La brutta figura di Trump

Il presidente Donald Trump sta facendo una pessima figura nel continuare a contestare i risultati delle elezioni presidenziali del 3 novembre 2020.  È stato sconfitto nel conteggio del voto popolare con una differenza di oltre 6 milioni di voti e dalle preferenze espresse dai grandi elettori per 306 a 232. Accusa i democratici di avergli rubato l’elezione. Rincara la dose con racconti fantasiosi di morti che avrebbero votato, di schede elettorali a suo favore gettate via e sostituite da quelle per Joe Biden.  Ma, nessuna delle accuse ha sortito gli effetti desiderati.  Ha perso!

Per comprendere in che modo la squadra di Trump ha inteso ed intende sovvertire il risultato elettorale, è necessario un approfondimento sul funzionamento del sistema elettorale americano e delle formalità che porteranno all’investitura del nuovo presidente il 20 gennaio 2021.

Nel sistema federale americano ogni Stato gestisce le elezioni presidenziali in linea con le leggi federali integrate da quelle statali: esiste il voto popolare (espresso dai cittadini aventi diritto) ed il voto dei grandi elettori (designati dagli Stati). I grandi elettori rappresentano il valore elettorale di uno Stato. Ognuno dei 50 Stati esprime un valore elettorale, cioè un numero di grandi elettori, diverso.

Infatti, il numero di grandi elettori di cui ogni Stato dispone è uguale al numero dato dalla somma dei senatori e dei deputati che sono eletti in quello stesso Stato.

I senatori, a loro volta, sono 2 per ogni Stato a prescindere dal numero di abitanti e dalla superfice di ogni Stato; mentre il numero dei deputati è stabilito in base alla popolazione.  Per esempio, lo Stato del Montana vale solo 3 voti elettorali (cioè può designare 3 grandi elettori), pari alla somma dei 2 senatori più 1 deputato assegnato allo Stato in base alla popolazione (scarsa in questo caso) nonostante le considerevoli dimensioni geografiche.  Lo Stato del New Jersey, invece, più piccolo geograficamente del Montana, vale 14 voti elettorali (cioè 14 grandi elettori), pari alla somma di 2 senatori più 12 deputati assegnati grazie alla elevata densità di popolazione.

Come votano i grandi elettori è determinante ai fini della elezione del Presidente. In 48 dei 50 stati, vige la regola dell’asso piglia tutto. Cioè, al candidato Presidente che ottiene il maggior numero di voti popolari in uno degli Stati, vengono attribuiti tutti i voti elettorali (cioè quelli pari alla somma dei senatori e dei deputati di quello Stato); non importa se la differenza sia un voto solo o centinaia di migliaia di voti. Solo in due Stati, il Nebraska e il Maine, è possibile dividere i voti elettorali fra i diversi candidati a presidente, in base ai conteggi locali, nei distretti elettorali e non attraverso il conteggio nell’intero Stato. 

L’intero “Collegio Elettorale” nazionale è composto da 538 “grandi elettori”. Il candidato Presidente che ottiene 270 voti vince.  Al momento, Joe Biden ha raggiunto quota 306 mentre Trump è a 232.

La tabella di marcia della procedura elettorale americana prevede che ogni Stato risolva entro l’8 dicembre 2020 qualsiasi controversia riguardo i risultati elettorali.  Entro il 14 dicembre, ogni Stato nominerà i grandi elettori, i quali entro il 23 dicembre 2020, voteranno per il presidente e il vicepresidente, secondo la scelta elettorale espressa dallo Stato di appartenenza.  L’archivista di ogni Stato comunicherà al Congresso i risultati delle elezioni entro il 3 gennaio 2021.  Il Presidente del Senato leggerà e confermerà i risultati durante la convocazione plenaria delle due camere.  Il 20 gennaio 2021, a mezzogiorno, Joe Biden sarà in nuovo presidente americano.

Torniamo alla strategia di Trump per sovvertire il risultato elettorale. I suoi legali hanno provato a mettere in dubbio i risultati in Michigan, Arizona, Pennsylvania e Georgia.  Hanno contestato la legittimità dei voti effettuati per posta, la data di ricezione delle schede votate, il metodo per identificare chi votava di persona, e infine il sistema del software usato per conteggiare i voti.  Fallite queste contestazioni hanno tentato, negli stessi quattro Stati, di influenzare i parlamentari e le autorità di orientamento repubblicano a scegliere grandi elettori a lui favorevoli, e quindi istigando alla violazione della regola elettorale “dell’asso piglia tutto”.  Successivamente, Trump ha invitato membri repubblicani della legislatura del Michigan alla Casa Bianca per convincerli in questo senso. Ma ha fallito.  I repubblicani del Michigan non prenderanno alcuna iniziativa per sovvertire il voto espresso a favore di Biden dalla maggioranza dei cittadini di quello Stato – si limiteranno a rallentare la procedura, giusto per soddisfare il Presidente in carica. Analogamente, Trump ha fallito in Georgia, uno Stato amministrato dal Partito Repubblicano. Dopo un riconteggio manuale di oltre 5 milioni di voti, la vittoria di Joe Biden è stata già certificata dal governatore repubblicano Brian Kemp.

Gli avvocati di Trump non hanno più nulla da tentare. La procedura elettorale è risultata trasparente e l’esito delle elezioni sarà confermato nelle prossime settimane, come stabilito per legge e, il 20 gennaio 2021, Joe Biden sarà il 46mo presidente degli Stati Uniti.

Nel frattempo Trump ostacola una fattiva collaborazione fra i componenti della sua “squadra di governo” e quella di Joe Biden rischiando di compromettere la sicurezza e l’economia degli USA.  Ironicamente, e nonostante Trump, solo la battaglia contro la pandemia non subirà alcun rallentamento a causa della assenza di collaborazione fra il governo in carica e la squadra di Biden. Trump, infatti, ha sempre considerato il COVID-19 come una bufala creata dai democratici e, pertanto, la sua amministrazione non ha iniziative o programmi da consegnare agli uomini e alle donne di Biden: è difficile consegnare il nulla.

 

Versione aggiornata dell’articolo pubblicata il 29 novembre 2020 da “Il Denaro”

Elezioni pulite e il ritorno alla normalità

Il presidente Donald Trump ha perso le elezioni. Le ha perse in modo pulito. Non ci sono stati brogli e non ci sono stati grandi errori da parte degli addetti alle operazioni di voto in nessuno dei 50 stati o nei diversi distretti elettorali. Le poche irregolarità, abbastanza fisiologiche quando votano oltre 140 milioni di cittadini, non hanno favorito né una parte né l’altra. Ci sono state contestazioni legali e procedurali rispetto alle date cui accettare il voto per posta, al tipo di documento d’identità richiesto per chi votava di persona, su come contare i voti espressi con schede che gli scanner non riuscivano a leggere. Niente di più. Tutte le accuse, le esagerazioni, i video virali e le tante parole dette e messe in giro da complottisti di ogni specie, sono state rispedite al mittente. Non dai democratici, non da chi ha votato contro Trump, ma dagli stessi governatori repubblicani, dagli amministratori elettorali repubblicani, dai giudici nominati dai politici repubblicani, dalla stampa repubblicana. Insomma, Trump è sconfitto ed è isolato.


Le attuali accuse di brogli e di errori grossolani portate avanti da alcuni sostenitori di Donald Trump rientrano nella più ampia battaglia in corso negli USA sulla rappresentazione della realtà. Prima dell’ascesa di Trump, democratici e repubblicani potevano interpretare diversamente un evento, un accadimento, ma erano d’accordo che erano cose effettivamente accadute. Durante il corso del mandato del Presidente Trump, la CNN ha più volte messo in onda una pubblicità mostrando una mela, indicando che non importava quante volte la si volesse chiamare una banana, anche urlando ad alta voce, sarebbe sempre rimasta una mela. In America, con l’elezione di Joe Biden e Kamala Harris, è stato fatto un grande passo verso la normalità della realtà. Una banana è una banana e non è e non sarà mai una mela. Così come una mascherina da indossare durante la pandemia è sempre e solo una mascherina e non una dichiarazione politica. Trump accusava i democratici di usare il mantra “Covid-Covid-Covid” per motivi elettorali, e che la pandemia sarebbe miracolosamente scomparsa dopo le elezioni. Invece, continua ad esistere e i 244 mila morti sono reali. Così come lo sono i 181 mila nuovi casi registrati il 13 novembre. I morti e i contagiati sono democratici e repubblicani, cittadini e immigrati, giovani e anziani, imprenditori e operai, bianchi e neri.


È innegabile che una parte dell’opinione pubblica negli USA, così come altrove, è affascinata dalle interpretazioni fantasiose della realtà. Le teorie complottiste sono all’ordine del giorno. Colpiscono intellettuali e persone meno colte, ricche e meno abbienti, forse con pari frequenza. Il dubbio, non quello sano, scientifico, si è insinuato dovunque. E così si leggono commenti sui social che lasciano senza parole. Si nega l’esistenza del COVID-19, così come si nega che Biden abbia vinto in modo pulito le elezioni.


Tornando alla realtà, Joe Biden sarà il 46mo presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio 2021. Senza una politica atta a contenere la pandemia, si stima che per quella data moriranno negli USA almeno altre 100 mila persone. Ed è per questo che Biden ha deciso, come primo atto formale da “president-elect”, di nominare una commissione sanitaria composta dai migliori specialisti attualmente disponibili negli USA, per affrontare la pandemia in modo decisivo, sistematico e scientifico. È il ritorno alla normalità della realtà.

Articolo pubblicato il 14 novembre 2020 su “Il Denaro” online.