Il repubblicano Romney lascia: ora McCain è ancora più forte.

I democratici Clinton e Obama ancora in pareggio.

Anthony M. Quattrone

L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha deciso di gettare la spugna, sospendendo la sua partecipazione nelle primarie repubblicane, concedendo, di fatto, la vittoria al senatore dell’Arizona, John McCain. Quest’è la notizia battuta dalla Associated Press alle 18,30 del 7 febbraio. Pochi minuti dopo, anche la CNN ha lanciato la notizia aggiungendo che Romney avrebbe dichiarato di farsi da parte “per il bene del partito, e del paese”. Con l’annuncio del ritiro di Romney fra i repubblicani, e il consolidamento della posizione di McCain, diventa essenziale per i democratici trovare una strategia per affrontare già da ora il probabile candidato repubblicano. I repubblicani, nel frattempo, possono iniziare subito la lunga campagna presidenziale di novembre, non sprecando altre preziose risorse nell’identificazione del candidato presidente.

Il ritiro di Romney e il rafforzamento della posizione di McCain è in netto contrasto con la situazione di stallo che si è creata fra i democratici, con il sostanziale pareggio fra la senatrice di New York, Hillary Clinton, e il senatore dell’Illinois, Barack Obama. La lotta per la scelta del candidato democratico per le presidenziali, pertanto, potrebbe continuare fino alla Convention del partito, che si terrà a Denver dal 25 al 28 agosto.

La sostanziale parità fra i due candidati si legge attraverso il numero di “pledged delegates” ovvero, i delegati “impegnati”, che vanno distinti dai “super delegates”. I primi sono assegnati e “impegnati” attraverso il voto popolare, nei vari stati e, qualche volta, anche in base ai distretti elettorali all’interno degli stati. Dei 4.049 delegati che voteranno alla Convention di agosto, 3.280 sono delegati “impegnati”. I “super delegates” sono invece degli aventi diritto al voto perché sono deputati, senatori, funzionari e dirigenti di partito, e formano un gruppo di ben 769 unità, pari al 20% di tutti quelli che voteranno nella Convention. Mentre i delegati che sono stati scelti attraverso le primarie sono, in genere, impegnati a votare secondo la preferenza espressa dagli elettori, i super delegati sono liberi di votare come vogliono. Se si arriva ad agosto con una sostanziale parità fra Clinton e Obama, e nessuno dei due supera la quota di 2.025 delegati, che servono per ottenere la maggioranza, allora i voti dei super delegati determineranno chi vincerà.

Qual è la situazione attuale? Quando sono ancora in corso le assegnazioni di circa 500 delegati in alcuni degli stati dove si è votato nel Super Tuesday, Obama è in vantaggio sulla Clinton di soli quattro delegati, per 853 a 849, nei 28 stati dove si sono svolte, dal 3 gennaio fino ad ora, le consultazioni elettorali.

Alcuni organi d’informazione aggiungono ai risultati sopraccitati, anche i voti dei super delegati, in base alle dichiarazioni pubbliche che quest’ultimi hanno reso a favore di uno dei due candidati. Così, Clinton si trova in vantaggio su Obama per 1.060 a 981, perché la senatrice di New York può contare già sulla promessa di voto da parte di 211 super delegati, mentre Obama ha il sostegno di 128.

In breve, Clinton e Obama sono sostanzialmente alla pari per quanto riguarda il numero dei delegati vinti attraverso il voto, ma Clinton è in vantaggio su Obama per quanto riguarda i voti che arrivano dalla struttura del partito, in pratica, i voti dei super delegati. Tuttavia, mentre i delegati ottenuti attraverso il voto popolare sono “impegnati” formalmente, le promesse dei super delegati sono soggette a compromessi, cambi di posizione, ecc. Pertanto, la situazione è ancora fluida, ed è tutta da giocare nelle primarie dei 22 stati dove ancora non si è votato.

Dall’analisi del voto popolare dello scorso martedì si evince una sostanziale parità fra i due candidati democratici. Secondo il New York Times del 7 febbraio, Clinton ha ottenuto 7.427.700 voti, pari al 50,2 percento, contro 7.369.798 voti per Obama, pari al 49,8 percento. Nel conteggio mancano i voti popolari dell’Alaska, dove ha vinto Obama, va i voti sono stati espressi direttamente per i delegati e non per i candidati presidenziali. In pratica, contando anche l’Alaska, siamo allo stallo.

L’ex governatore del Vermont e attuale Chairman del partito democratico, Howard Dean, vorrebbe evitare che si arrivasse fino ad agosto con una situazione di stallo. Nella terminologia politica americana, quando si arriva all’appuntamento della Convention con nessun candidato vincente, si parla di una “brokered convention”, vale a dire una convention dove c’è dare fare un grosso lavoro di mediazione. Le brokered convention possono essere dannose per il partito perché le risorse e l’attenzione necessarie per trovare una soluzione possono esaurirsi e sono sicuramente distolte dalla battaglia contro il candidato del partito avversario. Dean, in un’intervista con una rete televisiva via cavo di New York, ha affermato che, secondo lui “avremo un candidato designato verso la metà di marzo o ad aprile, ma se non lo avremo, dovremo mettere assieme i due candidati e trovare un accordo di qualche genere, perché non possiamo permetterci di tenere una brokered convention”.

Nel frattempo, Obama batte Clinton nella raccolta dei fondi necessari per continuare la campagna elettorale. Obama ha raccolto oltre sette milioni di dollari nei giorni immediatamente dopo il Super Tuesday, attraverso una capillare rete di donatori attraverso l’Internet, mentre la Clinton ha raccolto solo tre milioni e ha dovuto prendere in prestito, dai suoi fondi personali, cinque milioni di dollari per finanziarsi la campagna elettorale. La capacità di Obama di raccogliere piccole cifre da tantissimi sostenitori attraverso l’Internet, dove nel solo mese di gennaio ha raccolto ben 27 milioni di dollari, potrebbe testimoniare una maggiore capacità del giovane senatore di rapportarsi alla base del partito democratico, ed in particolare ai giovani.

Con il ritiro di Romney e il consolidamento della posizione di McCain fra i repubblicani, diventerà ancora più importante il ruolo che Howard Dean dovrà giocare nel trovare una soluzione affinché la campagna democratica non finisca per indebolire sia Clinton, si Obama, e il partito democratico nel suo insieme. Se il dibattito fra i democratici continuerà ad entusiasmare le folle, e la partecipazione degli elettori alle primarie raggiungerà record sempre più alti, allora lo scontro fra Clinton e Obama gioverà al partito. Al contrario, se i candidati si lasceranno andare in attacchi personali poco eleganti, il partito rischierà di perdere le elezioni ancora prima di arrivare al voto di novembre. McCain è un candidato repubblicano capace di attirare il voto dei moderati, degli indipendenti, ed anche dei democratici che non simpatizzano né per Clinton, né per Obama. Il partito di Dean è avvertito.

Pubblicato su Agenzia Radicale l’8 febbraio 2008.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.