Anthony M. Quattrone
Circa 4.500 soldati americani e 120 mila iracheni hanno perso la vita in Iraq da quando nel marzo 2003 il presidente George W. Bush decise di iniziare una guerra cui mancavano credibili giustificazioni. L’Iraq non poneva un imminente pericolo per gli Stati Uniti d’America, né era sospettata di essere il mandante dell’attacco terroristico del settembre 2001. In America, oggi ci sono circa 32 mila veterani della guerra in Iraq che soffrono di gravi mutilazioni dovute alle ferite riportate in combattimento. In Iraq i soldati americani continuano a morire. Eppure, il presidente americano Barack Obama aveva promesso nella sua campagna elettorale che avrebbe rimosso le truppe da combattimento dall’Iraq entro il giugno 2010 per concentrarsi sull’Afghanistan, il luogo dove, secondo molti analisti, è più probabile un rigurgito del terrorismo internazionale antiamericano.
Con la brillante operazione che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, il presidente americano ha dimostrato che l’uso dell’intelligence e delle forze speciali, accoppiato con la pazienza, può portare a risultati molto più efficienti con costi relativamente bassi in termini di vite umane e di dispendio di risorse finanziarie. L’invasione dell’Afghanistan, seguita da quella dell’Iraq, con l’enorme costo in vite umane d’inermi civili, di militari americani, afgani, iracheni, delle formazioni irregolari delle diverse parti in lotta, oltre ai costi materiali che hanno in sostanza sbancato il tesoro americano, lasciato in attivo dal presidente Bill Clinton, e portato distruzioni non ancora risolte in tante zone dei paesi che hanno subito la guerra, dovrebbero fungere da monito a chiunque pensi di utilizzare la guerra come metodo per risolvere questioni di polizia internazionale o come lotta al terrorismo.
La guerra in Iraq è costata al contribuente americano circa 750 miliardi di Euro fino ad oggi. Il presidente ha proposto di includere nel bilancio federale del 2012 circa 14 miliardi di Euro per sostenere le spese per circa 46 mila soldati americani che sono ancora in Iraq. Anche se questi soldati non partecipano in azioni di guerra, sono, di fatto, oggetto di attacchi militari, e l’elettore americano non riesce a comprendere perché ci siano ancora militari americani in Iraq. Gli americani non comprendono bene i segnali che stanno ricevendo dal governo di Barack Obama, perché, se da un lato si conferma il ritiro di tutte le truppe entro il 31 dicembre 2011, dall’altro il segretario alla difesa, Robert Gates e il capo di stato maggiore delle forze armate, l’ammiraglio Mike Mullen, indicano l’assenso americano a rimanere in Iraq oltre tale data se il governo di Nouri al-Maliki lo richiedesse. Entrambi, tuttavia, manifestano preoccupazione perché il tempo stringe e se non arrivasse entro poche settimane un cenno da parte irachena, mancherebbe il tempo per attuare le necessarie iniziative logistiche per assicurare la presenza americana nel paese oltre il 31 dicembre 2011.
Per molti osservatori americani, il tempo in Iraq è scaduto, anche perché gli iracheni sarebbero capaci di gestire al meglio le questioni di sicurezza interna usando le loro forze armate che sono ben addestrate ed equipaggiate, e superano numericamente gli insorti. La tabella di marcia del ritiro americano è anche alla base dell’appoggio che il religioso sciita Moktada al-Sadr ha dato al governo in carica. Sadr ha chiaramente minacciato la ricostituzione dell’esercito irregolare del Mahdi se gli americani non lasciassero il territorio iracheno come annunciato e, farebbe anche cadere l’attuale governo del primo ministro Maliki, gettando il paese in una crisi politica e militare.
Il 30 giugno 2010 era il termine che il presidente Obama aveva posto per il ritiro di tutte le truppe di combattimento americane in Iraq. Ora Obama deve mantenere la promessa di portare a casa gli altri soldati, quei 46 mila che sono ancora in Iraq senza ruolo di combattimento ma che muoiono, che sono feriti e che costano a testa circa 300 mila euro all’anno per rimanere in Iraq. Dopo la morte di Osama bin Laden è sempre più difficile convincere il contribuente americano a lasciare anche un solo soldato in Iraq. E forse, fra poco, sarà difficile convincerlo a lasciare anche un solo soldato in Afghanistan.