Obama vince in linea con le previsioni dei sondaggi

Il Senato a maggioranza democratica, la Camera ai repubblicani

Supporters cheer at the end of President Barack Obama remarks during an election night party, early Wednesday, November 7, 2012, in Chicago. Obama defeated Republican challenger former Massachusetts Gov. Mitt Romney. (Matt Rourke/AP Photo)

Anthony M. Quattrone

I dati oggettivi che emergono dalle elezioni americane del 6 novembre 2012 sono la riconferma di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti, il controllo del Senato da parte dei democratici, quello della Camera da parte dei repubblicani, la vittoria dei democratici per 6 incarichi di governatore e dei repubblicani per 4.

Barack Obama ha ottenuto 51,25% del voto popolare e 332 voti del collegio elettorale, vincendo in 26 stati e nel Distretto di Columbia, mentre il candidato repubblicano, Mitt Romney, ha ricevuto il 48,75 del voto popolare e 206 voti elettorali, vincendo in 24 stati.  La vittoria di Obama è netta sia per quanto riguarda il voto popolare, con quasi tre milioni di preferenze in più, sia nel collegio elettorale con uno scarto di 126 punti.

Sembrerebbe che i giovani, le donne, le minoranze e gli operai delle zone industriali del Paese formino la base della nuova “coalizione vincente” che ha permesso a Obama di vincere negli stati “ballerini” come Ohio e Virginia.  L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, non è riuscito ad allargare la base elettorale tradizionale dei repubblicani, formata dalle popolazioni bianche del sud, dalla destra religiosa, e dai conservatori moderati – una base che oggi è sempre più minoritaria rispetto ai nuovi gruppi che emergono da un’America in piena transizione demografica.  Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e giornalista del NY Times, ha scritto sul giornale newyorchese all’indomani delle elezioni che “Per molto tempo, quelli di destra – e alcuni opinionisti- hanno sostenuto l’idea che la ‘vera America’, cioè tutto quello che contava davvero, fosse quella delle popolazioni bianche non urbane, cui entrambe partiti avevano l’obbligo di sottomettersi. Nel frattempo, la vera America stava diventando diversa da un punto di vista etnica e razziale, e anche maggiormente tollerante. La coalizione di Obama del 2008 non è stato un caso, era il paese che stiamo diventando.”

Al Senato erano in palio 33 dei 100 seggi che formano l’assemblea.  In questa tornata, i democratici hanno raggiunto quota 53, mentre i repubblicani sono scesi a 45.  Sono stati eletti due senatori indipendenti che molto probabilmente entreranno nel “caucus” democratico al Senato.  Alla Camera, dove erano in palio tutti i 435 seggi che formano l’assemblea, i repubblicani hanno ottenuto di nuovo la maggioranza, superando ampiamente la soglia di 218 deputati.  Per il momento, i repubblicani avrebbero 234 deputati, contro i 195 per i democratici, con sei seggi ancora da attribuire.  E’ interessante notare, tuttavia, che mentre i democratici hanno ottenuto un voto popolare più alto dei repubblicani, questi ultimi hanno guadagnato più seggi.  Il sistema elettorale americano non si basa sulla proporzione del voto popolare per la determinazione dei seggi da assegnare alla Camera, bensì sulla competizione diretta fra i diversi candidati in ciascuno dei 435 distretti elettorali.  Pertanto, la Camera USA vedrà una maggioranza di deputati repubblicani a fronte di una maggioranza di voto popolare ottenuto dai democratici.

Nelle undici competizioni elettorali per la carica di governatore, i democratici hanno vinto di nuovo in Delaware, Missouri, Montana, New Hampshire, Vermont, Washington e West Virginia, mentre hanno ceduto ai repubblicani l’incarico in Nord Carolina.  I repubblicani hanno vinto di nuovo in Indiana, Nord Dakota, e Utah.

Per valutare quanto spazio di manovra abbia Obama nel portare avanti la sua politica di riforme, sarà necessario comprendere il rapporto di forza fra progressisti e conservatori nel nuovo Congresso – un rapporto che non segue necessariamente la divisione fra democratici e repubblicani. Già nel 2008, quando sembrava che Obama avesse una solida maggioranza al Congresso, si comprese subito che i conservatori eletti nel partito democratico avrebbero formato un unico blocco con i loro colleghi repubblicani, per sbarrare la strada a qualsiasi progetto di riforma, anche leggermente progressista.  La riforma sanitaria fortemente voluta dal Presidente non è altro che il frutto di un compromesso fra la minoranza formata dai democratici liberal e progressisti e la maggioranza conservatrice formata da repubblicani e democratici di destra.

Ora sarà interessante vedere come si comporterà il 113mo Congresso quando sarà inaugurato il prossimo 3 gennaio.  Fra meno di due anni, si svolgeranno le elezioni di mid-term e saranno di nuovo messe in palio i 435 seggi alla Camera e un terzo dei 100 seggi al Senato.  Oggi il Congresso ha un gradimento sotto di sotto al 20% e molti cittadini incolpano senatori e deputati per le divisioni politiche e l’incapacità di portare a termine le riforme.  Il presidente Obama ha il vantaggio che non dovrà più prestare attenzione agli indici di gradimento, perché non è possibile un terzo mandato, e, pertanto, avrà le mani libere che potrà usare per mettere una forte pressione sui senatori e sui deputati per raggiungere accordi necessari per rilanciare l’America.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.