Obama e McCain, la vittoria potrebbe venire dai vice

Democratic presidential nominee Sen. Barack Obama, D-Ill., gives a thumbs up after speaking at the Democratic National Convention in Denver, Thursday, Aug. 28, 2008. (AP Photo/Jeff Chiu)
Democratic presidential nominee Sen. Barack Obama, D-Ill., gives a thumbs up after speaking at the Democratic National Convention in Denver, Thursday, Aug. 28, 2008. (AP Photo/Jeff Chiu)

Anthony M. Quattrone

Giovedì sera si è conclusa a Denver, nel Colorado, la Convention del Partito democratico che ha incoronato il senatore dell’Illinois, Barack Obama, come candidato ufficiale del partito per le elezioni presidenziali americane del 4 novembre. Dinnanzi ad oltre ottantamila partecipanti, Obama ha tenuto un discorso in cui ha toccato i temi fondamentali che dovrebbero marcare la sua presidenza: lo stato dell’economia, il sistema sanitario nazionale, la condizione delle scuole, e la sicurezza degli Stati Uniti.

La settimana prossima sarà il turno dei repubblicani, che terranno la loro Convention dall’1 al 4 settembre 2008 a Minneapolis-St. Paul, nel Minnesota, dove il senatore dell’Arizona, John McCain, dovrebbe annunciare il nome del candidato repubblicano alla vice presidenza.

Pochi giorni prima della Convention democratica, Obama aveva scelto il senatore del Delaware, Joseph Biden, come candidato alla vice presidenza. Con la scelta di Biden, gli strateghi democratici speravano e sperano ancora di convincere quegli elettori preoccupati per l’apparente mancanza di esperienza del giovane senatore afro americano a sostenerlo. Biden, senatore dal 1973, porta un enorme bagaglio d’esperienza sia in politica estera, sia nel campo giudiziario. Dal 1987 al 1995, Biden è stato il presidente della commissione giustizia del Senato, partecipando a diverse audizioni per nominare giudici alla Corte Suprema. Successivamente, si è alternato con i repubblicani alla presidenza dell’importante commissione politica estera del senato, di cui è attualmente il presidente. Leggi tutto l’articolo!

Il voto degli americani si baserà sull’economia

I piani economici di McCain e Obama dinnanzi agli elettori Usa

Anthony M. Quattrone

L’economia americana è sempre in primo piano nelle presidenziali USA.  Secondo un sondaggio della CNN/Opinion Research Corp, il 48 percento degli intervistati pensa che l’economia sarà il fattore che maggiormente influenzerà come voterà a novembre.  Gli americani che dichiarano che la loro decisione di voto si baserà sul fattore economico è in netta salita, dal 35 percento di gennaio, e dal 42 percento di giugno.  Sempre secondo il sondaggio, solo il 18 percento degli intervistati indica, come fattore primario, la guerra in Iraq, mentre il 13 percento indica il tema dell’assistenza sanitaria.

Sempre secondo il sondaggio della Cnn, il 54 percento degli intervistati crede che il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, ha una migliore ricetta per curare l’economia, contro il 43 percento che favorisce le politiche economiche annunciate dal senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain.  Secondo Mark Vitner, un’economista della banca Wachovia, “quando l’economia va male, la preferenza degli elettori è di solito per il partito che sta all’opposizione”.  Vitner precisa, tuttavia, che “storicamente, quando i consumatori sono preoccupati a proposito dell’inflazione, tendono a votare per i repubblicani, mentre quando sono preoccupati per l’occupazione, tendono a votare democratico”.  McCain, pertanto, potrebbe trovare beneficio dall’inflazione che inizia a farsi sentire. Leggi tutto l’articolo!

McCain e Obama non superano il 50 percento nei sondaggi.

Testa a testa fra McCain e Obama nei sondaggi

Anthony M. Quattrone

Fra un mese si svolgerà la Convention democratica a Denver, Colorado, dove il senatore dell’Illinois, Barack Obama, riceverà l’investitura ufficiale come candidato del partito alle presidenziali Usa del prossimo novembre. Infatti, per il momento, Obama è il “presumptive candidate” (il candidato presunto o supposto) democratico, così come lo è il senatore dell’Arizona, John McCain, per i repubblicani, fino a quando non riceverà l’investitura ufficiale del partito durante la Convention che si terrà a St. Paul, Minnesota, ai primi di settembre.

Albert R. Hunt, dell’agenzia Bloomberg News, ha scritto sull’ International Herald Tribune, del 28 luglio 2008, che le elezioni presidenziali americani ricordano le diverse fasi dell’iter scolastico. Durante le primarie, i candidati si comportano come gli studenti delle elementari, “con una partenza eccitante e imprevedibile”. Nella fase finale, dopo l’investitura ufficiale delle rispettive Convention, si comportano come studenti della scuola secondaria superiore, che agiscono con la consapevolezza che la posta in gioco è il proprio futuro. Fra la fine delle primarie e l’investitura ufficiale delle Convention, c’è un periodo paragonabile alle scuole medie, che Hunt definisce “una disagevole e innaturale esistenza che ti prepara per il grande palcoscenico”.

Seguendo questa metafora, secondo Hunt, Obama sta imparando tantissimo e sta ottenendo il massimo dei voti durante “la scuola media,” mentre McCain sta ottenendo appena la sufficienza. Per Hunt, Obama sta utilizzando il periodo fra la fine delle primarie e l’inizio della Convention democratica magistralmente, come può essere dimostrato dal successo del viaggio di otto giorni all’estero, dove ha potuto sfoggiare uno stile “presidenziale e rassicurante, evitando passi falsi”. Hunt descrive il contrasto fra l’immagine di un Obama “vigoroso nell’elicottero che sorvola l’Iraq, mentre McCain si è fatto ritrarre in un campo di golf, spostandosi in un veicolo elettrico, assieme all’ex presidente, George H. W. Bush — 155 anni in due”. Leggi tutto l’articolo!

Obama conquista Berlino.

Obama in Berlin after speechAnthony M. Quattrone

Abbiamo atteso 45 anni per vedere un politico americano riempire le strade di una grande capitale dell’Europa occidentale piena di sostenitori e simpatizzanti con tante bandiere americane, e non di contestatori anti-americani pronti a lanciare bombe molotov e bruciare il vessillo a stelle e strisce. Secondo la polizia di Berlino, oltre 200 mila persone hanno riempito la Tiergarten Park e la strada che collega la Colonna della Vittoria alla storica porta di Brandenburgo, per ascoltare il primo discorso del tour europeo del candidato democratico alla presidenza Usa, il senatore dell’Illinois, Barack Obama.

Il 28 giugno del 1963, il 35mo presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, pronunciò uno storico discorso dinnanzi a 120 mila berlinesi, da un balcone del municipio della Berlino libera, la Schöneberg Rathaus, dichiarando che “tutti gli uomini liberi, ovunque si trovino, sono cittadini della libera Berlino. E pertanto, come uomo libero, mi vanto di pronunciare le parole ‘Ich bin ein Berliner’ (ndt: io sono un berlinese)”. Obama non ha detto niente di altrettanto storico e eclatante il 24 luglio nel discorso che ha tenuto a Berlino, ma ha saputo dare un chiaro e convincente messaggio all’Europa: se diventerà il nuovo presidente americano, la musica da Washington cambierà, perché l’America di Obama è quella della solidarietà con chi soffre, della giustizia sociale, delle pari opportunità, ma anche l’America che si dona completamente e generosamente nella lotta per  la libertà, cioè l’America che la gran parte degli europei ama.

Nel suo discorso Obama ha toccato i principali temi della politica estera americana, spaziando dalla guerra al terrorismo, alla questione del nucleare in Iran, e la guerra in Iraq, evitando di criticare direttamente sia il presidente in carica, George W. Bush, sia il candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain. Anche se Obama ha preso atto che non sempre gli Usa hanno agito nel migliore dei modi, ha voluto ribadire il suo patriottismo prendendo atto che “il mio Paese non è perfetto. Ci sono state occasioni in cui abbiamo dovuto lottare per i nostri diritti. Abbiamo fatto degli errori. Ma questo non diminuisce l’amore che ho verso la mia Patria”. Leggi tutto l’articolo!

Obama inizia il suo viaggio all’estero.

Uno staff di 300 collaboratori lo assiste per la politica estera

Anthony M. Quattrone

Ha destato molto interesse la notizia diffusa il 18 luglio 2008 dalla giornalista del New York Times, Elisabeth Bumiller, che il candidato democratico alle presidenziali USA del 2008, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, ha una squadra di circa 300 persone che lavorano per lui in materia di politica estera.  La Bumiller descrive un’equipe organizzata come un piccolo “dipartimento di stato”, suddivisa per temi o zone geografiche in venti diversi gruppi di lavoro.  Ogni mattina, entro le 8, la squadra produce, dal quartiere generale di Chicago, due e-mail per Obama.  La prima descrive gli eventi internazionali delle precedenti 24 ore, mentre la seconda fornisce una serie di possibili domande che potrebbero essere rivolte al candidato democratico da parte della stampa, suggerendo anche le risposte.

Il cuore della squadra è composto di ex collaboratori minori del governo del presidente Bill Clinton, cui si stanno affiancando ora anche quelli più blasonati, come gli ex segretari di stato, Madeleine Albright e Warren Christopher, i quali, durante le recenti primarie, hanno sostenuto la senatrice di New York, Hillary Clinton. Leggi tutto l’articolo!

Politica estera al centro della campagna presidenziale USA

Anthony M. Quattrone

E’ difficile comprendere quale traiettoria imboccherà la politica estera americana dopo le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Una vittoria democratica potrebbe essere caratterizzata da una totale discontinuità con la politica estera perseguita durante gli ultimi otto anni dal presidente George W. Bush.  Molti sperano che la Casa Bianca abitata dal senatore dell’Illinois, Barack Obama, possa divenire il centro di un nuovo modo di concepire la politica mondiale, dove la priorità dell’azione concordata, e multilaterale, metterebbe in secondo piano la tentazione di agire in unilateralmente. Leggi tutto l’articolo

Obama in difficoltà con i sostenitori della Clinton, e sotto torchio per l’Iraq

Anthony M. Quattrone

E’ ancora lontana l’auspicata unità del partito democratico USA, o almeno quella dei sostenitori dei due principali candidati che hanno lottato per la nomination democratica durante il corso dei precedenti 17 mesi. L’incontro del 27 giugno 2008, a Unity, New Hampshire, quando la senatrice di New York, Hillary Clinton, è apparsa per la prima volta in pubblico assieme al senatore dell’Illinois, Barack Obama, chiedendo a tutti i democratici, ed in particolare ai suoi sostenitori, di unirsi per portare un democratico alla Casa Bianca. Leggi tutto l’articolo!

Le due sponde dell’Atlantico: tra multilateralismo ed integrazione

Diana De Vivo

A distanza di pochi giorni dal “No” irlandese in seguito al referendum indetto dal paese per la ratifica del Trattato di Lisbona, che riprende quasi il 90% delle riforme promosse con il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 2005, l’Europa unita sente inesorabilmente sorgere il lontano eco della “crisi di riflessione” che si insinuò tra le democrazie del continente in seguito alla bocciatura francese ed olandese dello stesso. Ed ecco immediatamente riproporsi uno scenario che ha il sapore dell’avvenuto, ancestrale timore dei governi d’Europa, e che spinge ad “andare avanti”, come esorta con impagabile lucidità Nicolas Sarkozy, Presidente del paese che ha appena assunto la guida dell’Unione. Leggi tutto l’articolo!

McCain a caccia del voto religioso; Obama cerca voti fra gli operai

Anthony M. Quattrone

La competizione elettorale per la presidenza USA fra il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, e il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, è entrata nella delicata fase dove i candidati devono unire o tentare di tenere unite le proprie basi elettorali, mentre creano coalizioni miranti a superare il quorum di 270 voti elettorali necessari per arrivare alla Casa Bianca.

Si ricordi che l’elezione del presidente americano non avviene attraverso il voto popolare diretto, bensì attraverso un Collegio presidenziale di cui fanno parte 538 grandi elettori. In pratica, a novembre si svolgeranno 51 elezioni separate, una per ognuno dei 50 stati, più una per il Distretto di Columbia, sede della capitale, Washington. In 49 di queste competizioni, vigerà la regola del “winner takes all”, vale a dire, chi ottiene la maggioranza dei voti popolari, otterrà il voto di tutti i grandi elettori che rappresenteranno quello stato nelle deliberazioni del Collegio presidenziale, il quale, di fatto, eleggerà il presidente. Due stati, il Maine ed il Nebraska, fanno da eccezione, con un totale di soli 17 voti, perchè utilizzano un sistema basato sui distretti elettorali all’interno dei rispettivi stati, con una correzione per chi ottiene la maggioranza del voto popolare a livello statale. Leggi tutto l’articolo!

I sindacati americani per Obama

Anthony M. Quattrone

La maggiore confederazione sindacale americana, l’AFL-CIO, forte dei suoi nove milioni di iscritti suddivisi in 56 sindacati, ha deciso formalmente di appoggiare la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti del senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama.  La decisione della AFL-CIO segue quella del suo maggiore concorrente sindacale, Change to Win, che già lo scorso 21 febbraio annunciava la decisione di appoggiare Obama.  Change to Win rappresenta oltre sei milioni di lavoratori, suddivisi in sette potenti sindacati americani.  La forza economica delle due confederazioni sindacali è significativa, permettendo al senatore afro americano di poter contare su circa 300 milioni di dollari, e, secondo le stime sindacali, sul voto di almeno uno di ogni quattro elettori che andranno alle urne il prossimo novembre. Leggi tutto l’articolo!