Hillary Clinton agli esteri? Conflitto d’interesse permettendo

Anthony M. Quattrone

In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clintons globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)
In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clinton's globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)

La notizia della possibile nomina della senatrice di New York, Hillary Clinton, alla posizione chiave di Segretario di Stato nella nuova amministrazione americana, ha trovato largo consenso fra i commentatori e i politici americani di entrambi gli schieramenti.  Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso di fare un governo che dovrebbe includere avversari interni al partito democratico e anche qualche repubblicano.  Durante le primarie democratiche, Obama e la Clinton hanno sferrato duri attacchi l’uno contro l’altro, e non molti osservatori avrebbero scommesso sulla capacità del partito democratico di arrivare unito alle elezioni di novembre.  Dopo la vittoria di Obama nelle primarie, i sondaggi registravano una continua disaffezione da parte dei sostenitori della Clinton nei confronti del giovane senatore afro americano.  Tuttavia, il grosso lavoro svolto dalla senatrice di New York e da suo marito, l’ex presidente Bill Clinton, durante le ultime settimane della campagna elettorale, per convincere gli operai delle zone industriali del Paese ad appoggiare Obama, ha probabilmente contribuito in modo decisivo alla vittoria dei democratici sia alla Casa Bianca, sia al Congresso, e ha permesso un riavvicinamento fra la coppia Clinton e il presidente eletto.

La nomina della Clinton potrebbe avvenire già questa settimana, e secondo James Carville, l’ex stratega della Clinton in campagna elettorale e attuale commentatore politico per la Cnn, “c’è molta spinta in questa direzione, e potrebbe accadere”.  Diversi esponenti repubblicani di primo piano, come Henry Kissinger, che ha ricoperto il ruolo di Segretario di Stato nei governi repubblicani di Richard Nixon e di Gerald Ford, e Arnold Schwarzenegger, il governatore della California, hanno commentato molto favorevolmente le voci sulla possibile nomina della Clinton.  Kissinger ha dichiarato che la Clinton “è una donna di grande intelligenza, che ha dimostrato una grande determinazione – sarebbe un eccellente nomina”.  Per Schwarzenegger, la Clinton “è una donna molto, molto intelligente e ha grande esperienza.  Sarebbe una mossa vincente.” Leggi tutto l’articolo

La transizione da Bush ad Obama è iniziata

President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)
President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto americano, Barack Obama, ha iniziato il lavoro per la transizione alla Casa Bianca, che si concluderà con l’insediamento del 20 gennaio 2009, quando presterà il giuramento di fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Secondo le migliori tradizioni americane, il presidente in carica, George W. Bush, e la sua amministrazione garantiranno al nuovo governo un passaggio di consegne senza intoppi, specialmente in considerazione che il Paese è attualmente impegnato su due fronti militari abbastanza impegnativi e sta affrontando una crisi economica, forse senza precedenti.

I primi due collaboratori scelti dal presidente eletto, per attuare la transizione, sembrano indicare chiaramente che il neo eletto presidente vorrà seguire una traiettoria progressista nella formazione del suo governo. Obama ha nominato, per il ruolo di Capo di Gabinetto, un clintoniano di ferro, il deputato democratico dell’Illinois, Rahm Emanuel, considerato un grande amico d’Israele, un liberal nel campo della politica sociale ed economica, ma anche un politico molto pragmatico ed un profondo conoscitore dei meccanismi del Congresso.  Obama ha scelto Joseph Podesta, l’ex Capo di Gabinetto di Bill Clinton, da affiancare a Valerie Jarrett e Pete Rouse, che già facevano parte della cerchia ristretta di suoi collaboratori, per guidare la squadra responsabile per la transizione fra l’amministrazione in carica e quella del futuro presidente.  Podesta è da diversi giorni al lavoro con lo staff di Bush, assieme ad un centinaio di collaboratori democratici, già in possesso di un nulla osta di segretezza, che si affiancheranno alle loro controparti repubblicane per i prossimi due mesi.

Secondo il portavoce del presidente eletto, Stephanie Cutter, nessuna nomina per le cariche nel nuovo governo dovrebbe essere annunciata durante questa settimana, ma Obama potrebbe comunicare la scelta di consiglieri che dovrebbero affiancarlo durante la sua presidenza.  L’attenzione degli organi d’informazione americani si stanno focalizzando sulla promessa che Obama ha fatto, durante la sua campagna elettorale, di nominare anche alcuni repubblicani a ricoprire ruoli di prestigio all’interno della sua amministrazione.  Secondo la stampa americana, il generale Colin Powell, l’ex Segretario di stato del primo governo dell’attuale presidente Bush, potrebbe essere in lizza per il ministero della pubblica istruzione.  Si ricorda che Powell ha dato il suo sostegno ad Obama proprio a qualche settimana dalle elezioni, forse garantendogli il voto di molti indecisi.  Il senatore repubblicano del Nebraska, Chuck Hagel, è un possibile candidato per la Difesa, mentre il senatore repubblicano dell’Illinois, Richard Lugar, potrebbe aspirare a diventare il Segretario di stato.  In passato, anche Bill Clinton scelse di nominare un repubblicano alla difesa, forse per alleviare le preoccupazioni dei vertici militari, ma non sarebbe ipotizzabile che Obama nomini dei repubblicani sia alla difesa, sia agli esteri, e, pertanto è più probabile che un repubblicano vada alla difesa, mentre la scelta agli esteri potrebbe ricadere su un democratico, come il senatore del Massachusetts, John Kerry, o sull’ambasciatore Richard Holbrooke.  Leggi tutto l’articolo

L’America del “yes, we can!” ha scelto Obama

I democratici vincono anche al Congresso

President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)
President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)

Anthony M. Quattrone

L’America ha scelto il suo presidente: sarà il senatore democratico dell’Illinois, Barack Hussein Obama, a guidare gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, forte del consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Le elezioni del 2008 saranno ricordate non solo come le più costose nella storia degli Stati Uniti, con oltre un miliardo e mezzo di dollari spesi dai due partiti e dai diversi candidati durante le primarie e la fase finale delle presidenziali, ma anche perchè sono le prime che hanno coinvolto in modo totale l’intera comunità mondiale, sia per i possibili risvolti che la politica presidenziale americana possa avere sulle relazioni internazionali, sia per l’immediatezza delle notizie provenienti dall’America.

L’elezione di Obama va incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scelga la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mette l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. La politica di Obama, come è stata prospettata durante i 21 mesi di campagna elettorale, è una combinazione di idealismo progressista, tipicamente americano, abbinato ad un profondo senso di realismo per quanto riguarda i problemi dell’economica, i temi legati all’approvvigionamento delle fonti di energia, e i pericoli derivanti dalla costante minaccia posta dal terrorismo mondiale. La vittoria di Obama è anche quella del sogno americano, non solo per quello che il presidente in pectore propone, ma anche perchè lui stesso è la dimostrazione della vitalità, del dinamismo, e dell’apertura della società americana. Il discorso di concessione della vittoria, fatta da McCain poco dopo le 5 del mattino (ora italiana), è anch’esso la dimostrazione che l’America è pronta al cambiamento: McCain ha messo in risalto non solo il momento storico caratterizzato dalla vittoria per la presidenza di un nero, ma anche la grande capacità di Obama di ispirare milioni di americani, e gli ha promesso l’appoggio incondizionato per unire il paese per superare tutte le difficoltà del momento.

La vittoria di Obama, prima contro la senatrice di New York, Hillary Clinton, per la nomina a candidato presidenziale democratico, e poi contro McCain, per la presidenza, conferma la volontà degli americani di svoltare pagina, di non prestar fede più al paradigma secondo il quale “quello che va bene per il business, le imprese, va bene per l’America”. Nel discorso che ha tenuto dinnanzi alla folla festante radunata al Grant Park di Chicago, Obama ha sottolineato che l’America ha scelto che non si dovrà più misurare la qualità della vita in termini di dividendi trimestrali da pagare agli azionisti, ma in termini di benessere totale per i suoi cittadini, in termini di pari opportunità, di qualità delle scuole, di accesso ad un sistema sanitario efficiente e abbordabile per tutti gli americani, e di nuova attenzione per i temi dell’energia e dell’ambiente. Obama ha sottolineato la necessità di unire il paese per permettere agli americani di “riappropriarsi del sogno americano”. Leggi tutto l’articolo!

Si vota: Barack Obama e John McCain allo sprint finale!

Elettronica e contestazioni permettendo, domani sapremo chi sarà il nuovo presidente Usa

Anthony M. Quattrone

Ci siamo. Gli americani oggi votano per eleggere non solo il successore di George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti, ma anche l’intera Camera, un terzo del Senato, e 11 governatori.  Secondo i sondaggi, i democratici sembrerebbero in procinto di conquistare la presidenza ed il Congresso, e sette cariche di governatore degli undici in palio.  Per le presidenziali, il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama è in testa contro il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, secondo tutti i sondaggi che rilevano le tendenze degli elettori a livello nazionale.  Secondo i diversi sondaggi, il vantaggio di Obama varia dal cinque all’undici percento, ma, in tutti i casi, supera ampiamente il margine di errore dei singoli rilevamenti.

Lo staff di Obama non è convinto, tuttavia, che le indicazioni del voto popolare a livello nazionale possono garantire la presidenza per il candidato democratico.  Per vincere le elezioni, infatti, è necessario ottenere la maggioranza dei 538 grandi elettori che compongono il collegio elettorale.  Ad ogni stato è assegnato un numero di seggi in base al censimento della popolazione che si svolge ogni dieci anni.  In quasi tutti gli stati vige la regola che chi ottiene la maggioranza del voto popolare prende tutti i voti dei grandi elettori assegnati a quello stato.  E’ necessario raggiungere quota 270 per essere eletti presidente.  Secondo i sondaggi, Obama può contare su 238 grandi elettori, provenienti in larga parte dagli stati delle due coste e dagli stati bagnati dai grandi laghi, mentre McCain può contare su 132 voti provenienti dal sud e dal centro del paese.  La competizione di oggi sarà decisa da come voteranno gli stati “toss up”, quelli incerti, cui appartengono 128 voti.  Obama ha bisogno di conquistare almeno 32 voti, ma, secondo i sondaggi, potrebbe conquistarne 60, pescando addirittura in qualche stato che in passato ha votato consistentemente per i repubblicani.

In campo repubblicano, McCain spera di poter contare sui 200 grandi elettori che i sondaggi già gli attribuiscono, e riconquistare la Pennsylvania, con 14 voti, la Florida, con 27, e l’Ohio con 20, per arrivare a 268 grandi elettori.  Il miracolo potrebbe avverarsi per McCain se riuscisse anche a vincere in qualche altro stato “toss up” come la Virginia, con 13 voti.  Secondo tutti i maggiori organi di stampa americani, McCain è in netto recupero, e lo stesso Obama ha confermato che secondo i suoi collaboratori, lo scarto fra i due candidati sarà, alla fine, minimo. Leggi tutto l’articolo

Rischio valanga democratica: repubblicani in rotta ?

Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. addresses supporters in rain at a rally in Chester, Pa., Tuesday, Oct. 28, 2008. (AP Photo/Jae C. Hong)
Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. addresses supporters in rain at a rally in Chester, Pa., Tuesday, Oct. 28, 2008. (AP Photo/Jae C. Hong)

Screzi in casa repubblicana: la Palin in contrasto con lo staff di McCain

Anthony M. Quattrone

A meno di una settimana dalle elezioni presidenziali del 4 novembre, i sondaggi indicano che il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, ha consolidato il suo vantaggio sul senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, sia nel voto popolare nazionale, sia per quanto riguarda il conto dei super elettori.  Secondo gli ultimi sondaggi, Obama conduce per almeno cinque punti percentuali nel voto popolare, mentre è molto più ampio il vantaggio di cui godrebbe nel conto dei super elettori, dove potrebbe addirittura raggiungere la quota di 375 voti, contro i 163 che andrebbero a McCain.

Le buone notizie che arrivano dai sondaggi potrebbero causare un abbassamento della guardia da parte dei sostenitori di Obama.  Ed è proprio per questo che la campagna del senatore afro americano sta intensificando gli impegni programmati per la settima che manca al voto.  Nelle ultime ore, personalità democratiche, dall’ex presidente Jimmy Carter, fino alla rivale di Obama durante le recenti primarie, la senatrice di New York, Hillary Clinton, stanno inviando messaggi di posta elettronica chiedendo ai simpatizzanti e attivisti democratici di impegnarsi fino al momento del voto, per portare alle urne il maggior numero possibile di elettori.  L’ultima posta elettronica della campagna democratica invita i sostenitori a chiedere per il 4 novembre un giorno di ferie al proprio datore di lavoro o un permesso al proprio professore per lavorare con il partito democratico per portare alle urne il maggior numero possibile di elettori.

L’aria pesante che circola negli ambienti repubblicani sembrerebbe confermare la preoccupazione che i democratici potrebbero conquistare non solo la Casa Bianca, ma ottenere anche un plebiscito al Congresso, dove quest’anno si rinnova l’intera Camera e un terzo del Senato. Al Senato, i democratici potrebbero salire da 51 a 57 senatori, e i repubblicani potrebbero scendere da 49 a 43, mentre alla Camera il partito di Obama potrebbe riconfermare l’ampia maggioranza che ha conquistato nelle elezioni del 2006.  I giornali, le radio, e le televisioni legate alla destra repubblicana hanno iniziato una forte campagna per sensibilizzare gli elettori conservatori sull’importanza di recarsi alle urne per bloccare un’eventuale valanga democratica.  Leggi tutto l’articolo

Obama incassa l’appoggio del repubblicano Colin Powell

In this photo provided by NBC, Meet The Press, shows former Secretary of State Gen. Colin Powell speaking during a taping of Meet the Press at NBC Sunday Oct. 19, 2008, in Washington. Powell, a Republican who was President Bushs first secretary of state, endorsed Democrat Barack Obama for president Sunday, and criticized the tone of Republican John McCains campaign. (AP Photo/Meet The Press, Brendan Smialowski)
In this photo provided by NBC, Meet The Press, shows former Secretary of State Gen. Colin Powell speaking during a taping of "Meet the Press" at NBC Sunday Oct. 19, 2008, in Washington. Powell, a Republican who was President Bush's first secretary of state, endorsed Democrat Barack Obama for president Sunday, and criticized the tone of Republican John McCain's campaign. (AP Photo/Meet The Press, Brendan Smialowski)

Anthony M. Quattrone

A due settimane dalla scadenza elettorale per le presidenziali Usa del 4 novembre, le strategie dei due candidati, quella del senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, e quella del senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, seguono traiettorie diverse, con il primo che tenta di risalire nei sondaggi nazionali, mentre il secondo cerca di vincere anche in quegli stati che non hanno dato la maggioranza ad un candidato presidenziale democratico negli ultimi quarant’anni. I sondaggi nazionali indicano Obama in vantaggio per una media di cinque punti percentuali, e, secondo i calcoli della Real Clear Politics, il candidato democratico potrebbe tranquillamente superare la soglia di 270 grandi elettori necessari per vincere la presidenza, ottenendo fra i 286 e i 364 voti dei 538 disponibili.

Nelle ultime due settimane di campagna elettorale, Obama potrà utilizzare proprio negli stati che votano tradizionalmente per candidati repubblicani, l’immensa forza economica che ha costruito nell’ultimo anno. Il senatore democratico ha raccolto, fino al 30 settembre, circa 618 milioni di dollari, fra cui 150 nel solo mese di settembre. La strategia di Obama sembrerebbe ora indirizzata a mettere McCain sulla difensiva proprio negli stati dove il candidato repubblicano poteva contare sulla tradizione a favore dei repubblicani. Obama andrà nelle prossime due settimane in quegli stati dove l’attuale presidente Bush ha vinto nelle elezioni precedenti: Colorado, Florida, Iowa, Nevada, Nuovo Mexico, Ohio, e Virginia. In questi stati, l’obiettivo dei democratici sarà anche quello di sostenere le campagne elettorali dei candidati democratici alla Camera e al Senato, oltre a creare qualche preoccupazione per McCain.

La strategia dei democratici è anche rivolta ad ottenere il consenso degli indecisi di centro e ai moderati che hanno votato repubblicano in passato. In quest’ottica, la decisione del generale Colin Powell di sostenere Obama, è particolarmente rilevante. L’imprimatur di Powell, Segretario di stato del primo governo del presidente George W. Bush, e Capo di stato maggiore delle forze armate americane durante le presidenze di Bush padre e di Bill Clinton, serve per rassicurare gli indecisi, particolarmente quelli più preoccupati per la sicurezza nazionale e per l’inesperienza del giovane senatore. Secondo Powell, il senatore Obama “dimostra fermezza, curiosità intellettuale, una profonda conoscenza e metodo nell’affrontare i problemi. Non cambia opinione ogni giorno, ma dimostra un vigore intellettuale. Penso che ha un modo di lavorare che sarebbe utile al paese”. Uno stratega repubblicano, Alex Castellano, ha confermato l’importanza del sostegno dell’ex segretario di stato ad Obama, dichiarando che “Powell è il bicchiere di latte caldo e biscotti per coloro che non possono dormire pensando alla mancanza d’esperienza di un presidente Obama”. Leggi tutto l’articolo!

Allarme razzismo: Obama teme “l’effetto Bradley”

Terzo dibattito presidenziale alle 3 di stanotte alla Hofstra University

Anthony M. Quattrone

Tom Bradley, un popolare sindaco nero di Los Angeles, perse nel 1982 contro un candidato bianco per le elezioni a governatore della California, dopo che le proiezioni dei sondaggi gli avevano costantemente previsto la vittoria. Nello studio dei sondaggi, si parla di “effetto Bradley” per descrivere una situazione in cui un rilevante numero d’elettori bianchi dichiara, durante i sondaggi, che sono sinceramente indecisi o che voteranno per un candidato non bianco, ma che poi, quando vanno effettivamente a votare, danno il voto in larga parte al candidato bianco. Per Jason Carroll della Cnn, l’effetto Bradley è una vera incognita che potrebbe influenzare l’attuale campagna elettorale, che vede, secondo la media degli ultimi sondaggi nazionali, il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, in vantaggio sul senatore dell’Arizona, John McCain, per una media di otto punti percentuali per la presidenza degli Stati Uniti.

Nei sondaggi nazionali, il Washington Post del 14 ottobre da Obama in vantaggio per dieci punti su McCain, per 53 a 43 percento, confermando i dati della Gallup del 12 ottobre che da il candidato democratico in vantaggio per 52 a 43,5 percento. Per la Reuters del 13 ottobre, Obama conduce per 49 a 43, mentre per la Rasmussen dello stesso giorno, Obama è in vantaggio per 50 a 45 percento. Nei sondaggi condotti in Florida, Ohio, e Pennsylvania, tre degli Stati che potrebbero decidere le prossime elezioni presidenziali, Obama ha un vantaggio sicuro solo in Pennsylvania, dove ha un margine del 13,4 percento. In Florida, i sondaggi indicano Obama in vantaggio per una media del cinque percento, mentre in Ohio, il vantaggio è uno striminzito 3,2 percento.

I dati nazionali e quelli degli Stati ballerini preoccupano quegli analisti democratici che credono nel potenziale dell’effetto Bradley. Il giornalista Jason Caroll informa, infatti, che, secondo alcuni studiosi, l’effetto Bradley inciderebbe nelle elezioni americane per circa il sei percento a danno di un candidato afro-americano, quando è in gara contro un bianco. Nel caso delle elezioni presidenziali in corso, dove in alcuni stati “ballerini” il margine a favore di Obama è inferiore al sei percento, l’effetto Bradley potrebbe risultare decisivo nell’assegnazione dei voti elettorali in palio. Si ricorda che in quasi tutti gli Stati, la competizione elettorale per la presidenza americana prevede che il vincitore del voto popolare in uno Stato si aggiudica tutti i voti elettorali assegnati a quello Stato. La presidenza si vince quando un candidato riesce ad ottenere 270 dei 538 voti disponibili. Leggi tutto l’articolo!

I democratici in avanti anche per il Congresso!

Anthony M. Quattrone

L’attenzione degli organi d’informazione in tutto il mondo si sta concentrando sulle elezioni presidenziali americane, spesso tralasciando d’informare i lettori e gli ascoltatori sulle altre elezioni che si svolgeranno in contemporanea negli Stati Uniti.

La tornata elettorale di quest’anno, oltre alla scelta del nuovo presidente, prevede anche l’elezione dei 435 deputati della Camera dei rappresentanti, quella di 35 dei 100 senatori che compongono il Senato, e quella d’undici dei 50 governatori.

La scelta che gli americani faranno fra il candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain, e il candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, per la presidenza avrà sicuramente un’importanza fondamentale nel determinare dove andrà l’America nei prossimi dieci o vent’anni. La scelta, tuttavia, della composizione del nuovo Congresso potrebbe determinare se la traiettoria in cui il nuovo presidente vorrà condurre l’America sarà appoggiata od osteggiata dal ramo legislativo. Nel complesso sistema americano delle “checks and balances” (controlli e bilanciamenti), il Congresso controlla la borsa della spesa, e se non c’è sintonia fra esecutivo e legislativo, il Presidente può fare ben poco nell’attuazione dei suoi programmi.

La situazione attuale, che si è creata con le elezioni di mid-term del 2006, vede un presidente repubblicano, George W. Bush, che si confronta con un Senato composto di 49 democratici, 49 repubblicani e due indipendenti, e una Camera dei rappresentanti con una maggioranza di 235 democratici, contro 199 repubblicani e un seggio vacante. Dal 2006, il presidente Bush ha dovuto spesso fare compromessi abbastanza rilevanti con la leadership democratica del Congresso per riuscire ad ottenere il finanziamento di misure che interessavano il suo governo. Leggi tutto l’articolo!

L’economia USA va giù, Obama va su

Bush chiede agli americani uno sforzo da 700 miliardi di dollari

Anthony M. Quattrone

Quando nel bel mezzo di una crisi politica, economica, o militare il Presidente degli Stati Uniti parla alla nazione, in diretta durante il “prime time” televisivo, si può essere certi che gli americani di tutte le fedi, classi, razze, e tendenze politiche lo ascoltano attentamente.  George W. Bush ha parlato al Paese per 15 minuti la sera di mercoledì, 24 settembre, per informare gli americani sulla gravità della condizione dell’economica statunitense, scatenata dalla crisi dei mutui, e per esortare il Congresso ad approvare un piano di salvataggio di banche ed assicurazioni dal costo di 700 miliardi di dollari.  Una frase di Bush ha gelato milioni d’americani: “La nostra intera economia è in pericolo”.

President George W. Bush addresses the nation from the East Room of the White House, Wednesday evening, Sept. 24, 2008, on the nations financial crisis. President Bush has invited legislative leaders from the House and Senate, including both Presidential candidates, to a meeting Thursday at the White House to discuss a bipartisan plan to rescue the economy. White House photo by Eric Draper
President George W. Bush addresses the nation from the East Room of the White House, Wednesday evening, Sept. 24, 2008, on the nation's financial crisis. President Bush has invited legislative leaders from the House and Senate, including both Presidential candidates, to a meeting Thursday at the White House to discuss a bipartisan plan to rescue the economy. White House photo by Eric Draper

Il progetto, messo a punto dal segretario al Tesoro, Henri M. Paulson Jr., e dal presidente della banca federale, Ben S. Bernanke, dovrebbe servire per ridare stabilità ai mercati e per garantire livelli di liquidità necessari per evitare il collasso dell’intero sistema economico americano, che rischierebbe di creare una reazione a catena coinvolgendo l’intera economia mondiale.  Il presidente Bush non ha usato mezzi termini per descrivere la gravità del momento, dichiarando che se il Congresso non approvasse il piano di salvataggio, si andrebbe “incontro ad una lunga e dolorosa recessione, con milioni d’americani che perderebbero il loro posto di lavoro”.  Il governo americano è particolarmente preoccupato per le sorti del patrimonio assicurativo e pensionistico di milioni di americani in caso di fallimento a catena delle assicurazioni e delle banche nazionali.

Il Congresso americano è intenzionato ad approvare il grosso del piano dell’amministrazione Bush, ma vuole che alcune correzioni siano applicate alle misure proposte.  I democratici, in particolare, vorrebbero che le misure siano equilibrate fra quelle che interessano Wall Street, vale a dire le imprese e i mercati, e quelle che interessano la cosiddetta “Main Street”, in altre parole, l’americano medio.  Repubblicani e democratici non vogliono che le misure per salvare l’economia finiscano per premiare quegli “executive” delle società che oggi sono in bancarotta, i quali potrebbero ricevere milioni di dollari come indennità di licenziamento o a titolo di buon’uscita.  I senatori e i deputati repubblicani e democratici vorrebbero inserire, nelle proposte fatte da Bush, alcune clausole che dovrebbero garantire, da parte di quelle ditte che avranno profitti nel futuro, la restituzione totale o in parte dei fondi stanziati dal governo. Leggi tutto l’articolo!

McCain avanti nei sondaggi, Obama nei voti elettorali

Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. speaks during a rally in Manchester, N.H., Saturday, Sept. 13, 2008. (AP Photo/Chris Carlson)
Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. speaks during a rally in Manchester, N.H., Saturday, Sept. 13, 2008. (AP Photo/Chris Carlson)

Anthony M. Quattrone

I sondaggi nazionali per le presidenziali Usa del prossimo novembre, pubblicati il 10 settembre, hanno sancito il sorpasso da parte del candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain, nei confronti del candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama.  Il rilevamento del Gallup Tracking indica McCain in vantaggio su Obama per 48 a 44 percento; quello della Fox News segna il candidato repubblicano in vantaggio per 45 a 42; mentre il sondaggio del Rasmussen Tracking mostra un pareggio al 48 percento.  Per alcuni analisti, la forte impennata di McCain nei sondaggi va attribuita sia all’entusiasmo generato dallo svolgimento della Convention Repubblicana, terminata il 4 settembre a Minneapolis-St. Paul, Minnesota, sia dalla nomina della governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, come candidata alla vice presidenza sul ticket repubblicano.

Secondo Bob Beckel, un analista della FOX News, il balzo in avanti di McCain potrebbe essere spiegato dall’effetto sorpresa della nomination della Palin, vista di buon occhio dalla destra religiosa, e dall’entusiasmo generato nel periodo post convention.  Beckel nota, tuttavia, che l’entusiasmo attorno alla Palin potrebbe dissiparsi in brevissimo tempo perché “in politica, la sovraesposizione mediatica causa una perdita di freschezza del prodotto politico, e così sarà anche per la Palin”, la quale potrebbe aver toccato il massimo dei consensi durante l’ultima settimana, e sarebbe, pertanto, destinata ad un ridimensionamento.  Il giornalista della Fox News fa notare che il tentativo da parte dell’organizzazione elettorale di McCain di tenere i giornalisti lontani dalla Palin non potrà durare a lungo, e quando la stampa comincerà ad esercitare il suo mestiere investigativo fino in fondo, la candidata alla vice presidenza dovrà rispondere a numerose domande potenzialmente imbarazzanti.

Republican presidential nominee Senator John McCain arrives to accept the Republican presidential nomination at the 2008 Republican National Convention in St. Paul, Minnesota September 4, 2008. (Shannon Stapleton/Reuters)
Republican presidential nominee Senator John McCain arrives to accept the Republican presidential nomination at the 2008 Republican National Convention in St. Paul, Minnesota September 4, 2008. (Shannon Stapleton/Reuters)

Secondo Timothy J. Burgher e Tony Hopfinger di Bloomberg News, la governatrice, presentata dai repubblicani come una riformatrice impegnata in una battaglia per il buon governo e indenne dall’influenza delle lobby, sarà chiamata a spiegare alcune assunzioni nella sua amministrazione in Alaska, accuse d’abuso di potere nei confronti di un ex cognato, ed accuse riguardanti alcuni suoi affari economici.

Mentre la stampa si prepara a mettere sotto i riflettori la governatrice dell’Alaska, l’attenzione degli strateghi dei due partiti si concentra ora su dati statistici e demografici nei diversi stati.  Il sistema elettorale americano prevede, in generale, che il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari in uno stato si aggiudica tutti i voti elettorali assegnati a quello stato.  I voti elettorali sono assegnati in base al numero dei cittadini residenti in quello stato alla data dell’ultimo censimento.  Il candidato che raggiunge 270 dei 538 voti elettorali in palio, diventa presidente. Leggi tutto l’articolo!