Barack Hussein Obama Presidente!

small_obama_imageAnthony M. Quattrone

Oggi, 20 gennaio 2009, Barack Hussein Obama diventerà il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America. Sono tantissime le persone in tutto il mondo che seguiranno la diretta TV della cerimonia d’insediamento, e saranno tanti quelli che, alle 18 italiane, si commuoveranno, mentre guardano e ascoltano Obama, giurare fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, sulla bibbia appartenuta al presidente Abraham Lincoln. Anche la scelta della bibbia di Lincoln, un presidente repubblicano, che ha dato il via alla lunga strada dell’emancipazione dei neri, è parte di un’attenta coreografia politica che mira a creare unità fra tutti gli americani.

Nei primi cento giorni della sua presidenza, Obama potrà continuare a godere del forte consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Ma, soprattutto, potrà contare su di un Congresso a maggioranza democratica, con un’opposizione leale da parte dei repubblicani, che, specialmente all’inizio del mandato del giovane presidente, gli daranno l’opportunità di mettere in atto quanto ha promesso, e quanto vorrà fare per tirare l’America fuori dalla crisi economica.

E’ stato scritto subito dopo la trionfale vittoria del 4 novembre 2008, che l’elezione di Obama andava incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scegliesse la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mettesse l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. Dal 4 novembre ad oggi sono passati oltre due mesi, e il mondo è cambiato di nuovo, e rapidamente. La crisi economica ha distrutto centinaia di migliaia di posti di lavoro in America dall’elezione presidenziale ad oggi, portando il totale a oltre tre milioni in un solo anno. Israele ha invaso Gaza dopo aver subito attacchi giornalieri di missili Kassam lanciati da Hamas contro la sua popolazione civile per anni — ora il numero dei morti civili in Palestina, causati dall’azione militare israeliana, ha ormai superato il migliaio. In breve, in soli due mesi, la situazione Americana e mondiale si è complicata ulteriormente, e le sfide per il giovane presidente si sono notevolmente moltiplicate.

In questi due mesi, Obama ha messo assieme una squadra di governo che, secondo gli osservatori americani di tutte le parti politiche, è composta da persone di altissimo calibro. Obama ha scelto il meglio fra democratici, indipendenti, e repubblicani, e ha privilegiato la capacità professionale e la dimostrata competenza, piuttosto che la fedeltà di partito, o nei suoi stessi confronti. Vuole un rapporto leale con dei collaboratori capaci di dire “no sir, lei si sta sbagliando”, con il massimo rispetto dei ruoli e delle persone. Obama sa che alla fine, dopo aver ascoltato i consiglieri, i ministri, gli esperti, sarà solo nel prendere decisioni che potrebbero danneggiare alcuni e favorire altri. Così sarà per la politica economica, quella fiscale, le tasse, la riforma sanitaria, l’ambiente, la sicurezza nazionale, la politica estera, e così via.

Il rischio di deludere tutti c’è ed è grande. Chi vuole chiudere Guantanamo subito sarà deluso dai problemi tecnici che questo comporta. Chi vuole vedere le truppe Usa lasciare l’Iraq subito scoprirà che questo non è possibile, se si vuole garantire la sicurezza delle truppe stesse. Chi vuole la riforma sanitaria dovrà capire che, nel bel mezzo di una crisi economica di portata storica, con milioni di posti di lavoro già persi e altri che sono a rischio, non ci sono i fondi necessari per fare l’agognata riforma. E così chi vuole vedere Obama togliere immediatamente gli impedimenti federali alla ricerca sulle cellule staminali dovrà fare i conti con le priorità che il nuovo presidente vorrà dare ad ognuno dei temi su cui ha basato la sua vittoriosa campagna elettorale.

Gli americani residenti in diverse città italiane hanno organizzato oggi degli incontri per vedere assieme ai loro amici italiani il giuramento di Obama. In alcune città ci sono manifestazioni formali, mentre in altre le celebrazioni sono a carattere informale. Quello che gli italiani potranno notare da queste celebrazioni è che non ci sono differenze di partito, ideologiche, religiose, o etniche. Tutti gli americani in questo momento sperano nel successo del giovane presidente, e si sentono uniti dietro di lui.

Obama ha dimostrato in brevissimo tempo di avere la stoffa per essere un grande presidente americano. Ha lo stile giusto. E’ determinato. Ha il carisma necessario. Ha l’umiltà di circondarsi di persone forti e competenti. Già da domani Obama dovrà rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. E, mentre aspettiamo di sapere come vuole andare avanti, non ci resta che fargli l’augurio che è stato rivolto subito dopo la vittoria del 4 novembre: “Buon lavoro, Mr. President!”

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Obama: Rebus Guantanamo

Anthony M. Quattrone, Ph.D.

Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.
Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso durante la campagna elettorale che avrebbe chiuso il carcere di Guantanamo, dove oggi sono detenute 248 persone, fra combattenti illegali, terroristi, o presunti tali.  Secondo alcuni suoi stretti collaboratori, Obama, potrebbe firmare, già durante il primo giorno da presidente, l’ordine esecutivo che darebbe via allo smantellamento della struttura carceraria sull’isola cubana.  Durante la recente campagna elettorale, Obama e il senatore dell’Arizona, John McCain, il candidato repubblicano alla presidenza, avevano anche preso una posizione molto decisa contro qualsiasi forma di tortura esercitata, o presumibilmente esercitata, dal governo americano nei confronti di quei detenuti sospettati di essere legati al terrorismo mondiale.

Il governo uscente del presidente George W. Bush ha sempre negato che l’amministrazione abbia permesso o tollerato qualsiasi tipo di tortura, ma ammette che alcuni prigionieri hanno subito interrogatori molto forti, e che questi trattamenti sono stati e sono giustificati dalla necessità di salvare vite di innocenti cittadini americani.

Bush autorizzò la creazione di un sistema di commissioni militari nel novembre 2001, due mesi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, per giudicare combattenti illegali e persone sospettate di terrorismo catturati nel corso di operazioni militari americane all’estero, a partire dalla guerra in Afghanistan, iniziata nell’ottobre 2001, e trasferiti nella base americana di Guantanamo.  Circa 520 prigionieri sono stati rilasciati dal 2002 ad oggi, senza subire un processo.  Fra i 248 prigionieri ancora presenti a Guantanamo, solo 18 sono stati formalmente incriminati, e nei loro confronti si è aperta una procedura processuale.  Gli USA stanno negoziando con diversi paesi amici come e a chi rilasciare circa 150 prigionieri che non rappresenterebbero particolari problemi per la sicurezza americana, mentre è incerto cosa succederà a circa 80 detenuti che sono considerati particolarmente pericolosi dalle autorità statunitensi. Leggi tutto l’articolo

La crisi dei mutui, Obama e le buone intenzioni di Bush

La casa, il giardino, la macchina, la bandiera - il sogno americano sotto stress a causa della crisi economica (photo by Anthony M. Quattrone)
La casa, il giardino, la macchina, la bandiera - il sogno americano sotto stress a causa della crisi economica (photo by Anthony M. Quattrone)

Anthony M. Quattrone

 

La crisi dei mutui, con il conseguente pignoramento delle proprietà, sarà uno dei primi temi che il nuovo presidente americano dovrà affrontare appena metterà piede nella Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Barack Obama sa che, per la stragrande maggioranza degli americani, il possesso della casa in cui si vive è forse l’unico elemento fondamentale del sogno americano che non è cambiato nel corso degli ultimi sessanta anni. I membri delle quattro generazioni d’americani che si sono succedute dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, la “silent generation” (i nati fra il 1925 e il 1945), i “baby boomers” (i nati fra il 1946 e il 1964), la “generation x” (i nati fra il 1965 e il 1979), e la parte ormai adulta della “generation y” (i nati fra il 1980 e il 2000) considerano, in larga parte, il possesso della casa in cui si vive un obiettivo principale da raggiungere nel corso della propria vita lavorativa.

Secondo i dati pubblicati il 28 ottobre 2008 dall’ufficio del censimento Usa, quasi il 68 percento dei 111 milioni d’immobili abitativi in America è attualmente occupato dai proprietari, mentre il rimanente 32 percento è dato in affitto. Durante l’attuale crisi economica, l’obiettivo dell’acquisto della prima casa è passato in second’ordine per chi non possiede una casa, mentre sono migliaia gli americani che addirittura rischiano il pignoramento della proprietà, perchè non riescono a tenere il passo con le rate del mutuo da pagare.

Il sogno americano della casa di proprietà è sotto stress, e le notizie di pignoramenti creano pericolose traiettorie negative sia economiche, sia psicologiche, difficili da ribaltare. Tuttavia, Barack Obama dovrà stare attento a non cadere nella trappola in cui è caduto George W. Bush nel 2002, quando, motivato da buone intenzioni, ha finito per gettare i semi che hanno probabilmente contribuito, in seguito, all’attuale crisi dei mutui e dei pignoramenti.

Sin dall’inizio del suo mandato, Bush voleva favorire l’acquisto della prima casa per tutti gli americani, asserendo che la migliore garanzia per la sicurezza economica dei cittadini era il possesso della propria abitazione. Bush spinse i suoi collaboratori a creare strumenti per favorire l’acceso ai mutui per coloro che avevano difficoltà anche nel racimolare i fondi necessari per pagare l’acconto per l’acquisto della casa, che in America si aggirava, in media, fra il cinque e il dieci percento del valore dell’immobile. Il 17 giugno 2002, Bush annunciò, in un discorso presso una chiesa della comunità nera di Atlanta, in Georgia, che voleva incrementare, entro il 2010, di almeno 5,5 milioni il numero dei neri e degli ispano americani che possedevano la casa in cui abitavano, perché, fino a quel momento, meno del 50% dei membri di entrambe comunità erano proprietari di un immobile abitativo. Bush annunciò la disponibilità di fondi federali per finanziare l’acconto, la semplificazione degli atti burocratici per accedere ad un mutuo, l’impegno di due organizzazioni a partecipazione pubblica, responsabili per rendere i mutui più accessibili agli americani, la Freddie Mac e la Fannie Mae, di assistere le minoranze e i più deboli nell’acquisto della casa, ed una serie d’incentivi fiscali per quanto riguardava la tassazione sui redditi. Buonissime intenzioni. Leggi tutto l’articolo

Iraq: La guerra di Bush

Anthony M. Quattrone

In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)
In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)

La presidenza di George W. Bush sarà sicuramente ricordata come quella che è iniziata con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è continuata con la guerra in Iraq, e si è conclusa con la più grande crisi economica registrata in America dal 1929. E’ difficile attribuire a Bush responsabilità di causa ed effetto per i due eventi che hanno marcato l’inizio e la fine della sua presidenza, mentre la guerra in Iraq è sicuramente imputabile direttamente a lui. Ha voluto la guerra, ha cercato i motivi per farla, la ha condotta come voleva, e, infine, la lascerà in eredità al nuovo presidente il 20 gennaio 2009, quando passerà le consegne a Barack Obama.

Gli attacchi terroristici contro New York e Washington nel settembre 2001 sono stati degli atti di guerra da parte di forze irregolari, non appartenenti ad alcuna nazione, ma ospitati presso uno stato sovrano, l’Afghanistan. La guerra che gli Stati Uniti hanno fatto contro questo paese, l’occupazione che è seguita, e la campagna armata ancora in corso contro Al Qaeda e i suoi alleati Taliban hanno trovato un largo consenso sia nell’opinione pubblica mondiale, sia fra i giuristi internazionali.

Quanto Bush ha fatto dopo l’occupazione dell’Afghanistan ha trovato poco consenso nel mondo. La creazione del carcere di Guantanamo, non soggetta alle leggi civili degli Stati Uniti o alle diverse Convenzioni di Ginevra, dove sono ancora ospitati circa 250 “combattenti illegali”, o persone sospettate di essere tali, ha marcato in modo indelebile la nobile tradizione della “due process” legale americana. Solo in poche altre occasioni, sempre caratterizzate dalla paura di un nemico esterno, l’America ha messo da parte il “due process”, come quando durante la Seconda guerra mondiale migliaia di americani di origine giapponese e italiana furono internati in campi di concentramento.

Durante un’intervista con l’ABC News il primo dicembre, Bush si è rammaricato sia d’essere stato colto di sorpresa dall’atto di guerra contro gli Stati Uniti, sia perché le informazioni sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein erano errate. Bush, tuttavia, non riesce ad ammettere che, secondo le informazioni disponibili fino ad ora, non c’era alcun collegamento fra il dittatore iracheno e gli attacchi terroristici del 2001, e che mancava una relazione di causa ed effetto. Leggi tutto l’articolo

Le nomine di Obama: “Change” sì, ma graduale

Anthony M. Quattrone

President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Il governo che il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, sta mettendo insieme in questi giorni vede già la presenza di 12 laureati delle più importanti ed esclusive università americane, quelle che compongono la cosiddetta “Ivy League”.  Ci sono accademici, professori, ricercatori, e studiosi e sembra essere tornati ai tempi di John F. Kennedy, quando il giovane presidente raggruppò attorno a se un gruppo di collaboratori definiti in seguito, in un libro del 1972 del giornalista David Halberstam, “the best and the brightest” (i migliori e i più brillanti).

La settimana si è aperta con le nomine che Obama ha fatto per le cariche relative alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, confermando le voci trapelate durante le scorse settimane.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, sarà il nuovo segretario di Stato, il generale dei marines ed ex comandante supremo alleato in Europa, James Jones, sarà il consigliere per la sicurezza nazionale, mentre il repubblicano Robert Gates, l’attuale ministro della difesa del governo Bush, rimarrà al suo posto, almeno per i prossimi sedici mesi.  Obama ha anche nominato un’accademica, esperta per la sicurezza nazionale, Susan Rice, come ambasciatrice americana presso l’Onu, la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, alla sicurezza interna, e il procuratore Eric Holder alla giustizia.  La composizione della squadra della sicurezza nazionale di Obama sembrerebbe indicare un ritorno al ruolo primario della diplomazia nella politica estera americana, senza ridurre, tuttavia, l’importanza della forza militare. – Leggi tutto!>

Obama verso un governo forte

President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)
President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)

Pupilli di Robert Rubin e Brent Scowcroft all’economia e alla politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora alla costruzione del nuovo governo, cercando di bilanciare il mandato che ha ricevuto dal paese per effettuare una trasformazione della politica di Washington con la necessità di affidare i dicasteri più delicati a politici e professionisti di acclamata esperienza.  L’attenzione degli osservatori internazionali si concentra su due settori della futura amministrazione americana, vale a dire, quella dell’economia e quella della politica estera.  Gli altri dicasteri, come l’istruzione pubblica, l’energia, il lavoro, e la giustizia sono al centro di dibattiti all’interno del paese, e daranno la possibilità al futuro presidente di creare spazi per interventi bipartisan, oltre a soddisfare le richieste da parte di quelle frange più interessate alle politiche sociali e maggiormente attente ai temi dei diritti civili.

Secondo gli osservatori americani, le scelte di Obama per la composizione della squadra economica sembrerebbero essere indirizzate nei confronti dei pupilli di Robert Rubin, mentre per la politica estera, sono i pupilli di Brent Scowcroft a fare la parte del leone.  Rubin è stato uno dei maggiori consiglieri economici del presidente Bill Clinton, ricoprendo anche la carica di segretario del Tesoro dal 1995 al 1999.  Scowcroft, un generale in pensione dell’aviazione Usa, è stato un consigliere repubblicano per la sicurezza nazionale del governo di Gerald Ford e poi di Bush padre, ma ha apertamente e pubblicamente criticato la politica estera dell’attuale presidente George W. Bush, definendo l’invasione dell’Iraq e la successiva cattiva gestione del dopo guerra, un disastro per la lotta contro il terrorismo.

Nel presentare i consiglieri economici che lo aiuteranno nel gestire l’economia americana, Obama ha dichiarato, durante una conferenza stampa a Chicago il 24 novembre, di aver scelto dei leader che possono offrire “un modo di pensare fresco, nuovo”.  La nuova squadra economica, secondo Obama, dovrà agire immediatamente per sfruttare le opportunità d’intervento che l’attuale crisi presenta, sviluppando “un piano di stimolo all’economia che dia uno scossone al sistema per farlo tornare in forma”.  Gli osservatori americani e gli organi d’informazione descrivono i membri della nuova squadra economica come dei visionari, brillanti, acuti ed energici.  Anche Wall Street ha reagito bene alle scelte di Obama, chiudendo lunedì in forte rialzo.

La squadra economica di Obama sarà composta di cinque attori principali.  Il quarantasettenne Timothy Geithner, l’attuale direttore della Federal Reserve di New York sarà il prossimo segretario al Tesoro.  Al consiglio economico nazionale della Casa Bianca andrà Lawrence Summers, 54 anni, ex segretario al Tesoro dell’ultima amministrazione di Bill Clinton e attuale professore della Harvard University.  Il consiglio economico nazionale coordina la formulazione della politica economica nazionale e internazionale, assicurandosi che le decisioni ed i programmi delle varie agenzie e dipartimenti federali sono in linea con gli obiettivi e l’agenda politica del presidente.  Leggi tutto l’articolo

Hillary Clinton agli esteri? Conflitto d’interesse permettendo

Anthony M. Quattrone

In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clintons globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)
In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clinton's globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)

La notizia della possibile nomina della senatrice di New York, Hillary Clinton, alla posizione chiave di Segretario di Stato nella nuova amministrazione americana, ha trovato largo consenso fra i commentatori e i politici americani di entrambi gli schieramenti.  Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso di fare un governo che dovrebbe includere avversari interni al partito democratico e anche qualche repubblicano.  Durante le primarie democratiche, Obama e la Clinton hanno sferrato duri attacchi l’uno contro l’altro, e non molti osservatori avrebbero scommesso sulla capacità del partito democratico di arrivare unito alle elezioni di novembre.  Dopo la vittoria di Obama nelle primarie, i sondaggi registravano una continua disaffezione da parte dei sostenitori della Clinton nei confronti del giovane senatore afro americano.  Tuttavia, il grosso lavoro svolto dalla senatrice di New York e da suo marito, l’ex presidente Bill Clinton, durante le ultime settimane della campagna elettorale, per convincere gli operai delle zone industriali del Paese ad appoggiare Obama, ha probabilmente contribuito in modo decisivo alla vittoria dei democratici sia alla Casa Bianca, sia al Congresso, e ha permesso un riavvicinamento fra la coppia Clinton e il presidente eletto.

La nomina della Clinton potrebbe avvenire già questa settimana, e secondo James Carville, l’ex stratega della Clinton in campagna elettorale e attuale commentatore politico per la Cnn, “c’è molta spinta in questa direzione, e potrebbe accadere”.  Diversi esponenti repubblicani di primo piano, come Henry Kissinger, che ha ricoperto il ruolo di Segretario di Stato nei governi repubblicani di Richard Nixon e di Gerald Ford, e Arnold Schwarzenegger, il governatore della California, hanno commentato molto favorevolmente le voci sulla possibile nomina della Clinton.  Kissinger ha dichiarato che la Clinton “è una donna di grande intelligenza, che ha dimostrato una grande determinazione – sarebbe un eccellente nomina”.  Per Schwarzenegger, la Clinton “è una donna molto, molto intelligente e ha grande esperienza.  Sarebbe una mossa vincente.” Leggi tutto l’articolo

Crisi economica Usa e il ruolo della Cina

US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Marts 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)
US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Mart's 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)

Obama agli americani: “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”

Marco Maniaci

La più affascinante sfida politica della storia americana è appena cominciata, ma quello che attende l’ormai ex senatore dell’Illinois è di quanto più arduo ci possa essere. “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”, sono queste le parole che ha usato Barack Obama nel suo primo discorso radiofonico dopo aver vinto le elezioni presidenziali Usa.  Considerata la situazione, il futuro inquilino della Casa Bianca è costretto a dare priorità alla situazione economica attuale e alla crisi finanziaria.  Probabilmente, solo dopo la grande crisi del ’29 e la conseguente “grande depressione”, un presidente appena eletto aveva sulle proprie spalle un peso come quello che in pratica ora attanaglia Obama:  il peso di risollevare l’economia e la finanza della più grande superpotenza mondiale, dai cui destini dipendono, per ora, il futuro del mondo e soprattutto dell’Occidente.

Dalle prime indicazioni, sembra che Obama, per risollevare l’America dalla crisi, utilizzerà una ricetta a base di politiche fiscali espansive, almeno per quello che riguarda la politica interna.  E’ probabile che il nuovo presidente annuncerà uno stimolo fiscale, così come probabilmente avrebbe fatto anche McCain se avesse vinto.  Chiaramente, l’elezione di un democratico ha dato forza a coloro che intendono uscire dalla crisi e dalla conseguente recessione con un forte intervento da parte dello Stato attraverso incentivi fiscali e l’aumento della spesa pubblica.  In particolare, gli osservatori americani si aspettano che il nuovo Presidente si concentri sul problema dei mutui e del crollo del mercato immobiliare, che coinvolge milioni di americani del ceto medio.  Infatti, è stato già predisposto dal governo Bush un fondo anti-pignoramento per circa 10 miliardi di dollari e altri sgravi a favore delle famiglie della classe media, e la nuova amministrazione sarà chiamata ad ampliare le misure a favore del ceto medio.  Le banche che hanno avuto o avranno aiuti pubblici saranno chiamati a rinegoziare i mutui con i clienti insolventi.

Il presidente eletto prevede anche grandi aiuti alle imprese sotto forma di incentivi.  I consulenti di Obama prevedono tagli fiscali immediati per circa 65 miliardi di dollari e un aumento della spesa per 135 miliardi.   La nuova amministrazione dovrà tenere in considerazione, però, anche il forte aiuto dato dal Presidente uscente Bush, con il piano di salvataggio da 700 miliardi dollari, approvato dal Congresso a maggioranza democratica, che pesa già come un macigno sul debito pubblico statunitense. Leggi tutto l’articolo

La transizione da Bush ad Obama è iniziata

President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)
President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto americano, Barack Obama, ha iniziato il lavoro per la transizione alla Casa Bianca, che si concluderà con l’insediamento del 20 gennaio 2009, quando presterà il giuramento di fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Secondo le migliori tradizioni americane, il presidente in carica, George W. Bush, e la sua amministrazione garantiranno al nuovo governo un passaggio di consegne senza intoppi, specialmente in considerazione che il Paese è attualmente impegnato su due fronti militari abbastanza impegnativi e sta affrontando una crisi economica, forse senza precedenti.

I primi due collaboratori scelti dal presidente eletto, per attuare la transizione, sembrano indicare chiaramente che il neo eletto presidente vorrà seguire una traiettoria progressista nella formazione del suo governo. Obama ha nominato, per il ruolo di Capo di Gabinetto, un clintoniano di ferro, il deputato democratico dell’Illinois, Rahm Emanuel, considerato un grande amico d’Israele, un liberal nel campo della politica sociale ed economica, ma anche un politico molto pragmatico ed un profondo conoscitore dei meccanismi del Congresso.  Obama ha scelto Joseph Podesta, l’ex Capo di Gabinetto di Bill Clinton, da affiancare a Valerie Jarrett e Pete Rouse, che già facevano parte della cerchia ristretta di suoi collaboratori, per guidare la squadra responsabile per la transizione fra l’amministrazione in carica e quella del futuro presidente.  Podesta è da diversi giorni al lavoro con lo staff di Bush, assieme ad un centinaio di collaboratori democratici, già in possesso di un nulla osta di segretezza, che si affiancheranno alle loro controparti repubblicane per i prossimi due mesi.

Secondo il portavoce del presidente eletto, Stephanie Cutter, nessuna nomina per le cariche nel nuovo governo dovrebbe essere annunciata durante questa settimana, ma Obama potrebbe comunicare la scelta di consiglieri che dovrebbero affiancarlo durante la sua presidenza.  L’attenzione degli organi d’informazione americani si stanno focalizzando sulla promessa che Obama ha fatto, durante la sua campagna elettorale, di nominare anche alcuni repubblicani a ricoprire ruoli di prestigio all’interno della sua amministrazione.  Secondo la stampa americana, il generale Colin Powell, l’ex Segretario di stato del primo governo dell’attuale presidente Bush, potrebbe essere in lizza per il ministero della pubblica istruzione.  Si ricorda che Powell ha dato il suo sostegno ad Obama proprio a qualche settimana dalle elezioni, forse garantendogli il voto di molti indecisi.  Il senatore repubblicano del Nebraska, Chuck Hagel, è un possibile candidato per la Difesa, mentre il senatore repubblicano dell’Illinois, Richard Lugar, potrebbe aspirare a diventare il Segretario di stato.  In passato, anche Bill Clinton scelse di nominare un repubblicano alla difesa, forse per alleviare le preoccupazioni dei vertici militari, ma non sarebbe ipotizzabile che Obama nomini dei repubblicani sia alla difesa, sia agli esteri, e, pertanto è più probabile che un repubblicano vada alla difesa, mentre la scelta agli esteri potrebbe ricadere su un democratico, come il senatore del Massachusetts, John Kerry, o sull’ambasciatore Richard Holbrooke.  Leggi tutto l’articolo

L’America del “yes, we can!” ha scelto Obama

I democratici vincono anche al Congresso

President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)
President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)

Anthony M. Quattrone

L’America ha scelto il suo presidente: sarà il senatore democratico dell’Illinois, Barack Hussein Obama, a guidare gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, forte del consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Le elezioni del 2008 saranno ricordate non solo come le più costose nella storia degli Stati Uniti, con oltre un miliardo e mezzo di dollari spesi dai due partiti e dai diversi candidati durante le primarie e la fase finale delle presidenziali, ma anche perchè sono le prime che hanno coinvolto in modo totale l’intera comunità mondiale, sia per i possibili risvolti che la politica presidenziale americana possa avere sulle relazioni internazionali, sia per l’immediatezza delle notizie provenienti dall’America.

L’elezione di Obama va incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scelga la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mette l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. La politica di Obama, come è stata prospettata durante i 21 mesi di campagna elettorale, è una combinazione di idealismo progressista, tipicamente americano, abbinato ad un profondo senso di realismo per quanto riguarda i problemi dell’economica, i temi legati all’approvvigionamento delle fonti di energia, e i pericoli derivanti dalla costante minaccia posta dal terrorismo mondiale. La vittoria di Obama è anche quella del sogno americano, non solo per quello che il presidente in pectore propone, ma anche perchè lui stesso è la dimostrazione della vitalità, del dinamismo, e dell’apertura della società americana. Il discorso di concessione della vittoria, fatta da McCain poco dopo le 5 del mattino (ora italiana), è anch’esso la dimostrazione che l’America è pronta al cambiamento: McCain ha messo in risalto non solo il momento storico caratterizzato dalla vittoria per la presidenza di un nero, ma anche la grande capacità di Obama di ispirare milioni di americani, e gli ha promesso l’appoggio incondizionato per unire il paese per superare tutte le difficoltà del momento.

La vittoria di Obama, prima contro la senatrice di New York, Hillary Clinton, per la nomina a candidato presidenziale democratico, e poi contro McCain, per la presidenza, conferma la volontà degli americani di svoltare pagina, di non prestar fede più al paradigma secondo il quale “quello che va bene per il business, le imprese, va bene per l’America”. Nel discorso che ha tenuto dinnanzi alla folla festante radunata al Grant Park di Chicago, Obama ha sottolineato che l’America ha scelto che non si dovrà più misurare la qualità della vita in termini di dividendi trimestrali da pagare agli azionisti, ma in termini di benessere totale per i suoi cittadini, in termini di pari opportunità, di qualità delle scuole, di accesso ad un sistema sanitario efficiente e abbordabile per tutti gli americani, e di nuova attenzione per i temi dell’energia e dell’ambiente. Obama ha sottolineato la necessità di unire il paese per permettere agli americani di “riappropriarsi del sogno americano”. Leggi tutto l’articolo!