oggi nello stesso modo in cui l’ha iniziata, stando a fianco alla gente che troppo spesso viene emarginata e lasciata sempre fuori dal nostro dibattito nazionale.”

Per Obama, in un discorso molto appassionato a Denver, ha commentato il ritiro di Edwards complimentandosi con l’ex senatore e sua moglie Elizabeth per la lotta contro la povertà che divide l’America in due, dichiarando che “la coppia ha sempre creduto profondamente che le due Americhe possono diventare una, e che il nostro paese può unirsi attorno a questo scopo comune”. Obama ha incoraggiato i suoi sostenitori ad abbracciare questo obiettivo dei coniugi Edwards.

E’ difficile capire come si comporteranno i sostenitori di Edwards nelle prossime primarie, in mancanza di una sua aperta e decisa preferenza per uno dei due candidati ancora in gara. Secondo un sondaggio condotto qualche giorno fa per l’Associated Press/Yahoo, fra i sostenitori dell’ex senatore il 40 percento appoggerebbe Clinton, il 25 è per Obama, mentre il restante 35 è ancora indeciso.

Mentre Edwards annunciava la “sospensione” della sua campagna elettorale a New Orleans, Barack Obama teneva un discorso, quasi in contemporanea, dinnanzi a 14 mila persone all’Università di Denver, in Colorado. Il numero dei partecipanti è considerato un record se si considera che nel 2004 solo 12 mila democratici votarono nelle primarie democratiche in Colorado.

Alla presenza di Caroline Kennedy, che lo ha presentato al pubblico, Obama ha detto che questa campagna elettorale “riguarda il passato che si batte contro il futuro, e se io sarò il candidato, i repubblicani non potranno far sì che queste elezioni riguardino il passato. Se scegliete il cambiamento, avrete un candidato che non dice alla gente solo quello che vogliono sentire. Le opinioni testate dai sondaggi e le risposte calcolate sono il modo in cui Washington affronta le sfide, ma non è il modo in cui si può vincerle, non è il modo in cui si ispira il nostro paese ad unirsi attorno ad uno scopo comune, e non è quello di cui l’America ha bisogno in questo momento. Avete bisogno di un candidato che dice la verità”.

Il discorso di Obama all’Università di Denver ha riportato alla ribalta concetti cari ai democratici, dai temi legati alla lotta per i diritti civili, a quelli della solidarietà, della libertà, e dell’ottimismo del progresso, ribadendo la necessità di unire l’America. Obama ha detto, “Abbiamo seguito un King (ndr: Martin Luther King) fino alla cima di una montagna, e un Kennedy (ndr: Bob Kennedy) che ci ha chiesto di rigettare l’insensata minaccia della violenza. Siamo il partito di un giovane presidente (ndr: John Fitzgerald Kennedy) che ci ha detto di chiederci cosa potevamo fare per il nostro paese, e che ci ha messo sulla traiettoria per la luna. Siamo il partito di un uomo che ha saputo superare un handicap personale (ndr: Franklin Delano Roosevelt), che ci ha detto che dovevamo avere paura solo della paura stessa, e che ha saputo battere il fascismo e liberare un intero continente dalla tirannia. Siamo il partito di Jackson, che riprese la Casa Bianca per la gente di questo paese. E siamo il partito di Jefferson, che scrisse le parole che ancora ascoltiamo — che siamo stati tutti creati uguali, e che ci mandò ad Ovest a tracciare nuovi sentieri, fare nuove scoperte, ed ad attuare le promesse dei nostri più alti ideali. Ecco chi siamo”. L’intero testo del discorso di Obama è disponibile in rete.

Sul fronte repubblicano, l’ex sindaco di New York Rudi Giuliani ha finalmente annunciato il 30 gennaio di ritirarsi dalla competizione elettorale e ha chiesto ai suoi elettori di sostenere il senatore dell’Arizona, John McCain. Giuliani e McCain sono apparsi insieme alla Biblioteca Presidenziale Ronald Reagan a Simi Valley in California. Giuliani ha dichiarato che “John McCain è il più qualificato dei candidati per essere il prossimo Comandante in Capo degli Stati Uniti. E un eroe americano.” Giuliani ha voluto anche rimarcare il significato del luogo dove ha deciso di annunciare il suo ritiro e l’appoggio che darà a McCain, dichiarando che “è giusto fare questo annuncio qui, presso la biblioteca Reagan perchè la leadership del presidente Reagan rimane un’ispirazione sia per John McCain,sia per me”. McCain, ha ringraziato Giuliani, definendolo “il mio forte braccio destro, il mio partner, il mio amico”.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 31 gennaio 2008.

McCain vince. Giuliani medita di ritirarsi e appoggiare McCain.

ANTHONY M. QUATTRONE

Nelle primarie repubblicane della Florida del 29 gennaio, il senatore dell’Arizona John McCain ha vinto con il 36 percento, contro il 31 per l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, il 15 per l’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, il 13 per l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, e il 3 del deputato del Texas, Ron Paul.  Con questa vittoria, McCain si aggiudica tutti i 57 delegati della Florida che voteranno nella convention repubblicana del prossimo settembre a Minneapolis-Saint Paul, Minnesota.

La vittoria di McCain in Florida non solo conferma la traiettoria positiva che sta caratterizzando le sue ultime prove elettorali, ma getta anche le basi per costruire un’alleanza che potrebbe portarlo a superare il 50 percento dei consensi in casa repubblicana.  Secondo il Devlin Barrett dell’Associated Press, sembrerebbe, infatti, che dopo la cocente sconfitta in Florida, Rudi Giuliani sarebbe intenzionato a gettare la spugna a favore dell’anziano ex prigioniero di guerra..

La possibile alleanza fra McCain e Giuliani potrebbe essere alla base della dichiarazione che McCain ha fatto, dopo aver ricevuto le congratulazioni dell’ex sindaco per la vittoria in Florida.  McCain ha detto, “voglio ringraziare il mio caro, caro amico Rudi Giuliani, che ha investito il suo cuore e la sua anima in queste primarie e si è sempre comportato in linea con le qualità di un eccezionale leader americano, quello che lui è.  Grazie Rudi per tutto quello che hai aggiunto a questa gara e per essere un’ispirazione per me e per milioni d’Americani”.

La sconfitta di Giuliani era nell’aria già da qualche giorno, specialmente da quando McCain, Romney e Huckabee continuavano a guadagnare consensi attraverso le competizioni negli stati più piccoli.

Per gli analisti americani, due fattori maggiori hanno contribuito alla sconfitta di Giuliani.  In primo luogo, Giuliani non era è in linea con il credo conservatore, tanto caro alla destra religiosa americana.  Non è completamente contro l’aborto, non è contrario ad alcuni diritti dei gay, e non ha dimostrato di essere particolarmente a favore della libertà di portare un’arma.  In secondo luogo, Giuliani ha preferito condurre una campagna elettorale atipica, concentrandosi solo sugli stati grossi, con un alto numero di delegati. Questa strategia non gli ha permesso di mettersi in luce negli stati più piccoli, dove si sono svolte le prime consultazioni.  Pertanto, non solo non ha ricevuto una adeguata copertura dei media, ma non è riuscito ad apparire come un “vincitore”.

Per Michael Powell e Michael Cooper del New York Times, la sconfitta di Giuliani in Florida va ricercata in un’altra dinamica, forse ancora più semplice: “Più gli elettori repubblicano lo vedevano, meno lo volevano votare”.  Per i giornalisti del Times, Giuliani ha fatto enormi sforzi per sembrare un “vero” conservatore, ma, non è riuscito a convincere l’elettorato repubblicano in Florida.

In Florida hanno votato anche gli elettori democratici, ma, a causa della decisione della Florida di anticipare le primarie, la direzione nazionale del partito ha privato lo stato di tutti i suoi delegati per la convention del prossimo agosto.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, ha ottenuto il 50% dei voti, contro il 33 per il senatore dell’Illinois, Barack Obama, e il 14 per l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards.

Ora si va spediti verso il Super Tuesday del prossimo 5 febbraio, quando gli elettori in 22 stati voteranno per i candidati democratici e repubblicani.  L’unico appuntamento elettorale prima del Super Tuesday, sarà la competizione repubblicana di venerdì 1 febbraio nel Maine.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 30 gennario 2008.

Oggi si vota in Florida, fra 7 giorni in 22 stati

ANTHONY M. QUATTRONE

Probabilmente oggi si deciderà in Florida la sorte dell’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, per quanto riguarda la sua aspirazione a diventare il candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali USA che si terranno a novembre. Il sindaco più famoso d’America sta conducendo una campagna elettorale alquanto atipica concentrando tutte le sue risorse e l’attenzione sugli stati più grossi dell’Unione, cioè quelle con il numero più alto di delegati che parteciperanno alla Convention Repubblicana che si terrà dall’1 al 4 settembre.

In pratica, Giuliani è stato quasi del tutto assente nelle consultazioni elettorali repubblicane che si sono svolte fino ad ora in sei stati, cioè in Iowa, Wyoming, Michigan, New Hampshire, Nevada, e Sud Carolina, riscuotendo punteggi percentuali bassissimi. Durante il mese di gennaio, Giuliani ha visto scendere il suo consenso a livello nazionale dal un picco del 44 percento raggiunto in un sondaggio nazionale della ABC News/Washington Post nel febbraio dello scorso anno, al magro 12 percento dell’ultimo sondaggio condotto per il Los Angeles Times/Bloomberg il 22 gennaio 2008, che lo piazza al quarto posto, dietro al senatore dell’Arizona, John McCain con 22 percento, l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, con 18 percento, e l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, con 17.

La settimana scorsa, Giuliani ha dovuto registrare anche una sonora stroncatura da parte del New York Times, il quale ha deciso non solo di appoggiare John McCain come miglior candidato per i repubblicani, ma ha anche voluto spiegare in dettaglio perchè non può appoggiare l’ex sindaco di New York. Il New York Times appoggiò Giuliani per la sua rielezione nel 1997, perchè era convinto che il sindaco aveva trasformato New York da una città sporca, pericolosa, ed ingovernabile, in una città pulita, sicura, e ordinata. Per il giornale, il Giuliani di allora non esiste più, se è mai esistito, e quello che è venuto alla luce in questi ultimi anni è un arrogante, reticente, e vendicativo politico, che ha utilizzato ed utilizza il potere per fini personali, circondandosi di pessimi collaboratori, alcuni dei quali sono finiti sotto inchiesta per crimini di varia natura. Il New York Times accusa Giuliani anche di aver sfruttato per fini politici il disastro dell’undici settembre e le paure create dal terrorismo, scrivendo che “il Rudolph Giuliani del 2008 ha vergognosamente trasformato l’orrore dell’undici settembre in un affare lucrativo, con una lista di clienti segreti, per poi sfruttare il peggiore incubo della città e del paese, per promuovere la sua campagna elettorale”.

Quali sono le reali possibilità di Giuliani in Florida? Secondo la media dei sette sondaggi più recenti, McCain e Romney sono alla pari con il 27 percento, seguiti da Giuliani con il 17 percento, da Huckabee con 15, ed infine, da Ron Paul, con 4 percento. Non sembra, secondo i sondaggi, che Giuliani ha la pur minima possibilità di vincere in Florida, dove le regole del partito repubblicano prevedono che al vincitore spettano tutti i 57 delegati in palio. Nel campo di Giuliani, si spera che i sondaggi si sbaglino ancora una volta, così com’è successo per i democratici in alcune occasioni in queste ultime tornate elettorali.

Sul fronte democratico Barack Obama ha sbancato nel Sud Carolina sabato scorso, andando oltre tutte le previsioni dei sondaggi, ottenendo il 55 percento dei consensi degli elettori democratici. Hillary Clinton ha ottenuto il secondo posto con il 27 percento, davanti a John Edwards con il 18 percento.

La straordinaria partecipazione popolare nelle primarie democratiche nel Sud Carolina, dove oltre 530 mila cittadini hanno votato, registrando l’83,5 percento di aumento rispetto al 2004, quando 290 mila democratici votarono, indica che l’interesse popolare nei confronti dei democratici si va consolidando, seguendo una traiettoria iniziata in Iowa e continuata negli altri stati dove, fino ad ora, si sono svolte le primarie del partito dell’asinello.

Secondo un exit poll condotto per il New York Times , circa il 55 percento dei votanti era composto da neri e 43 percento da bianchi. Obama è riuscito a conquistare il 78 percento del voto nero, Clinton il 19, e Edwards il 2 percento. Fra i bianchi, Obama ha ottenuto solo il 24 percento, contro il 36 per Clinton e il 40 per Edwards.

Secondo Patrick Healy del New York Times, la vittoria di Obama è in parte dovuta al fatto che il senatore dell’Illinois “è riuscito a portare al voto un altissimo numero di neri, una dinamica che non si dimostrerà necessariamente decisiva nei 22 stati in cui si svolgeranno le consultazioni il 5 febbraio”. Nel suo articolo del 27 gennaio, Healy scrive che Obama ha ottenuto “una quota del voto bianco, il 24 percento, al di sotto di quanto ottenuto in Iowa e nel New Hampshire, un dato che solleva la preoccupazione che la questione razziale potrà dividere i democratici, anche a fronte dello straordinario entusiasmo che il partito dimostra nei confronti dei suoi candidati”.

Secondo l’influente deputato nero del Sud Carolina, James Clyburn, il quale continua a dichiarare una formale neutralità nei confronti di tutti i candidati democratici, gli attacchi molto duri che l’ex presidente Bill Clinton ha rivolto contro Obama lo hanno aiutato a procedere in avanti. Per Clyburn, se Obama vincerà la candidatura democratica, “dovrà affrontare un’offensiva piena di attacchi quest’autunno, e potrà rivolgere lo sguardo verso il Sud Carolina, come il posto che lo ha temprato”.

Obama, immediatamente dopo aver appreso i risultati ha dichiarato, ad una folla festante in Columbia, la capitale del Sud Carolina, che “stasera, ai cinici che credevano che quello che era iniziato nelle nevi dell’Iowa era solo un’illusione è stata raccontata una storia diversa dalla brava gente del Sud Carolina. Dopo quattro grosse competizioni in ogni angolo del paese, abbiamo più voti, più delegati, e la più diversa coalizione di Americani che abbiamo visto da tanto, tantissimo tempo”.

Obama, rispondendo ad un attacco dei coniugi Clinton, che prima delle primarie del Sud Carolina hanno utilizzato qualche frase di Obama, fuori del contesto in cui erano state pronunciate, per far sembrare che il senatore dell’Illinois era favorevole alle idee dei repubblicani, ha dichiarato che “siamo di fronte a decenni di amara partigianeria che porta i politici a demonizzare gli avversari, invece di avvicinarsi. E’ un tipo di partigianeria che ti vieta anche di dire che un repubblicano ha un’idea, anche se è un’idea che non condividi. Questo tipo di politica non fa bene al nostro partito, e non fa bene al nostro paese.”

In un editoriale del New York Times di domenica, Caroline Kennedy, la figlia del presidente John F. Kennedy, assassinato nel 1963, ha scritto un opinione a favore di Barack Obama intitolato “Un presidente come mio padre”. Caroline scrive che “non ho mai visto un presidente che mi ha potuto ispirare nel modo in cui le persone mi dicono che mio padre ispirava loro. Ma per la prima volta, penso che ho trovato un uomo che potrebbe essere quel presidente—non solo per me, ma per una nuova generazione di americani”. Ora si attende che anche il fratello del presidente Kennedy, il senatore del Massachusetts e patriarca del partito democratico, Ted Kennedy, prenda posizione a favore di Obama.

Pubblicato sull’Avanti! del 29 gennaio 2008.

Per Obama la risorsa Ted Kennedy

ANTHONY M. QUATTRONE

Il patriarca del partito democratico, il senatore Ted Kennedy, ha finalmente deciso di annunciare pubblicamente che appoggerà la Barack Obama per la candidatura democratica per le presidenziali del 2008. L’annuncio di Ted Kennedy è avvenuto un giorno dopo la presa di posizione di Caroline Kennedy, figlia del presidente John Fitzgerald Kennedy, domenica mattina, quando sul New York Times ha definito Obama “un presidente come mio padre”

L’annuncio di Ted Kennedy, unico fratello in vita del presidente John e del compianto Robert, entrambi assassinati negli anni 60, è stato fatto ieri all’American University a Washignton, alla presenza di Caroline, del deputato del Rhode Island, Patrick J. Kennedy, e dello stesso Obama. Il senatore Kennedy ha dichiarato, dinnanzi ad una folla festante di studenti e accademici, che Obama “è un leader che vede con chiarezza il mondo, senza essere un cinico. E’ un combattente che si appassiona per le cause in cui crede, senza demonizzare coloro che hanno un punto di vista diverso dal suo”.

Per Kennedy, “con Obama abbiamo un nuovo leader nazionale che sta impostando per l’America un tipo diverso di campagna, che non riguarda solo se stesso, ma tutti noi. E’ una campagna a proposito del paese che sapremo diventare, se saremo capaci di innalzarci sopra la vecchia politica che ci classifica in gruppi diversi, l’uno contro l’altro”.

Secondo Jeff Zeleny del New York Times, Ted Kennedy ha voluto dare un tono personale alla dichiarazione di sostegno per Obama citando diverse volte i suoi due fratelli assassinati, cosa che il senatore fa molto di rado in pubblico. Nel suo articolo, Zeleny riferisce un’affermazione nel quale Ted Kennedy collega Barack Obama a suo fratello John: “C’era un altro tempo, in cui un altro giovane candidato gareggiava per la presidenza e sfidava l’America a varcare una nuova frontiera. Affrontò le critiche rivoltegli da un precedente presidente democratico, che era molto rispettato nel partito” riferendosi a Harry S. Truman. “E John Kennedy rispose: ‘Il mondo sta cambiando. I vecchi modi di fare non funzionano più. E’ venuto il momento per una nuova generazione di leadership’. E così è nel caso di Barack Obama”.

Il sostegno dei Kennedy potrebbe essere determinante per Obama nel contrastare la forza organizzativa di Hillary Clinton. Nelle primarie che si svolgeranno in ben 22 stati nel Super Tuesday di martedì 5 febbraio, Obama non potrà contare sul forte sostegno degli elettori neri, ma dovrà cercare di ottenere ampi consensi nella comunità ispanica, tradizionalmente vicino a Bill e Hillary Clinton, e fra i bianchi. La figura dominante di Ted Kennedy nel partito democratico e l’immensa rete di contatti politici sviluppati dal “Kennedy Clan” saranno messe alla prova la settimana prossima.

La forza e l’esperienza dei Kennedy saranno sicuramente fondamentali per Obama quando dovrà affrontare attacchi spregiudicati da parte degli avversari. I Clinton ora, e i repubblicani un domani, se Obama diventerà il candidato presidenziale dei democratici, sapranno sfruttare ogni errore del giovane senatore, e gli imputeranno qualsiasi manchevolezza, reale o presunta. Per esempio, Hillary Clinton ha recentemente accusato Obama di aver avuto il sostegno dell’imprenditore immobiliare di Chicago, Antoin “Tony” Rezko, un indiziato per frode, per il quale un giudice federale ha revocato ieri la cauzione di due milioni di dollari, arrestandolo nell’attesa del processo che si svolgerà il prossimo 25 febbraio.

Rezko ha contribuito finanziariamente in passato alle campagne elettorali di Obama per deputato alla Camera dei Deputati dell’Illinois e per il Senato USA, oltre all’attuale campagna per le primarie democratiche. Nel 2006, quando Obama fu informato delle accuse federali contro Rezko, il senatore donò $11.500 ricevuti dall’imprenditore ad attività di beneficenza. All’inizio di gennaio di quest’anno, Obama ha devoluto in beneficenza anche $40.000 che ha ricevuto per le sue campagne precedenti da donatori collegati in qualche modo a Rezko.

Forse l’immediata reazione di Obama nel distanziarsi da Rezko, donando in beneficenza i finanziamenti ricevuti, e la sua totale estraneità alle attività dell’indiziato, gli hanno permesso di bloccare subito qualsiasi speculazione giornalistica e politica, incluso l’infelice attacco da parte dei coniugi Clinton. La campagna elettorale è lunga, e la strada che Obama dovrà percorrere sarà piena di tanti altri attacchi politici e personali. La forza dei Kennedy sarà sicuramente una preziosissima risorsa per il giovane senatore nero dell’Illinois nel percorrere la strada tutta in salita verso la nomination democratica.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 29 gennaio 2008.

Barack Obama vince oltre le previsioni in Sud Carolina.

ANTHONY M. QUATTRONE

Barack Obama sbanca nel Sud Carolina, andando oltre tutte le previsioni dei sondaggi, ottenendo il 55,40 percento dei consensi degli elettori democratici.  Hillary Clinton ha ottenuto il secondo posto con il 26,5 percento, davanti a John Edwards con il 17,6 percento.

La straordinaria partecipazione popolare nelle primarie democratiche nel Sud Carolina, dove oltre 530 mila cittadini hanno votato, registrando l’83,5 percento di aumento rispetto al 2004, quando 290 mila democratici votarono, indica che l’interesse popolare nei confronti dei democratici si va consolidando, seguendo una traiettoria iniziata in Iowa e continuata negli altri stati dove, fino ad ora, si sono svolte le primarie del partito dell’asinello.

Secondo un exit poll condotto per il New York Times , circa il 55 percento dei votanti era composto da neri e 43 percento da bianchi.  Obama è riuscito a conquistare il 78 percento del voto nero, Clinton il 19, e Edwards il 2 percento.  Fra i bianchi, Obama ha ottenuto solo il 24 percento, contro il 36 per Clinton e il 40 per Edwards.

Secondo Patrick Healy del New York Times, la vittoria di Obama è in parte dovuta al fatto che il senatore dell’Illinois “è riuscito a portare al voto un altissimo numero di neri, una dinamica che non si dimostrerà necessariamente decisiva nei 22 stati in cui si svolgeranno le consultazioni il 5 febbraio”.  Nel suo articolo del 27 gennaio, Healy scrive che Obama ha ottenuto “una quota del voto bianco, il 24 percento, al di sotto di quanto ottenuto in Iowa e nel New Hampshire, un dato che solleva la preoccupazione che la questione razziale potrà dividere i democratici, anche a fronte dello straordinario entusiasmo che il partito dimostra nei confronti dei suoi candidati”.

Secondo l’influente deputato nero del Sud Carolina, James Clyburn, il quale continua a dichiarare una formale neutralità nei confronti di tutti i candidati democratici, gli attacchi molto duri che l’ex presidente Bill Clinton ha rivolto contro Obama lo hanno aiutato a procedere in avanti.  Per Clyburn, se Obama vincerà la candidatura democratica, “dovrà affrontare un’offensiva piena di attacchi quest’autunno, e potrà rivolgere lo sguardo verso il Sud Carolina, come il posto che lo ha temprato”.

Obama, immediatamente dopo aver appreso i risultati ha dichiarato, ad una folla festante in Columbia, la capitale del Sud Carolina, che “stasera, ai cinici che credevano che quello che era iniziato nelle nevi dell’Iowa era solo un’illusione è stata raccontata una storia diversa dalla brava gente del Sud Carolina. Dopo quattro grosse competizioni in ogni angolo del paese, abbiamo più voti, più delegati, e la più diversa coalizione di Americani che abbiamo visto da tanto, tantissimo tempo.”

Obama, rispondendo ad un attacco dei coniugi Clinton, che prima delle primarie del Sud Carolina hanno utilizzato qualche frase di Obama, fuori del contesto in cui erano state pronunciate, per far sembrare che il senatore dell’Illinois era favorevole alle idee dei repubblicani, ha dichiarato che “siamo di fronte a decenni di amara partigianeria che porta i politici a demonizzare gli avversari, invece di avvicinarsi.  E’ un tipo di partigianeria che ti vieta anche di dire che un repubblicano ha un’idea, anche se è un’idea che non condividi.  Questo tipo di politica non fa bene al nostro partito, e non fa bene al nostro paese.”

In un editoriale del New York Times di oggi, Caroline Kennedy, la figlia del presidente John F. Kennedy, assassinato nel 1963, ha scritto un opinione a favore di Barack Obama intitolato “Un presidente come mio padre”.  Caroline scrive che “non ho mai visto un presidente che mi ha potuto ispirare nel modo in cui le persone mi dicono che mio padre ispirava loro.  Ma per la prima volta, penso che ho trovato un uomo che potrebbe essere quel presidente—non solo per me, ma per una nuova generazione di americani”.

I democratici si concentreranno nei prossimi dieci giorni sulla tornata elettorale del 5 febbraio, quando in 22 stati si svolgeranno le consultazioni.  I repubblicani dovranno prima completare la gara in Florida, martedì 29 gennaio, dove al vincitore saranno assegnati tutti i 57 delegati in palio, per poi affrontare il Super Tuesday del 5 febbraio.  In Florida, voteranno anche i democratici, ma la direzione nazionale del partito ha tolto alla Florida tutti i delegati, sanzionando lo stato per aver anticipato la data delle primarie a gennaio.

Pubblicato su Agenzia Radicale il 27 gennaio 2008.