Il Tea Party: la stella marina contro il ragno

Anthony M. Quattrone

Delaware Republican Senate candidate Christine O'Donnell addresses supporters during a Tea Party Express news conference in support of her election bid, in Wilmington, Del., in this photo taken Tuesday, Sept. 7, 2010. A week later, she won against the full force of the Republican establishment, seizing the nomination from Rep. Mike Castle, R-Del. (AP Photo/Rob Carr)

Il movimento “Tea Party” ha ottenuto diverse vittorie nelle primarie del partito repubblicano che si sono svolte negli ultimi mesi per scegliere i candidati da contrapporre ai democratici per le elezioni del prossimo novembre per il rinnovo del Congresso . Il movimento, che si colloca nella generale area conservatrice, è ancora un “lavoro in corso”, che, anche per merito della sua struttura completamente decentralizzata, senza gerarchie e senza leader nazionali, è diventato una vera spina nel fianco dell’establishment del partito repubblicano.  Per le personalità repubblicane che attualmente occupano posizioni di potere nel partito è difficile co-optare le istanze del movimento perché nel Tea Party non esistono leader, nel senso tradizionale, con cui discutere e negoziare.  I successi dei candidati del Tea Party nelle primarie preoccupano la leadership repubblicana in primo luogo perché le proposte e il linguaggio del movimento potrebbero spaventare la base elettorale tradizionale del partito e i moderati non schierati, favorendo così i candidati democratici, e perché, anche se i repubblicani riuscissero ad ottenere la maggioranza al Congresso, si troverebbero divisi in correnti in forte contrapposizione fra loro.

La struttura del Tea Party è quella di un movimento aperto, tenuto assieme da pochi punti fondamentali che ruotano attorno a due pilastri: la necessità di limitare il peso della tassazione, e quella di imporre severi limiti al potere del governo federale.  Il Tea Party usa l’Internet come primario mezzo di comunicazione, dove il dibattito interno del movimento, così come le comunicazioni di servizio, avvengono in tempo reale, a costi irrilevanti, con larga partecipazione, e con la capacità di raggiungere ogni angolo del Paese.  Il decalogo dei principi fondamentali del Tea Party è stato formulato, recentemente, attraverso la Rete, permettendo a coloro che s’identificano nel movimento, di esprimere un parere, metterlo a confronto con quello degli altri, e poi votare le priorità.  Fra i dieci punti più votati in Rete, spicca la necessità di controllare la legittimità del Congresso in ogni suo atto legislativo, seguito da una serie di proposte atte a ridurre gli sprechi federali, controllare le spese governative, e, di conseguenza, ridurre le tasse.  Quasi tutti i punti sono collegati alle questioni economiche, evitando accenni a questioni prettamente sociali o squisitamente politiche, spostando la visione del conservatorismo economico molto più verso il liberismo estremo, rispetto a quella abbracciata dai repubblicani tradizionali. Leggi tutto l’articolo

Usa, soffia il vento “anti-incumbent”

Anthony M. Quattrone

U.S. Senate candidate Rand Paul talks with his wife Kelley as he waits to be introduced at a Republican party unity rally in Frankfort, Kentucky, Saturday, May 22, 2010. (AP Photo/Ed Reinke)

Negli Stati Uniti spira un vento contrario ai quei senatori, deputati, e governatori attualmente in carica che dovranno competere nelle prossime elezioni di novembre per ottenere il rinnovo del loro mandato. In questi giorni si stanno svolgendo alcune delle primarie democratiche e repubblicane per scegliere i candidati che gareggeranno per il rinnovo della Camera, un terzo del Senato, e per l’elezione di 36 dei 50 governatori dei differenti Stati americani per le elezioni di novembre, le cosiddette mid-term, cioè quelle che si svolgono a metà del mandato presidenziale di Barack Obama.

Secondo tutti i maggiori sondaggi svolti nelle ultime settimane, circa 70 percento degli americani giudica sfavorevolmente il lavoro svolto dai membri del Congresso, indipendentemente dal partito di appartenenza. Secondo un sondaggio svolto per l’Associated Press, solo 36 percento voterebbe per un candidato attualmente in carica. E’ particolarmente significativo che un sondaggio condotto per ABC/Washington Post abbia rilevato che la maggioranza degli americani ha più fiducia in Barack Obama, di quanto ne abbia nei deputati e senatori dell’opposizione repubblicana per quanto riguarda l’economia, la riforma sanitaria, la riforma finanziaria, e la gestione del deficit federale. Questo dato, tuttavia, non garantisce i deputati e i senatori democratici dall’irritazione popolare nei confronti del Congresso, e qualche pezzo grosso dell’establishment del partito di Obama inizia a traballare.

Già cadono le prime teste famose nella guerra “anti-incumbent” (contro il candidato in carica). L’ottantenne Alan Specter, il senatore della Pennsylvania, eletto cinque volte come repubblicano, passato ai democratici undici mesi fa, ha perso le primarie democratiche del 18 maggio 2010 contro il deputato Joe Sestak, per 47 a 53 percento. Specter aveva il sostegno dell’establishment del partito democratico, fra cui Barack Obama e Edward Rendell, il governatore della Pennsylvania. Il coraggio del vincitore, Ed Sestak, un ammiraglio in pensione al suo secondo mandato come deputato, è stato premiato da un elettorato non convinto della bontà della “conversione” di Specter da repubblicano a democratico. Lo stesso Sestak aveva attaccato Specter accusandolo di aver cambiato casacca solo per opportunismo, perché non fosse più convinto di poter vincere le primarie repubblicane. Solo qualche settimana fa, Sestak era in svantaggio per 2 a 1 nei sondaggi fra gli elettori democratici, ma il vento “anti-incumbent” lo ha sicuramente aiutato nella battaglia tutta in salita. A novembre Sestak sfiderà l’ex deputato repubblicano Pat Toomey, in quello che sarà, probabilmente, una sfida dal risultato incerto fino all’ultimo voto in Pennsylvania. Leggi tutto l’articolo