Usa, soffia il vento “anti-incumbent”

Anthony M. Quattrone

U.S. Senate candidate Rand Paul talks with his wife Kelley as he waits to be introduced at a Republican party unity rally in Frankfort, Kentucky, Saturday, May 22, 2010. (AP Photo/Ed Reinke)

Negli Stati Uniti spira un vento contrario ai quei senatori, deputati, e governatori attualmente in carica che dovranno competere nelle prossime elezioni di novembre per ottenere il rinnovo del loro mandato. In questi giorni si stanno svolgendo alcune delle primarie democratiche e repubblicane per scegliere i candidati che gareggeranno per il rinnovo della Camera, un terzo del Senato, e per l’elezione di 36 dei 50 governatori dei differenti Stati americani per le elezioni di novembre, le cosiddette mid-term, cioè quelle che si svolgono a metà del mandato presidenziale di Barack Obama.

Secondo tutti i maggiori sondaggi svolti nelle ultime settimane, circa 70 percento degli americani giudica sfavorevolmente il lavoro svolto dai membri del Congresso, indipendentemente dal partito di appartenenza. Secondo un sondaggio svolto per l’Associated Press, solo 36 percento voterebbe per un candidato attualmente in carica. E’ particolarmente significativo che un sondaggio condotto per ABC/Washington Post abbia rilevato che la maggioranza degli americani ha più fiducia in Barack Obama, di quanto ne abbia nei deputati e senatori dell’opposizione repubblicana per quanto riguarda l’economia, la riforma sanitaria, la riforma finanziaria, e la gestione del deficit federale. Questo dato, tuttavia, non garantisce i deputati e i senatori democratici dall’irritazione popolare nei confronti del Congresso, e qualche pezzo grosso dell’establishment del partito di Obama inizia a traballare.

Già cadono le prime teste famose nella guerra “anti-incumbent” (contro il candidato in carica). L’ottantenne Alan Specter, il senatore della Pennsylvania, eletto cinque volte come repubblicano, passato ai democratici undici mesi fa, ha perso le primarie democratiche del 18 maggio 2010 contro il deputato Joe Sestak, per 47 a 53 percento. Specter aveva il sostegno dell’establishment del partito democratico, fra cui Barack Obama e Edward Rendell, il governatore della Pennsylvania. Il coraggio del vincitore, Ed Sestak, un ammiraglio in pensione al suo secondo mandato come deputato, è stato premiato da un elettorato non convinto della bontà della “conversione” di Specter da repubblicano a democratico. Lo stesso Sestak aveva attaccato Specter accusandolo di aver cambiato casacca solo per opportunismo, perché non fosse più convinto di poter vincere le primarie repubblicane. Solo qualche settimana fa, Sestak era in svantaggio per 2 a 1 nei sondaggi fra gli elettori democratici, ma il vento “anti-incumbent” lo ha sicuramente aiutato nella battaglia tutta in salita. A novembre Sestak sfiderà l’ex deputato repubblicano Pat Toomey, in quello che sarà, probabilmente, una sfida dal risultato incerto fino all’ultimo voto in Pennsylvania.

E’ molto indicativa la vittoria di Rand Paul nelle primarie repubblicane del 18 maggio 2010 per il seggio di senatore dello stato del Kentucky contro Trey Grayson. Il primo ha l’appoggio del movimento di protesta, il Tea Party, che sta tentando di mandare a Washington una folta schiera di politici della destra conservatrice americana, che si oppone agli interventi pubblici decisi dal governo Obama, che causeranno, secondo il movimento, ulteriori tassazioni per gli americani. Il secondo, invece, è l’attuale Segretario di stato del Kentucky, ed è appoggiato dall’establishment repubblicano, ed in particolare dal potente capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell.

La vittoria di Paul conferma il forte sentimento contro Washington che fermenta nella componente più attiva della base repubblicana. Rand Paul è il figlio del deputato repubblicano del Texas, Ron Paul, che partecipò alle primarie repubblicane per le presidenziali del 2008, sostenendo una linea liberista in economia e generalmente libertaria sulle questioni dei diritti individuali. “Ho un messaggio” ha detto Rand Paul durante i festeggiamenti nella città di Bowling Green nel Kentucky, “un messaggio dalla Tea Party. Un messaggio chiaro e forte, senza mezzi termini: Stiamo andando a riprenderci il nostro governo.” Ora, sembra che il primo a traballare a Washington sia proprio il senatore McConnell. Secondo Richard Viguerie, considerato un “guerriero conservatore”, in un sistema parlamentare tipo Europeo, “la vittoria di Paul sarebbe considerata un voto di sfiducia nei confronti di McConnell, il quale avrebbe presentato immediatamente le dimissioni da capogruppo repubblicano al Senato.”

Gli attivisti conservatori del Tea Party avevano già determinato la sconfitta del senatore in carica Bob Bennett nelle primarie svolte l’8 maggio 2010 nello stato dello Utah. Bennett era stato eletto tre volte al Senato, dove sta completando il suo diciottesimo anno in carica, ed è parte dell’establishment conservatore del partito repubblicano. Bennett sostiene che l’atmosfera politica è divenuta tossica, e che è stato punito per aver cercato l’accordo con i democratici per alcune votazioni al Senato. Bennett non potrà partecipare alla parte finale delle primarie dello Utah, che si terranno il 22 giugno 2010, quando il candidato del Tea Paty, l’avvocato ultra conservatore Mike Lee gareggerà contro l’imprenditore più moderato, Tim Bridgewater per diventare il candidato repubblicano per il seggio attualmente ricoperto da Bennett. E’ dal 1970 che i democratici non riescono a vincere un seggio di senatore nello Utah, e pertanto, chi vince le primarie repubblicane sarà quasi certamente eletto a novembre.

Il vento “anti-incumbent” è anche particolarmente forte nel partito repubblicano della Florida, dove il governatore in carica, Charlie Crist ha deciso di lasciare il partito e di gareggiare a novembre come indipendente per un seggio al Senato. Crist non se la sente di affrontare nelle primarie repubblicane Marco Rubio, ex capogruppo del partito alla Camera della Florida. Rubbio, considerato una stella nascente nel firmamento repubblicano, è appoggiato dai movimenti che formano la destra repubblicana e dall’influente comunità cubano-americana residente nello Stato. La direzione repubblicana è, tuttavia, preoccupata che in una gara a tre, fra il repubblicano Rubio, l’indipendente Crist, e il democratico Kendrick Meek, un deputato afro-americano, quest’ultimo potrebbe avere la meglio, sfruttando la divisione del voto conservatore fra i primi due.

Gli strateghi democratici e repubblicani hanno un bel po’ da fare per prendere le necessarie misure per evitare che i movimenti “anti-incumbent” nei rispettivi partiti possano finire per scomporre le loro basi elettorali. Con l’economia che stenta a riprendersi in modo visibile, e la disoccupazione che continua a sfiorare 10 percento, la variabile “anti-incumbent” rende la politica americana ancora più dinamica e predisposta al mutamento. Il vento “anti-incumbent” potrebbe portare ad interessanti novità nei cinque mesi che mancano all’appuntamento elettorale di novembre.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

2 pensieri riguardo “Usa, soffia il vento “anti-incumbent””

I commenti sono chiusi.