Obama invia truppe fresche in Afghanistan

Anthony M. Quattrone

A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (AFGHANISTAN)
A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (Afghanistan)

Il presidente americano, Barack Obama, aveva promesso durante la campagna elettorale che avrebbe ridotto, per poi ritirare completamente, le truppe da combattimento americane in Iraq e avrebbe aumentato quelle destinate all’Afghanistan. A meno di un mese dalla sua inaugurazione alla presidenza, Obama ha dato l’ordine di mandare 17 mila uomini in Afghanistan, portando il contingente americano a 55 mila unità, con l’intento, forse di superare quota 60 mila a breve. Secondo Obama, “quest’aumento è necessario per stabilizzare una situazione che si sta deteriorando in Afghanistan, cui non è stata data l’attenzione strategica, le risorse, e la direzione che urgentemente richiede”. Il presidente americano, tuttavia, ha riaffermato un concetto spesso ripetuto durante la formulazione delle linee guida della sua politica estera, dichiarando il 18 febbraio alla Canadian Broadcasting Corporation (CBC) che “non si può risolvere il problema dell’Afghanistan, dei Taleban, e della propagazione dell’estremismo in quella zona solo attraverso mezzi militari. Siamo obbligati ad usare la diplomazia, dobbiamo usare lo sviluppo economico, e serve una strategia esauriente”.

La strategia di Obama in Afghanistan rischiava di incontrare un’ampia resistenza da parte del presidente afgano Hamid Karzai per due motivi. Da un lato, Karzai ha dovuto ingoiare non poche critiche da parte di Obama e del suo staff, prima e dopo la campagna elettorale americana riguardanti la sua capacità di governare in modo efficiente ed efficaca il suo paese, mentre dall’altro, il presidente afgano è oggetto di critiche interne a causa dell’incremento nel numero di morti fra i civili, direttamente addebitato ai bombardamenti degli americani e degli alleati.

Una conversazione telefonica fra Obama e Karzai, fra martedì e mercoledì, la prima da quando Obama è diventato presidente, ha permesso al portavoce del presidente afgano, Humayun Hamidzada, di dichiarare che “una nuova pagina si è aperta nei rapporti fra i due paesi.” Secondo il portavoce presidenziale, “Obama ha parlato con il presidente su vari temi, come il rafforzamento ulteriore dei nostri rapporti bilaterali, i passi necessari per migliorare la sicurezza nella regione, l’equipaggiamento e l’addestramento dell’esercito nazionale. Si è anche parlato dell’aumento delle truppe americane.” Secondo Sayed Salahuddin della Reuters, la maggioranza delle nuove truppe americane andrà a rafforzare la presenza internazionale nel sud dell’Afghanistan, nel tentativo di sbloccare lo stallo che si è creato fra i combattenti Taleban e le truppe britanniche, canadesi, ed olandesi. Leggi tutto l’articolo

Obama, focus sull’Iran

Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009.  Iran welcomed talks with the new administration of U.S. President Barack Obama on the basis of mutual respect, President Mahmoud Ahmadinejad said. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background.(AP photo/Hasan Sarbakhshian)
Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background. (AP photo/Hasan Sarbakhshian)

Dopo la crisi economica, Barack affronta la politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva chiesto al Congresso di approvare, entro la metà di febbraio, un pacchetto di misure per stimolare l’economia americana. A fine gennaio, la Camera aveva approvato un piano che prevedeva una spesa di 819 miliardi di dollari. Pochi giorni fa, il Senato ha approvato una versione più magra. Finalmente, mercoledì 11 febbraio, i due rami del Congresso hanno trovato un accordo fra di loro e hanno anche raggiunto un compromesso con Obama, per un piano che prevede una spesa totale di 790 miliardi di dollari.

Secondo il capogruppo della maggioranza democratica al Congresso, Harry Reid, “un terzo della cifra servirà per ridurre la pressione fiscale per le famiglie del ceto medio, abbassando le tasse per oltre il 95 percento dei lavoratori americani.” Gli altri due terzi del pacchetto saranno spesi per le infrastrutture, il trasporto di massa, l’ammodernamento del sistema scolastico, e altri investimenti che dovrebbero servire per la creazione di circa 3,5 milioni di posti di lavoro, oltre a misure speciali per sostenere coloro che hanno perso l’impiego nel corso dell’attuale crisi.

L’annuncio del compromesso ha avuto un effetto immediato, importantissimo anche da un punto di vista psicologico, con l’annuncio della compagnia Caterpillar, il primo fabbricante mondiale d’attrezzatura pesante per la costruzione e l’industria mineraria, che ha deciso di ritirare le lettere di licenziamento che aveva già spedito a circa 22 mila lavoratori. Fino a qualche mese fa, ottenere un impiego alla Caterpillar era considerato una garanzia di lavoro a vita per un operaio o un tecnico americano. Il ritiro dei licenziamenti da un messaggio di ottimismo e di speranza, all’intera economia americana e al ceto medio, forse anche più dell’andamento di Wall Street. Con il compromesso raggiunto, il Congresso potrà presentare al presidente l’intero piano fra qualche giorno, perfettamente in linea con lo scadenziario richiesto da Obama.

L’attenzione di Obama si sta spostando con maggiore enfasi verso la politica estera, ed in particolare sul rapporto fra gli Stati Uniti e l’Iran. Durante la campagna elettorale, Obama aveva più volte manifestato l’intenzione di riaprire il dialogo con Teheran, alternando la possibilità di sedersi con la leadership iraniana senza porre condizioni, con posizioni più rigide, in linea con la tradizionale politica americana, chiedendo agli iraniani di bloccare il piano nucleare in atto e di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Leggi tutto l’articolo

Ottimismo Obama Style

Sanità ed economia: Barack va avanti 

President Barack Obama arrives on the South Lawn of the White House in Washington, Thursday, Feb. 5, 2009. (AP Photo/Gerald Herbert)
President Barack Obama arrives on the South Lawn of the White House in Washington, Thursday, Feb. 5, 2009. (AP Photo/Gerald Herbert)

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha firmato mercoledì una legge approvata dal Congresso per garantire la copertura sanitaria ad oltre quattro milioni di bambini i cui genitori hanno perso il lavoro o guadagnano troppo poco per pagare un’assicurazione privata.  La legge espande la copertura già garantita a quasi sette milioni di bambini attraverso la State Children’s Health Insurance Program (il programma statale per l’assicurazione sanitaria dei bambini), e sarà finanziata principalmente attraverso la tassazione del tabacco.  Un pacchetto di sigarette negli Stati Uniti costa, in media, un dollaro, di cui circa 60 centesimi vanno all’erario.  Il presidente Obama ha dichiarato di rifiutare “che milioni di bambini americani non raggiungono il pieno potenziale, perché noi falliamo nel soddisfare i loro bisogni primari.  In una società decente, ci sono alcuni obblighi che non sono merce di scambio od oggetti di negoziato, e la salute dei nostri bambini è uno di quegli obblighi”.   

L’estensione della copertura sanitaria per tutti gli americani è stato uno degli elementi fondamentali della campagna politica dei democratici durante le ultime elezioni presidenziali.  Obama mirava ad includere una proposta per riformare l’intero sistema della copertura sanitaria durante i suoi primi 100 giorni alla presidenza, ma ha dovuto fare i conti con due grossi ostacoli, vale a dire, l’attuale crisi economica e il ritiro della candidatura della persona che aveva scelto come ministro della salute, Tom Daschle, ex capogruppo democratico al Senato.  Daschle, che ha dovuto farsi da parte martedì a causa di alcuni problemi con il fisco, era, secondo molti osservatori, l’uomo giusto per portare avanti la riforma, ma la promessa elettorale di Obama ,di non assegnare posti nel suo governo a persone legate alle lobby o che avessero problemi a carattere etico, ha obbligato il candidato al dicastero della salute a ritirarsi.  Pertanto, l’approvazione della legge per estendere la copertura sanitaria ad altri quattro milioni di bambini, permette ad Obama di fare un passo in avanti nel mantenere la promessa elettorale, anche a fronte del contrattempo nella nomina del ministro.

Obama è al lavoro per cercare consensi fra i senatori repubblicani per approvare il pacchetto di misure per stimolare l’economia, che dovrebbe andare all’approvazione del Senato entro la fine della prossima settimana, indicando che non è contrario ad alcune proposte per la riduzione delle tasse.  Il presidente, tuttavia, ha riconfermato la sua opinione che le teorie economiche proposte dai repubblicani hanno fallito in passato, hanno portato il paese all’attuale crisi, e “sono state bocciate dagli elettori americani a Novembre, quando hanno votato in modo consistente per il cambio di rotta”. Leggi tutto l’articolo

Le prime 72 ore di Obama

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama signs a series of executive orders, including one closing of the prison at Guantanamo Bay, Thursday, Jan. 22, 2009, in the Oval Office of the White House in Washington. (AP Photo/Charles Dharapak)
President Barack Obama signs a series of executive orders, including one closing of the prison at Guantanamo Bay, Thursday, Jan. 22, 2009, in the Oval Office of the White House in Washington. (AP Photo/Charles Dharapak)

Molti osservatori americani avevano espresso preoccupazione per la velocità con cui Barack Obama avrebbe dovuto affrontare una serie di problemi complessi, già dalle prime ore del suo insediamento come presidente degli Stati Uniti d’America.  Il team di Obama ha spesso risposto ai critici usando una frase idiomatica inglese, “hit the ground, running” (toccare terra correndo), per assicurare tutti che il nuovo presidente sarebbe stato “operativo” sin dal primo momento in carica, e che non aveva bisogno di un “time out” né per documentarsi sui temi, né per chiedere consigli.  La straordinaria collaborazione fra l’amministrazione del presidente repubblicano uscente, George W. Bush, e quella democratica di Obama, durante i 77 giorni trascorsi fra le elezioni del 4 novembre 2008 e l’insediamento di martedì 20, e la generale soddisfazione degli osservatori di tutte le correnti politiche a proposito della composizione della nuova squadra di governo, hanno sicuramente aiutato a dissipare timori e dubbi nei confronti della capacità del giovane presidente di assumere subito le piene funzioni di capo di governo.

A poche ore dalla conclusione della festa dell’insediamento, Obama ha dettato le prime regole, ha firmato ordini, e ha debuttato sulla scena internazionale chiamando alcuni leader mediorientali, segnando in modo chiaro le traiettorie che la sua amministrazione seguirà fin dal primo momento. La celerità dell’azione di Obama, il primo presidente americano completamente abile nell’uso del computer e dell’Internet, è forse anche dovuta alla facilità con cui utilizza tutta la tecnologia a disposizione.  La Cnn ha osservato che lo staff di Obama ha completamente cambiato la struttura del sito Web della Casa Bianca, creando uno stile più aperto e all’insegna della trasparenza. Leggi tutto l’articolo

Barack Hussein Obama Presidente!

small_obama_imageAnthony M. Quattrone

Oggi, 20 gennaio 2009, Barack Hussein Obama diventerà il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America. Sono tantissime le persone in tutto il mondo che seguiranno la diretta TV della cerimonia d’insediamento, e saranno tanti quelli che, alle 18 italiane, si commuoveranno, mentre guardano e ascoltano Obama, giurare fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, sulla bibbia appartenuta al presidente Abraham Lincoln. Anche la scelta della bibbia di Lincoln, un presidente repubblicano, che ha dato il via alla lunga strada dell’emancipazione dei neri, è parte di un’attenta coreografia politica che mira a creare unità fra tutti gli americani.

Nei primi cento giorni della sua presidenza, Obama potrà continuare a godere del forte consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Ma, soprattutto, potrà contare su di un Congresso a maggioranza democratica, con un’opposizione leale da parte dei repubblicani, che, specialmente all’inizio del mandato del giovane presidente, gli daranno l’opportunità di mettere in atto quanto ha promesso, e quanto vorrà fare per tirare l’America fuori dalla crisi economica.

E’ stato scritto subito dopo la trionfale vittoria del 4 novembre 2008, che l’elezione di Obama andava incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scegliesse la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mettesse l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. Dal 4 novembre ad oggi sono passati oltre due mesi, e il mondo è cambiato di nuovo, e rapidamente. La crisi economica ha distrutto centinaia di migliaia di posti di lavoro in America dall’elezione presidenziale ad oggi, portando il totale a oltre tre milioni in un solo anno. Israele ha invaso Gaza dopo aver subito attacchi giornalieri di missili Kassam lanciati da Hamas contro la sua popolazione civile per anni — ora il numero dei morti civili in Palestina, causati dall’azione militare israeliana, ha ormai superato il migliaio. In breve, in soli due mesi, la situazione Americana e mondiale si è complicata ulteriormente, e le sfide per il giovane presidente si sono notevolmente moltiplicate.

In questi due mesi, Obama ha messo assieme una squadra di governo che, secondo gli osservatori americani di tutte le parti politiche, è composta da persone di altissimo calibro. Obama ha scelto il meglio fra democratici, indipendenti, e repubblicani, e ha privilegiato la capacità professionale e la dimostrata competenza, piuttosto che la fedeltà di partito, o nei suoi stessi confronti. Vuole un rapporto leale con dei collaboratori capaci di dire “no sir, lei si sta sbagliando”, con il massimo rispetto dei ruoli e delle persone. Obama sa che alla fine, dopo aver ascoltato i consiglieri, i ministri, gli esperti, sarà solo nel prendere decisioni che potrebbero danneggiare alcuni e favorire altri. Così sarà per la politica economica, quella fiscale, le tasse, la riforma sanitaria, l’ambiente, la sicurezza nazionale, la politica estera, e così via.

Il rischio di deludere tutti c’è ed è grande. Chi vuole chiudere Guantanamo subito sarà deluso dai problemi tecnici che questo comporta. Chi vuole vedere le truppe Usa lasciare l’Iraq subito scoprirà che questo non è possibile, se si vuole garantire la sicurezza delle truppe stesse. Chi vuole la riforma sanitaria dovrà capire che, nel bel mezzo di una crisi economica di portata storica, con milioni di posti di lavoro già persi e altri che sono a rischio, non ci sono i fondi necessari per fare l’agognata riforma. E così chi vuole vedere Obama togliere immediatamente gli impedimenti federali alla ricerca sulle cellule staminali dovrà fare i conti con le priorità che il nuovo presidente vorrà dare ad ognuno dei temi su cui ha basato la sua vittoriosa campagna elettorale.

Gli americani residenti in diverse città italiane hanno organizzato oggi degli incontri per vedere assieme ai loro amici italiani il giuramento di Obama. In alcune città ci sono manifestazioni formali, mentre in altre le celebrazioni sono a carattere informale. Quello che gli italiani potranno notare da queste celebrazioni è che non ci sono differenze di partito, ideologiche, religiose, o etniche. Tutti gli americani in questo momento sperano nel successo del giovane presidente, e si sentono uniti dietro di lui.

Obama ha dimostrato in brevissimo tempo di avere la stoffa per essere un grande presidente americano. Ha lo stile giusto. E’ determinato. Ha il carisma necessario. Ha l’umiltà di circondarsi di persone forti e competenti. Già da domani Obama dovrà rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. E, mentre aspettiamo di sapere come vuole andare avanti, non ci resta che fargli l’augurio che è stato rivolto subito dopo la vittoria del 4 novembre: “Buon lavoro, Mr. President!”

www.politicamericana.com

Obama: Rebus Guantanamo

Anthony M. Quattrone, Ph.D.

Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.
Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso durante la campagna elettorale che avrebbe chiuso il carcere di Guantanamo, dove oggi sono detenute 248 persone, fra combattenti illegali, terroristi, o presunti tali.  Secondo alcuni suoi stretti collaboratori, Obama, potrebbe firmare, già durante il primo giorno da presidente, l’ordine esecutivo che darebbe via allo smantellamento della struttura carceraria sull’isola cubana.  Durante la recente campagna elettorale, Obama e il senatore dell’Arizona, John McCain, il candidato repubblicano alla presidenza, avevano anche preso una posizione molto decisa contro qualsiasi forma di tortura esercitata, o presumibilmente esercitata, dal governo americano nei confronti di quei detenuti sospettati di essere legati al terrorismo mondiale.

Il governo uscente del presidente George W. Bush ha sempre negato che l’amministrazione abbia permesso o tollerato qualsiasi tipo di tortura, ma ammette che alcuni prigionieri hanno subito interrogatori molto forti, e che questi trattamenti sono stati e sono giustificati dalla necessità di salvare vite di innocenti cittadini americani.

Bush autorizzò la creazione di un sistema di commissioni militari nel novembre 2001, due mesi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, per giudicare combattenti illegali e persone sospettate di terrorismo catturati nel corso di operazioni militari americane all’estero, a partire dalla guerra in Afghanistan, iniziata nell’ottobre 2001, e trasferiti nella base americana di Guantanamo.  Circa 520 prigionieri sono stati rilasciati dal 2002 ad oggi, senza subire un processo.  Fra i 248 prigionieri ancora presenti a Guantanamo, solo 18 sono stati formalmente incriminati, e nei loro confronti si è aperta una procedura processuale.  Gli USA stanno negoziando con diversi paesi amici come e a chi rilasciare circa 150 prigionieri che non rappresenterebbero particolari problemi per la sicurezza americana, mentre è incerto cosa succederà a circa 80 detenuti che sono considerati particolarmente pericolosi dalle autorità statunitensi. Leggi tutto l’articolo

La crisi dei mutui, Obama e le buone intenzioni di Bush

La casa, il giardino, la macchina, la bandiera - il sogno americano sotto stress a causa della crisi economica (photo by Anthony M. Quattrone)
La casa, il giardino, la macchina, la bandiera - il sogno americano sotto stress a causa della crisi economica (photo by Anthony M. Quattrone)

Anthony M. Quattrone

 

La crisi dei mutui, con il conseguente pignoramento delle proprietà, sarà uno dei primi temi che il nuovo presidente americano dovrà affrontare appena metterà piede nella Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Barack Obama sa che, per la stragrande maggioranza degli americani, il possesso della casa in cui si vive è forse l’unico elemento fondamentale del sogno americano che non è cambiato nel corso degli ultimi sessanta anni. I membri delle quattro generazioni d’americani che si sono succedute dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, la “silent generation” (i nati fra il 1925 e il 1945), i “baby boomers” (i nati fra il 1946 e il 1964), la “generation x” (i nati fra il 1965 e il 1979), e la parte ormai adulta della “generation y” (i nati fra il 1980 e il 2000) considerano, in larga parte, il possesso della casa in cui si vive un obiettivo principale da raggiungere nel corso della propria vita lavorativa.

Secondo i dati pubblicati il 28 ottobre 2008 dall’ufficio del censimento Usa, quasi il 68 percento dei 111 milioni d’immobili abitativi in America è attualmente occupato dai proprietari, mentre il rimanente 32 percento è dato in affitto. Durante l’attuale crisi economica, l’obiettivo dell’acquisto della prima casa è passato in second’ordine per chi non possiede una casa, mentre sono migliaia gli americani che addirittura rischiano il pignoramento della proprietà, perchè non riescono a tenere il passo con le rate del mutuo da pagare.

Il sogno americano della casa di proprietà è sotto stress, e le notizie di pignoramenti creano pericolose traiettorie negative sia economiche, sia psicologiche, difficili da ribaltare. Tuttavia, Barack Obama dovrà stare attento a non cadere nella trappola in cui è caduto George W. Bush nel 2002, quando, motivato da buone intenzioni, ha finito per gettare i semi che hanno probabilmente contribuito, in seguito, all’attuale crisi dei mutui e dei pignoramenti.

Sin dall’inizio del suo mandato, Bush voleva favorire l’acquisto della prima casa per tutti gli americani, asserendo che la migliore garanzia per la sicurezza economica dei cittadini era il possesso della propria abitazione. Bush spinse i suoi collaboratori a creare strumenti per favorire l’acceso ai mutui per coloro che avevano difficoltà anche nel racimolare i fondi necessari per pagare l’acconto per l’acquisto della casa, che in America si aggirava, in media, fra il cinque e il dieci percento del valore dell’immobile. Il 17 giugno 2002, Bush annunciò, in un discorso presso una chiesa della comunità nera di Atlanta, in Georgia, che voleva incrementare, entro il 2010, di almeno 5,5 milioni il numero dei neri e degli ispano americani che possedevano la casa in cui abitavano, perché, fino a quel momento, meno del 50% dei membri di entrambe comunità erano proprietari di un immobile abitativo. Bush annunciò la disponibilità di fondi federali per finanziare l’acconto, la semplificazione degli atti burocratici per accedere ad un mutuo, l’impegno di due organizzazioni a partecipazione pubblica, responsabili per rendere i mutui più accessibili agli americani, la Freddie Mac e la Fannie Mae, di assistere le minoranze e i più deboli nell’acquisto della casa, ed una serie d’incentivi fiscali per quanto riguardava la tassazione sui redditi. Buonissime intenzioni. Leggi tutto l’articolo

Iraq: La guerra di Bush

Anthony M. Quattrone

In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)
In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)

La presidenza di George W. Bush sarà sicuramente ricordata come quella che è iniziata con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è continuata con la guerra in Iraq, e si è conclusa con la più grande crisi economica registrata in America dal 1929. E’ difficile attribuire a Bush responsabilità di causa ed effetto per i due eventi che hanno marcato l’inizio e la fine della sua presidenza, mentre la guerra in Iraq è sicuramente imputabile direttamente a lui. Ha voluto la guerra, ha cercato i motivi per farla, la ha condotta come voleva, e, infine, la lascerà in eredità al nuovo presidente il 20 gennaio 2009, quando passerà le consegne a Barack Obama.

Gli attacchi terroristici contro New York e Washington nel settembre 2001 sono stati degli atti di guerra da parte di forze irregolari, non appartenenti ad alcuna nazione, ma ospitati presso uno stato sovrano, l’Afghanistan. La guerra che gli Stati Uniti hanno fatto contro questo paese, l’occupazione che è seguita, e la campagna armata ancora in corso contro Al Qaeda e i suoi alleati Taliban hanno trovato un largo consenso sia nell’opinione pubblica mondiale, sia fra i giuristi internazionali.

Quanto Bush ha fatto dopo l’occupazione dell’Afghanistan ha trovato poco consenso nel mondo. La creazione del carcere di Guantanamo, non soggetta alle leggi civili degli Stati Uniti o alle diverse Convenzioni di Ginevra, dove sono ancora ospitati circa 250 “combattenti illegali”, o persone sospettate di essere tali, ha marcato in modo indelebile la nobile tradizione della “due process” legale americana. Solo in poche altre occasioni, sempre caratterizzate dalla paura di un nemico esterno, l’America ha messo da parte il “due process”, come quando durante la Seconda guerra mondiale migliaia di americani di origine giapponese e italiana furono internati in campi di concentramento.

Durante un’intervista con l’ABC News il primo dicembre, Bush si è rammaricato sia d’essere stato colto di sorpresa dall’atto di guerra contro gli Stati Uniti, sia perché le informazioni sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein erano errate. Bush, tuttavia, non riesce ad ammettere che, secondo le informazioni disponibili fino ad ora, non c’era alcun collegamento fra il dittatore iracheno e gli attacchi terroristici del 2001, e che mancava una relazione di causa ed effetto. Leggi tutto l’articolo

Le nomine di Obama: “Change” sì, ma graduale

Anthony M. Quattrone

President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Il governo che il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, sta mettendo insieme in questi giorni vede già la presenza di 12 laureati delle più importanti ed esclusive università americane, quelle che compongono la cosiddetta “Ivy League”.  Ci sono accademici, professori, ricercatori, e studiosi e sembra essere tornati ai tempi di John F. Kennedy, quando il giovane presidente raggruppò attorno a se un gruppo di collaboratori definiti in seguito, in un libro del 1972 del giornalista David Halberstam, “the best and the brightest” (i migliori e i più brillanti).

La settimana si è aperta con le nomine che Obama ha fatto per le cariche relative alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, confermando le voci trapelate durante le scorse settimane.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, sarà il nuovo segretario di Stato, il generale dei marines ed ex comandante supremo alleato in Europa, James Jones, sarà il consigliere per la sicurezza nazionale, mentre il repubblicano Robert Gates, l’attuale ministro della difesa del governo Bush, rimarrà al suo posto, almeno per i prossimi sedici mesi.  Obama ha anche nominato un’accademica, esperta per la sicurezza nazionale, Susan Rice, come ambasciatrice americana presso l’Onu, la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, alla sicurezza interna, e il procuratore Eric Holder alla giustizia.  La composizione della squadra della sicurezza nazionale di Obama sembrerebbe indicare un ritorno al ruolo primario della diplomazia nella politica estera americana, senza ridurre, tuttavia, l’importanza della forza militare. – Leggi tutto!>

Obama verso un governo forte

President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)
President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)

Pupilli di Robert Rubin e Brent Scowcroft all’economia e alla politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora alla costruzione del nuovo governo, cercando di bilanciare il mandato che ha ricevuto dal paese per effettuare una trasformazione della politica di Washington con la necessità di affidare i dicasteri più delicati a politici e professionisti di acclamata esperienza.  L’attenzione degli osservatori internazionali si concentra su due settori della futura amministrazione americana, vale a dire, quella dell’economia e quella della politica estera.  Gli altri dicasteri, come l’istruzione pubblica, l’energia, il lavoro, e la giustizia sono al centro di dibattiti all’interno del paese, e daranno la possibilità al futuro presidente di creare spazi per interventi bipartisan, oltre a soddisfare le richieste da parte di quelle frange più interessate alle politiche sociali e maggiormente attente ai temi dei diritti civili.

Secondo gli osservatori americani, le scelte di Obama per la composizione della squadra economica sembrerebbero essere indirizzate nei confronti dei pupilli di Robert Rubin, mentre per la politica estera, sono i pupilli di Brent Scowcroft a fare la parte del leone.  Rubin è stato uno dei maggiori consiglieri economici del presidente Bill Clinton, ricoprendo anche la carica di segretario del Tesoro dal 1995 al 1999.  Scowcroft, un generale in pensione dell’aviazione Usa, è stato un consigliere repubblicano per la sicurezza nazionale del governo di Gerald Ford e poi di Bush padre, ma ha apertamente e pubblicamente criticato la politica estera dell’attuale presidente George W. Bush, definendo l’invasione dell’Iraq e la successiva cattiva gestione del dopo guerra, un disastro per la lotta contro il terrorismo.

Nel presentare i consiglieri economici che lo aiuteranno nel gestire l’economia americana, Obama ha dichiarato, durante una conferenza stampa a Chicago il 24 novembre, di aver scelto dei leader che possono offrire “un modo di pensare fresco, nuovo”.  La nuova squadra economica, secondo Obama, dovrà agire immediatamente per sfruttare le opportunità d’intervento che l’attuale crisi presenta, sviluppando “un piano di stimolo all’economia che dia uno scossone al sistema per farlo tornare in forma”.  Gli osservatori americani e gli organi d’informazione descrivono i membri della nuova squadra economica come dei visionari, brillanti, acuti ed energici.  Anche Wall Street ha reagito bene alle scelte di Obama, chiudendo lunedì in forte rialzo.

La squadra economica di Obama sarà composta di cinque attori principali.  Il quarantasettenne Timothy Geithner, l’attuale direttore della Federal Reserve di New York sarà il prossimo segretario al Tesoro.  Al consiglio economico nazionale della Casa Bianca andrà Lawrence Summers, 54 anni, ex segretario al Tesoro dell’ultima amministrazione di Bill Clinton e attuale professore della Harvard University.  Il consiglio economico nazionale coordina la formulazione della politica economica nazionale e internazionale, assicurandosi che le decisioni ed i programmi delle varie agenzie e dipartimenti federali sono in linea con gli obiettivi e l’agenda politica del presidente.  Leggi tutto l’articolo