Obama incassa l’appoggio del repubblicano Colin Powell

In this photo provided by NBC, Meet The Press, shows former Secretary of State Gen. Colin Powell speaking during a taping of Meet the Press at NBC Sunday Oct. 19, 2008, in Washington. Powell, a Republican who was President Bushs first secretary of state, endorsed Democrat Barack Obama for president Sunday, and criticized the tone of Republican John McCains campaign. (AP Photo/Meet The Press, Brendan Smialowski)
In this photo provided by NBC, Meet The Press, shows former Secretary of State Gen. Colin Powell speaking during a taping of "Meet the Press" at NBC Sunday Oct. 19, 2008, in Washington. Powell, a Republican who was President Bush's first secretary of state, endorsed Democrat Barack Obama for president Sunday, and criticized the tone of Republican John McCain's campaign. (AP Photo/Meet The Press, Brendan Smialowski)

Anthony M. Quattrone

A due settimane dalla scadenza elettorale per le presidenziali Usa del 4 novembre, le strategie dei due candidati, quella del senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, e quella del senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, seguono traiettorie diverse, con il primo che tenta di risalire nei sondaggi nazionali, mentre il secondo cerca di vincere anche in quegli stati che non hanno dato la maggioranza ad un candidato presidenziale democratico negli ultimi quarant’anni. I sondaggi nazionali indicano Obama in vantaggio per una media di cinque punti percentuali, e, secondo i calcoli della Real Clear Politics, il candidato democratico potrebbe tranquillamente superare la soglia di 270 grandi elettori necessari per vincere la presidenza, ottenendo fra i 286 e i 364 voti dei 538 disponibili.

Nelle ultime due settimane di campagna elettorale, Obama potrà utilizzare proprio negli stati che votano tradizionalmente per candidati repubblicani, l’immensa forza economica che ha costruito nell’ultimo anno. Il senatore democratico ha raccolto, fino al 30 settembre, circa 618 milioni di dollari, fra cui 150 nel solo mese di settembre. La strategia di Obama sembrerebbe ora indirizzata a mettere McCain sulla difensiva proprio negli stati dove il candidato repubblicano poteva contare sulla tradizione a favore dei repubblicani. Obama andrà nelle prossime due settimane in quegli stati dove l’attuale presidente Bush ha vinto nelle elezioni precedenti: Colorado, Florida, Iowa, Nevada, Nuovo Mexico, Ohio, e Virginia. In questi stati, l’obiettivo dei democratici sarà anche quello di sostenere le campagne elettorali dei candidati democratici alla Camera e al Senato, oltre a creare qualche preoccupazione per McCain.

La strategia dei democratici è anche rivolta ad ottenere il consenso degli indecisi di centro e ai moderati che hanno votato repubblicano in passato. In quest’ottica, la decisione del generale Colin Powell di sostenere Obama, è particolarmente rilevante. L’imprimatur di Powell, Segretario di stato del primo governo del presidente George W. Bush, e Capo di stato maggiore delle forze armate americane durante le presidenze di Bush padre e di Bill Clinton, serve per rassicurare gli indecisi, particolarmente quelli più preoccupati per la sicurezza nazionale e per l’inesperienza del giovane senatore. Secondo Powell, il senatore Obama “dimostra fermezza, curiosità intellettuale, una profonda conoscenza e metodo nell’affrontare i problemi. Non cambia opinione ogni giorno, ma dimostra un vigore intellettuale. Penso che ha un modo di lavorare che sarebbe utile al paese”. Uno stratega repubblicano, Alex Castellano, ha confermato l’importanza del sostegno dell’ex segretario di stato ad Obama, dichiarando che “Powell è il bicchiere di latte caldo e biscotti per coloro che non possono dormire pensando alla mancanza d’esperienza di un presidente Obama”. Leggi tutto l’articolo!

La Russia dello “zar” Putin e il prossimo presidente Usa

Sergei Guneyev / RIA-Novosti for TIME
Photo-illustration; Painting of Peter the Great: Getty; Putin: Sergei Guneyev / RIA-Novosti for TIME

Marco Maniaci

Con la campagna elettorale per la presidenza Usa che volge al termine, gli analisti della politica internazionale si interrogano su cosa dovrà affrontare il nuovo presidente americano per quanto riguarda il rapporto con la Russia dello “zar” Putin. Se da un lato c’è grande preoccupazione per il potenziale ritorno ad un periodo caratterizzato da una nuova “Guerra Fredda”, dall’altro c’è la speranza che una rinvigorita collaborazione fra americani e russi prende il sopravvento.

Lo scontro vissuto in Georgia lo scorso agosto, secondo alcuni, ha tutti i toni di una nuova “guerra fredda”. Mikhail Gorbaciov è dell’opinione che gli USA starebbero tessendo una cospirazione imperialistica nei confronti della Russia con il tentativo di espansione della loro influenza verso le ex repubbliche sovietiche, tradendo, in pratica il nuovo corso che fu inaugurato dallo stesso Gorbaciov e da Bush Senior, che prevedeva un nuovo mondo, un nuovo ordine mondiale, caratterizzata anche dalla promessa americana che mai ci sarebbe stata un’espansione della NATO ad est.

I rapporti fra Usa e Russia viaggiavano verso acque mosse in un quadro internazionale poco tranquillo, già prima dell’ultima crisi caucasica, anche a causa dalla corsa al riarmo e dallo scontro sullo scudo spaziale. All’interno di una situazione internazionale complessa, si è dovuto anche registrare un aumento della tensione tra Russia e Georgia per l’aumento delle spese militari da parte di quest’ultima. Gli organi di stampa hanno riferito di un aumento considerevole nelle spese militari georgiane, specialmente viste le piccole dimensioni della repubblica caucasica: in un anno, la Georgia avrebbe speso oltre 200 milioni di dollari in più per spese militare, 600 milioni di dollari l’anno complessivi per l’esercito (circa un terzo del bilancio annuale del paese), un considerevole aumento degli effettivi militari, passati a 32.000 unità. E’ interessante notare che l’aumento delle spese della Georgia rientrano anche fra le condizioni necessarie per il suo ingresso nell’Alleanza Atlantica.

Le tensioni fra gli Stati Uniti e la Russia hanno portato di nuovo alle luci della ribalta il vecchio sogno del presidente Ronald Reagan di dotare l’America e i suoi alleati di una protezione missilistica che dovrebbe servire per rendere innocuo ogni eventuale lancio di testate nucleari contro di loro. La fretta americana nel tentare di concludere accordi in Europa per lo scudo spaziale, proprio fra gli ex alleati di Mosca, sembrerebbe dettato dalla preoccupazione repubblicana che un’eventuale vittoria del candidato democratico alle presidenziali, il senatore dell’Illinois Barack Obama, potrebbe significare l’accantonamento del progetto dello scudo spaziale per diversi anni. Leggi tutto l’articolo!

Allarme razzismo: Obama teme “l’effetto Bradley”

Terzo dibattito presidenziale alle 3 di stanotte alla Hofstra University

Anthony M. Quattrone

Tom Bradley, un popolare sindaco nero di Los Angeles, perse nel 1982 contro un candidato bianco per le elezioni a governatore della California, dopo che le proiezioni dei sondaggi gli avevano costantemente previsto la vittoria. Nello studio dei sondaggi, si parla di “effetto Bradley” per descrivere una situazione in cui un rilevante numero d’elettori bianchi dichiara, durante i sondaggi, che sono sinceramente indecisi o che voteranno per un candidato non bianco, ma che poi, quando vanno effettivamente a votare, danno il voto in larga parte al candidato bianco. Per Jason Carroll della Cnn, l’effetto Bradley è una vera incognita che potrebbe influenzare l’attuale campagna elettorale, che vede, secondo la media degli ultimi sondaggi nazionali, il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, in vantaggio sul senatore dell’Arizona, John McCain, per una media di otto punti percentuali per la presidenza degli Stati Uniti.

Nei sondaggi nazionali, il Washington Post del 14 ottobre da Obama in vantaggio per dieci punti su McCain, per 53 a 43 percento, confermando i dati della Gallup del 12 ottobre che da il candidato democratico in vantaggio per 52 a 43,5 percento. Per la Reuters del 13 ottobre, Obama conduce per 49 a 43, mentre per la Rasmussen dello stesso giorno, Obama è in vantaggio per 50 a 45 percento. Nei sondaggi condotti in Florida, Ohio, e Pennsylvania, tre degli Stati che potrebbero decidere le prossime elezioni presidenziali, Obama ha un vantaggio sicuro solo in Pennsylvania, dove ha un margine del 13,4 percento. In Florida, i sondaggi indicano Obama in vantaggio per una media del cinque percento, mentre in Ohio, il vantaggio è uno striminzito 3,2 percento.

I dati nazionali e quelli degli Stati ballerini preoccupano quegli analisti democratici che credono nel potenziale dell’effetto Bradley. Il giornalista Jason Caroll informa, infatti, che, secondo alcuni studiosi, l’effetto Bradley inciderebbe nelle elezioni americane per circa il sei percento a danno di un candidato afro-americano, quando è in gara contro un bianco. Nel caso delle elezioni presidenziali in corso, dove in alcuni stati “ballerini” il margine a favore di Obama è inferiore al sei percento, l’effetto Bradley potrebbe risultare decisivo nell’assegnazione dei voti elettorali in palio. Si ricorda che in quasi tutti gli Stati, la competizione elettorale per la presidenza americana prevede che il vincitore del voto popolare in uno Stato si aggiudica tutti i voti elettorali assegnati a quello Stato. La presidenza si vince quando un candidato riesce ad ottenere 270 dei 538 voti disponibili. Leggi tutto l’articolo!

I democratici in avanti anche per il Congresso!

Anthony M. Quattrone

L’attenzione degli organi d’informazione in tutto il mondo si sta concentrando sulle elezioni presidenziali americane, spesso tralasciando d’informare i lettori e gli ascoltatori sulle altre elezioni che si svolgeranno in contemporanea negli Stati Uniti.

La tornata elettorale di quest’anno, oltre alla scelta del nuovo presidente, prevede anche l’elezione dei 435 deputati della Camera dei rappresentanti, quella di 35 dei 100 senatori che compongono il Senato, e quella d’undici dei 50 governatori.

La scelta che gli americani faranno fra il candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain, e il candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, per la presidenza avrà sicuramente un’importanza fondamentale nel determinare dove andrà l’America nei prossimi dieci o vent’anni. La scelta, tuttavia, della composizione del nuovo Congresso potrebbe determinare se la traiettoria in cui il nuovo presidente vorrà condurre l’America sarà appoggiata od osteggiata dal ramo legislativo. Nel complesso sistema americano delle “checks and balances” (controlli e bilanciamenti), il Congresso controlla la borsa della spesa, e se non c’è sintonia fra esecutivo e legislativo, il Presidente può fare ben poco nell’attuazione dei suoi programmi.

La situazione attuale, che si è creata con le elezioni di mid-term del 2006, vede un presidente repubblicano, George W. Bush, che si confronta con un Senato composto di 49 democratici, 49 repubblicani e due indipendenti, e una Camera dei rappresentanti con una maggioranza di 235 democratici, contro 199 repubblicani e un seggio vacante. Dal 2006, il presidente Bush ha dovuto spesso fare compromessi abbastanza rilevanti con la leadership democratica del Congresso per riuscire ad ottenere il finanziamento di misure che interessavano il suo governo. Leggi tutto l’articolo!

La sfida iraniana: il dibattito sul nucleare

Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad
Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad

Diana De Vivo

Era il 19 Luglio, quando a Ginevra i 5+1 (5 membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più la Germania) concessero a Teheran due settimane di tempo per congelare il programma nucleare avviato dal paese sin dal 1978, ed in particolare l’arricchimento dell’uranio, in cambio di un pacchetto di incentivi per consentire l’avvio di colloqui preliminari con l’obiettivo di smorzare i toni delle tese relazioni diplomatiche con l’Occidente.

Di lì a poco, la risposta del Presidente iraniano Ahmadinejad, repentina ed immediata, ma non eccessivamente incline al compromesso, è stata puntualmente pubblicata sul sito internet presidenziale al termine di un colloquio a Teheran col presidente siriano Al-Assad .

“Qualsiasi negoziato cui prenderemo parte”, tuona in maniera risoluta Ahmadinejad, “sarà inequivocabilmente in linea con l’obiettivo della realizzazione del diritto dell’Iran al nucleare e la nazione iraniana non arretrerà un millimetro dai suoi diritti”.

Parole che tracciano un incolmabile solco all’interno della comunità internazionale e mirano ad inasprire gli ormai precari equilibri in Medio Oriente.

All’interno del più ampio spettro della National Security Strategy dettagliatamente stilata dall’Amministrazione Bush, lo scacchiere mediorientale si colloca, difatti, in maniera ambigua e disomogenea, data la diversa “affinità” dei paesi dell’area nei confronti degli Usa, e considerando, inoltre, che alcuni di essi, quali Iran ed a fasi alterne Siria e Libia, rientrano egregiamente nella malvista categoria dei “rogue States” (Stati canaglia).

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Usa, stanotte a Nashville McCain tenta la rimonta

Anthony M. Quattrone

Si terrà stanotte presso la Belmont University, a Nashville, in Tennessee, il secondo dibattito presidenziale fra il candidato repubblicano, il senatore dell’Illinois, John McCain, ed il candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama. Il formato scelto per questo dibattito, che sarà trasmesso in diretta sia dalla Cnn, sia da SkyTg24, alle 3 di questa notte, sarà quello del “town hall meeting”, dove, oltre ad una serie di domande che saranno fatte dai conduttori della serata, sarà data al pubblico presente in sala, composto di elettori che non hanno ancora deciso per chi voteranno il prossimo novembre, l’opportunità di rivolgere domande direttamente ai due candidati.

La difficile congiuntura economica che attanaglia la finanza americana, la volata in alto del candidato democratico nei sondaggi nazionali, e l’incattivimento della propaganda elettorale, con sempre più attacchi personali e diffusione di dati falsi o poco attendibili, fanno da cornice all’incontro/scontro fra McCain e Obama.

Secondo i maggiori sondaggi americani, Obama conduce su McCain nelle preferenze degli elettori a livello nazionale ed anche in molti degli stati cosiddetti “ballerini”, e potrebbe portarsi a casa ben 353 voti elettorali, superando ampiamente la quota di 270, necessari per vincere le elezioni. Secondo i sondaggi pubblicati domenica dalla Gallup e dalla Rasmussen, Obama conduce per sette punti contro McCain nei sondaggi nazionali. La Gallup ha misurato una preferenza del 50 a 43 percento a favore di Obama fra gli elettori iscritti alle liste elettorali, mentre la Rasmussen ha registrato una preferenza di 51 a 44 percento a favore di Obama fra coloro che più probabilmente andranno a votare il prossimo 4 novembre. I rilevamenti della Gallup e della Rasmussen concordano con tutti i sondaggi nazionali che sono stati pubblicati dal 29 settembre. Leggi tutto l’articolo!

L’economia USA va giù, Obama va su

Bush chiede agli americani uno sforzo da 700 miliardi di dollari

Anthony M. Quattrone

Quando nel bel mezzo di una crisi politica, economica, o militare il Presidente degli Stati Uniti parla alla nazione, in diretta durante il “prime time” televisivo, si può essere certi che gli americani di tutte le fedi, classi, razze, e tendenze politiche lo ascoltano attentamente.  George W. Bush ha parlato al Paese per 15 minuti la sera di mercoledì, 24 settembre, per informare gli americani sulla gravità della condizione dell’economica statunitense, scatenata dalla crisi dei mutui, e per esortare il Congresso ad approvare un piano di salvataggio di banche ed assicurazioni dal costo di 700 miliardi di dollari.  Una frase di Bush ha gelato milioni d’americani: “La nostra intera economia è in pericolo”.

President George W. Bush addresses the nation from the East Room of the White House, Wednesday evening, Sept. 24, 2008, on the nations financial crisis. President Bush has invited legislative leaders from the House and Senate, including both Presidential candidates, to a meeting Thursday at the White House to discuss a bipartisan plan to rescue the economy. White House photo by Eric Draper
President George W. Bush addresses the nation from the East Room of the White House, Wednesday evening, Sept. 24, 2008, on the nation's financial crisis. President Bush has invited legislative leaders from the House and Senate, including both Presidential candidates, to a meeting Thursday at the White House to discuss a bipartisan plan to rescue the economy. White House photo by Eric Draper

Il progetto, messo a punto dal segretario al Tesoro, Henri M. Paulson Jr., e dal presidente della banca federale, Ben S. Bernanke, dovrebbe servire per ridare stabilità ai mercati e per garantire livelli di liquidità necessari per evitare il collasso dell’intero sistema economico americano, che rischierebbe di creare una reazione a catena coinvolgendo l’intera economia mondiale.  Il presidente Bush non ha usato mezzi termini per descrivere la gravità del momento, dichiarando che se il Congresso non approvasse il piano di salvataggio, si andrebbe “incontro ad una lunga e dolorosa recessione, con milioni d’americani che perderebbero il loro posto di lavoro”.  Il governo americano è particolarmente preoccupato per le sorti del patrimonio assicurativo e pensionistico di milioni di americani in caso di fallimento a catena delle assicurazioni e delle banche nazionali.

Il Congresso americano è intenzionato ad approvare il grosso del piano dell’amministrazione Bush, ma vuole che alcune correzioni siano applicate alle misure proposte.  I democratici, in particolare, vorrebbero che le misure siano equilibrate fra quelle che interessano Wall Street, vale a dire le imprese e i mercati, e quelle che interessano la cosiddetta “Main Street”, in altre parole, l’americano medio.  Repubblicani e democratici non vogliono che le misure per salvare l’economia finiscano per premiare quegli “executive” delle società che oggi sono in bancarotta, i quali potrebbero ricevere milioni di dollari come indennità di licenziamento o a titolo di buon’uscita.  I senatori e i deputati repubblicani e democratici vorrebbero inserire, nelle proposte fatte da Bush, alcune clausole che dovrebbero garantire, da parte di quelle ditte che avranno profitti nel futuro, la restituzione totale o in parte dei fondi stanziati dal governo. Leggi tutto l’articolo!

McCain avanti nei sondaggi, Obama nei voti elettorali

Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. speaks during a rally in Manchester, N.H., Saturday, Sept. 13, 2008. (AP Photo/Chris Carlson)
Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill. speaks during a rally in Manchester, N.H., Saturday, Sept. 13, 2008. (AP Photo/Chris Carlson)

Anthony M. Quattrone

I sondaggi nazionali per le presidenziali Usa del prossimo novembre, pubblicati il 10 settembre, hanno sancito il sorpasso da parte del candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain, nei confronti del candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama.  Il rilevamento del Gallup Tracking indica McCain in vantaggio su Obama per 48 a 44 percento; quello della Fox News segna il candidato repubblicano in vantaggio per 45 a 42; mentre il sondaggio del Rasmussen Tracking mostra un pareggio al 48 percento.  Per alcuni analisti, la forte impennata di McCain nei sondaggi va attribuita sia all’entusiasmo generato dallo svolgimento della Convention Repubblicana, terminata il 4 settembre a Minneapolis-St. Paul, Minnesota, sia dalla nomina della governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, come candidata alla vice presidenza sul ticket repubblicano.

Secondo Bob Beckel, un analista della FOX News, il balzo in avanti di McCain potrebbe essere spiegato dall’effetto sorpresa della nomination della Palin, vista di buon occhio dalla destra religiosa, e dall’entusiasmo generato nel periodo post convention.  Beckel nota, tuttavia, che l’entusiasmo attorno alla Palin potrebbe dissiparsi in brevissimo tempo perché “in politica, la sovraesposizione mediatica causa una perdita di freschezza del prodotto politico, e così sarà anche per la Palin”, la quale potrebbe aver toccato il massimo dei consensi durante l’ultima settimana, e sarebbe, pertanto, destinata ad un ridimensionamento.  Il giornalista della Fox News fa notare che il tentativo da parte dell’organizzazione elettorale di McCain di tenere i giornalisti lontani dalla Palin non potrà durare a lungo, e quando la stampa comincerà ad esercitare il suo mestiere investigativo fino in fondo, la candidata alla vice presidenza dovrà rispondere a numerose domande potenzialmente imbarazzanti.

Republican presidential nominee Senator John McCain arrives to accept the Republican presidential nomination at the 2008 Republican National Convention in St. Paul, Minnesota September 4, 2008. (Shannon Stapleton/Reuters)
Republican presidential nominee Senator John McCain arrives to accept the Republican presidential nomination at the 2008 Republican National Convention in St. Paul, Minnesota September 4, 2008. (Shannon Stapleton/Reuters)

Secondo Timothy J. Burgher e Tony Hopfinger di Bloomberg News, la governatrice, presentata dai repubblicani come una riformatrice impegnata in una battaglia per il buon governo e indenne dall’influenza delle lobby, sarà chiamata a spiegare alcune assunzioni nella sua amministrazione in Alaska, accuse d’abuso di potere nei confronti di un ex cognato, ed accuse riguardanti alcuni suoi affari economici.

Mentre la stampa si prepara a mettere sotto i riflettori la governatrice dell’Alaska, l’attenzione degli strateghi dei due partiti si concentra ora su dati statistici e demografici nei diversi stati.  Il sistema elettorale americano prevede, in generale, che il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari in uno stato si aggiudica tutti i voti elettorali assegnati a quello stato.  I voti elettorali sono assegnati in base al numero dei cittadini residenti in quello stato alla data dell’ultimo censimento.  Il candidato che raggiunge 270 dei 538 voti elettorali in palio, diventa presidente. Leggi tutto l’articolo!

L’uragano Palin si “abbatte” sulle presidenziali Usa

Republican presidential candidate John McCain and his running mate Sarah Palin celebrate on stage at the end of the Republican National Convention in St Paul, Minnesota on September 4.  (AFP/Robyn Beck)
Republican presidential candidate John McCain and his running mate Sarah Palin celebrate on stage at the end of the Republican National Convention in St Paul, Minnesota on September 4. (AFP/Robyn Beck)

Anthony M. Quattrone

Ora che le Convention dei due partiti si sono concluse, l’attenzione degli esperti e dei sondaggisti USA si concentrano sui quei fattori che potrebbero influenzare in modo decisivo come voteranno gli americani alle presidenziali del prossimo novembre.  L’entusiasmante prova del candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, durante la Convention democratica che si è svolta durante l’ultima settimana di agosto, è stata ampiamente pareggiata dall’altrettanta brillante performance del “ticket” repubblicano, composto dal candidato presidente, il senatore dell’Arizona, John McCain, e dalla candidata alla vicepresidenza, la governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, durante la Convention repubblicana che si è tenuta nella prima settimana di settembre. I discorsi dei due candidati repubblicani sono stati seguiti da oltre 38 milioni di ascoltatori a testa.  Secondo un sondaggio della Rasmussen Reports pubblicato il 5 settembre 2008, l’entusiasmo per la Palin ha addirittura messo in secondo piano, almeno per il momento, sia Obama, sia McCain, registrando per la governatrice dell’Alaska un giudizio favorevole del 58 percento degli intervistati, contro il 57 percento sia per Obama, sia per McCain, seguiti dal 48 percento per il senatore del Delaware, Joe Biden, il candidato democratico alla vicepresidenza.

E’ ancora troppo presto per valutare se la scelta della governatrice Palin, come candidata alla vice presidenza, da parte di McCain servirà per garantire a quest’ultimo l’appoggio della destra religiosa.  La Palin ha certamente a suo favore l’immagine di donna forte e ispirata dal credo dei cristiani evangelici americani, come è descritta da Kirk Johnson And Kim Severson in un articolo del New York Times intitolato “Nella vita e nella politica della Palin, l’obiettivo è di seguire la volontà di Dio”. La Palin abbraccia un credo che unisce la lotta contro l’aborto e al matrimonio gay, con il diritto di portare un’arma per cacciare e per difendersi, l’uso estensivo della pena di morte, e l’interpretazione letterale della Bibbia  Mentre il carisma della Palin potrà forse servire a McCain per portare alle urne una parte dei 30 milioni di evangelici che tradizionalmente votano repubblicano, ma che non hanno particolari simpatie per lui, a causa di alcune sue posizioni liberali sui temi sociali, non è certo che l’immagine di cacciatrice e forte sostenitrice della pena di morte, e di ex cattolica, sia in linea con le intenzioni di voto di milioni di cattolici e delle donne in generale. Leggi tutto l’articolo!

Obama e McCain, la vittoria potrebbe venire dai vice

Democratic presidential nominee Sen. Barack Obama, D-Ill., gives a thumbs up after speaking at the Democratic National Convention in Denver, Thursday, Aug. 28, 2008. (AP Photo/Jeff Chiu)
Democratic presidential nominee Sen. Barack Obama, D-Ill., gives a thumbs up after speaking at the Democratic National Convention in Denver, Thursday, Aug. 28, 2008. (AP Photo/Jeff Chiu)

Anthony M. Quattrone

Giovedì sera si è conclusa a Denver, nel Colorado, la Convention del Partito democratico che ha incoronato il senatore dell’Illinois, Barack Obama, come candidato ufficiale del partito per le elezioni presidenziali americane del 4 novembre. Dinnanzi ad oltre ottantamila partecipanti, Obama ha tenuto un discorso in cui ha toccato i temi fondamentali che dovrebbero marcare la sua presidenza: lo stato dell’economia, il sistema sanitario nazionale, la condizione delle scuole, e la sicurezza degli Stati Uniti.

La settimana prossima sarà il turno dei repubblicani, che terranno la loro Convention dall’1 al 4 settembre 2008 a Minneapolis-St. Paul, nel Minnesota, dove il senatore dell’Arizona, John McCain, dovrebbe annunciare il nome del candidato repubblicano alla vice presidenza.

Pochi giorni prima della Convention democratica, Obama aveva scelto il senatore del Delaware, Joseph Biden, come candidato alla vice presidenza. Con la scelta di Biden, gli strateghi democratici speravano e sperano ancora di convincere quegli elettori preoccupati per l’apparente mancanza di esperienza del giovane senatore afro americano a sostenerlo. Biden, senatore dal 1973, porta un enorme bagaglio d’esperienza sia in politica estera, sia nel campo giudiziario. Dal 1987 al 1995, Biden è stato il presidente della commissione giustizia del Senato, partecipando a diverse audizioni per nominare giudici alla Corte Suprema. Successivamente, si è alternato con i repubblicani alla presidenza dell’importante commissione politica estera del senato, di cui è attualmente il presidente. Leggi tutto l’articolo!