Obama con o contro Clinton? Forse il 10 febbraio si saprà

Anthony M. Quattrone

Si concluderà domani, nella capitale americana, la riunione invernale di circa 400 delegati della Democratic National Convention (DNC), l’organo direttivo del Partito Democratico americano, iniziata oggi con gli interventi dei maggiori esponenti del partito.  La riunione offre al governatore Howard Dean, presidente del partito dell’asinello, l’occasione per fare il punto sulla vittoria democratica nelle elezioni mid-term dello scorso novembre, e la possibilità agli aspiranti candidati democratici per le presidenziali del 2008 di confrontarsi pubblicamente.

Secondo i media americani, Hillary Clinton e Barack Obama, rispettivamente senatori dello Stato di New York e dell’Illinois, sono, al momento, i due candidati più accreditati per la leadership democratica, seguiti da John Edwards, già candidato alla vice presidenza nella sfortunata campagna del senatore John Kerry nel 2004. Edwards è particolarmente popolare fra gli elettori democratici degli stati del Sud e fra l’elettorato nero: l’appoggio di entrambi i gruppi è necessario sia per la nomination democratica, sia per vincere le presidenziali del 2008.

La Clinton ha annunciato che è intenzionata a ottenere la nomination democratica e si dichiara certa di vincere le elezioni presidenziali del 2008. Obama si è mostrato più prudente e ha semplicemente annunciato la formazione del comitato esploratore, che, negli USA, è il primo atto formale che un aspirante candidato presidenziale deve affrontare.  Questo comitato ha il compito di assolvere alcune pratiche burocratiche, e di valutare se sussistono le condizioni finanziarie e il sostegno politico per condurre la campagna elettorale.

I maggiori giornali americani hanno speso fiumi d’inchiostro negli ultimi giorni nel produrre raffronti fra Hillary Clinton e Barack Obama. Entrambi sono considerati parte dell’elite intellettuale liberal americana, hanno eccellenti capacità comunicative, e possono attrarre i voti sia dei moderati, sia degli elettori non legati a particolari posizioni ideologiche.

Pur ispirandosi alla politica centrista del presidente Bill Clinton, i due candidati mostrano delle differenze sostanziali. La loro storia politica ne è un esempio. La Clinton ha lavorato con il marito Bill nella trasformazione del Partito democratico negli anni Ottanta, quando alla Casa Bianca regnava il conservatore repubblicano Ronald Reagan, il quale era riuscito a conquistare i voti dei democratici del sud, conosciuti come i “Reagan democrats”. Nel ricostruire il Partito democratico attraverso una politica “top-down”, di vertice, i Clinton hanno lavorato sulla trasformazione delle idee guida del partito, rendendole più accettabili alla base conservatrice democratica, composta dal Sud “bianco” e dalle classi lavoratrici del Nord, riaffermando la centralità dei valori tradizionali nel campo sociale, e una politica liberista in quello economico. In breve, una sterzata al centro, se non addirittura verso destra, ha gettato le basi per la vittoria di Bill Clinton nelle elezioni del 1992.

Barack Obama è legato, invece, alla politica movimentista dei ghetti neri di Chicago, dove le popolazioni povere preferiscono il Partito democratico, il quale ha rappresentato storicamente gli interessi dei ceti più deboli e delle popolazioni marginalizzate. Obama è laureato in legge alla prestigiosa università di Harvard, ma ha sviluppato la sua iniziativa politica proprio a Chicago, lottando per i diritti dei più poveri. La sua politica di trasformazione del partito democratico è vista in termini di “bottom-up”, dal basso in alto.

È sulla guerra in Iraq che le posizioni dei due democratici si contrappongono nettamente. Hillary Clinton votò nell’ottobre 2002 a favore della risoluzione del Senato che dava al presidente Bush l’autorizzazione a intervenire in Iraq, mentre Obama, allora membro del Senato dello Stato dell’Illinois, si è espresse, e continua a farlo, contro l’intervento. Anche sulla continuazione della presenza americana in Iraq, e sulla politica estera in generale, gli orientamenti dei due candidati sono molto diversi: da una parte c’è Hillary, che vorrebbe convincere l’elettorato che, nel caso fosse eletta, sarebbe una “comandante-in-capo” forte e decisa; pronta a ricorrere all’uso della forza se necessario; dall’altra parte c’è Obama, che non nasconde le sue perplessità sull’uso della forza e sulla permanenza in Iraq.

Hillary Clinton e Barack Obama si differenziano anche nella concezione della campagna elettorale. La Clinton può contare su un’organizzazione a livello nazionale ben finanziata, disciplinata ed efficiente. Obama considera la sua organizzazione elettorale come un “movimento” nazionale, basato sulla passione dei sostenitori. Tuttavia, entrambi hanno già dimostrato di saper utilizzare Internet e i nuovi media in modo efficace. Obama si avvale normalmente del sistema podcast per mettere in rete i suoi discorsi e gli interventi al Senato.

Anche sulla necessità di unire un Paese che è uscito molto diviso dalle elezioni presidenziali del 2004, i candidati hanno diversità di vedute. Obama non è stato coinvolto nella lunga battaglia “partigiana” fra democratici e repubblicani degli ultimi quindici anni, e può proporsi come un candidato bipartisan; la candidatura Clinton, invece, è fortemente di parte, come confermato dalla stessa candidata, la quale afferma che è già pronta allo scontro frontale con i repubblicani. Obama, invece, sembrerebbe capace di trascendere le differenze fra destra e sinistra, quelle razziali e generazionali. Il “New York Times” ha scritto che per alcuni sostenitori Obama sembrerebbe un politico di una nuova specie “post-partisan, post-razziale, e post-baby boom”.

Nel rapporto con gli elettori neri, il pendolo sembrerebbe oscillare verso la Clinton. Obama è nero, ma forse non lo è “abbastanza” per essere considerato il candidato di fiducia dell’elettorato nero, specialmente nel Sud degli Stati Uniti. Obama è figlio di un immigrato keniota nero e di una donna bianca del Kansas. È nato nelle Hawaii ed è cresciuto in Indonesia. Ha frequentato le migliori università americane del Nord-Est. Non è un figlio della diaspora africana in America e non proviene dalla storia della schiavitù. Non ha particolari legami con il mondo della lotta per i diritti civili in America e non è mai stato povero. In breve, anche se lui si considera un “African-American”, non è certo che la popolazione nera americana si possa identificare con lui. Un sondaggio pubblicato dal “Washington Post” il 25 gennaio 2007, riporta che fra gli elettori democratici neri, tre su quattro preferiscono Hillary a Barack. Nei sondaggi sul gradimento dei diversi candidati, gli elettori democratici neri si sono espressi con un 84% a favore di Hillary Clinton, contro un debole 54% per Barack Obama. D’altro canto, la Clinton può contare sulle vaste alleanze create dal marito Bill con i maggiori leader della comunità nera in tutto il Paese, sia religiosi, che politici.

Obama ha dichiarato che entro il 10 febbraio annuncerà le conclusioni del suo comitato esploratore e deciderà se gareggiare per la nomination. Non ci sarebbe da stupirsi se Obama decidesse di rinunciare alle presidenziali del 2008, lasciando il campo libero alla Clinton. Obama ha soli 45 anni, e può sicuramente partecipare a molte altre elezioni presidenziali. Potrebbe anche aspirare a un riconoscimento significativo in un governo Clinton, se non addirittura alla vice presidenza.  Ed è proprio dalla due giorni della DNC, attualmente in corso, che potrebbero emergere indicazioni per come sviluppare alleanze capaci di unire il variegato elettorato democratico.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.