Il partito repubblicano americano è già proiettato verso le elezioni di mid-term che si terranno fra un anno. Nella prassi elettorale americana, ogni due anni la Camera va completamente rinnovata, così come un terzo dei seggi del Senato. Le votazioni che si svolgono esattamente a due anni dalle presidenziali, indicano all’inquilino della Casa Bianca come il paese giudica il suo lavoro fino a quel punto, permettendogli di riaggiustare il tiro, prima delle prossime presidenziali. I repubblicani dovranno obbligatoriamente cercare di registrare un successo nelle elezioni del novembre 2010, se vogliono conquistare la presidenza nel 2012.
Il commentatore conservatore, Pat Buchanan, già consigliere politico di tre presidenti repubblicani, e candidato, lui stesso, per due volte alle presidenziali Usa, sprona i repubblicani a formulare proposte politiche che non si limitano all’opposizione a quanto proposto dai democratici. Secondo Buchanan, gli elettori sanno a cosa i repubblicani si oppongono, ma non riescono a capire cosa propongono. Per Buchanan, è necessario che i repubblicani sviluppino una linea politica propositiva sui maggiori temi, partendo dall’Afghanistan, per arrivare alla riforma del sistema sanitario americano.
Buchanan scrive in un recente articolo pubblicato sul suo sito ufficiale che, secondo un recente sondaggio della Gallup, il 40 percento degli americani si considera conservatore, mentre solo il 20 percento si definisce repubblicano. I repubblicani non possono aspirare ad essere il partito di maggioranza, se non riescono a catturare il voto conservatore. Buchanan, tuttavia, manifesta qualche perplessità sulla capacità dei repubblicani di mettere assieme un programma credibile e alternativo a quello dei democratici, prima delle prossime scadenze elettorali. Leggi tutto l’articolo
La politica estera americana, diretta dal Segretario di Stato, Hillary Clinton, sta uscendo dal binomio Iraq-Afghanistan in cui il presidente George W. Bush la relegò durante gli otto anni del suo mandato, e riprende quota con una presenza attiva sull’intero scacchiere internazionale. La politica dell’apertura e del dialogo, promesso da Barack Obama durante la campagna elettorale per le presidenziali USA del 2008, ha definitivamente preso il sopravvento sulla politica dell’intervento unilaterale, che ha caratterizzato gli anni post-11 settembre, in cui si è arrivati a teorizzare, dandone una parvenza di legalità, anche la possibilità di effettuare interventi di guerra preventiva, com’è effettivamente accaduto nel caso dell’invasione dell’Iraq nel marzo 2003.
Con l’approvazione da parte del Senato Usa il 20 ottobre 2009 di un provvedimento che consentirà l’ingresso sul suolo statunitense dei prigionieri attualmente detenuti a Guantanamo, Obama potrà attuare anche la promessa fatta durante la campagna elettorale di chiudere il carcere, migliorando l’immagine degli Stati Uniti all’estero, ed in particolare nel mondo islamico. Il provvedimento, approvato con una larga maggioranza di 79 a 19, permetterà ai prigionieri islamici internati a Guantanamo di essere detenuti sul suolo americano, dove potranno essere processati davanti ai tribunali civili o militari, dando la possibilità ad Obama di svuotare “Camp X-Ray” a breve.
L’amministrazione americana sembra intenta ad ottenere un largo numero di piccoli successi, quasi per dimostrare che la via del dialogo può essere praticata, nell’attesa di poter completare operazioni strategiche in Iraq ed in Afghanistan, semmai con il ritiro delle truppe americane. Alcune operazioni del dipartimento di Stato sembrano mirate ad un consumo interno, proprio per convincere gli americani che la via del dialogo in politica estera è fattibile, e non riduce per niente la sicurezza o la forza americana.
Nelle ultime settimane è salito vertiginosamente l’attività del dipartimento di Stato. La Clinton era presente a Zurigo il 10 ottobre 2009 per la firma fra Turchia e Armenia per la riapertura del confine fra i due paesi, che era stato chiuso dal 1993, e per la ripresa dei rapporti diplomatici fra i due paesi. Leggi tutto l’articolo
L’annuncio fatto lo scorso venerdì che il premio Nobel per la pace per il 2009 sarà assegnato a Barack Obama è sorprendente, perché il giovane presidente americano non ha ancora avuto il tempo necessario per portare a termine qualche importante iniziativa in politica estera, nel bene o nel male. Lo stesso Obama è apparso alquanto sorpreso dall’attribuzione del premio, e ha immediatamente dichiarato che lo considera più una “chiamata all’azione” per una politica di pace da parte sua, dell’America, e delle persone di buona volontà, piuttosto che un riconoscimento per qualcosa che avrebbe fatto.
Molti osservatori riconoscono che Obama ha portato nella politica estera americana una ventata d’aria fresca, o, addirittura, un piacevole ritorno al passato, dove la diplomazia torna di nuovo in primo piano, e dove l’azione multilaterale va a sostituire quella unilaterale da parte della superpotenza d’oltreoceano. Obama non fa alcun mistero della sua preferenza per una politica realista, abbandonando l’idealismo di George W. Bush, mettendo chiaramente in secondo piano l’esportazione della democrazia e dei principi occidentali di libertà, privilegiando la necessità di dialogare con tutti, su tutto. Obama, tuttavia, non considera il realismo nella politica estera come l’abbandono della lotta per la libertà in ogni angolo del mondo a favore di una cinica azione basata sugli interessi economici, politici, e militari americani, ma ritiene che attraverso il dialogo, utilizzando metodi di convincimento alternativi allo scontro diretto basato sulla chiusura e l’uso della forza, si può anche avanzare i diritti civili e la libertà.
Le critiche per l’assegnazione del Nobel per la pace ad Obama sono piovute da destra e da sinistra, sia negli Usa, sia nel resto del mondo. E’ difficile comprendere, per alcuni, perché Obama è già meritevole di un riconoscimento così alto, specialmente quando c’erano altri candidati che avevano già dimostrato di meritare il premio per il loro impegno non violento nella lotta per avanzare i diritti civili, o per l’avanzamento della pace nel mondo. In America, alcuni commentatori di destra considerano l’assegnazione del premio il riconoscimento che il presidente americano piace a quella parte del mondo che non vuole un’America capace di difendersi con la forza. Questi stessi commentatori di destra vedono il premio come un peso al collo del presidente, e come un tentativo da parte dei “pacifisti” di legare le mani al presidente nelle scelte che dovrà fare rispetto all’uso della forza in Afghanistan.
Le critiche ad Obama sono arrivate anche dai Taleban, da Hamas e da Gino Strada, il fondatore di Emergency, così come da personaggi della destra americana capeggiati da Rush Limbaugh, che conduce da diversi mesi, attraverso il suo programma radiofonico, un attacco costante contro il presidente. Anche il presidente del Comitato nazionale repubblicano, Micheal Steele, ha attaccato Obama pubblicamente, scrivendo, in un comunicato diffuso dal partito, che “La vera domanda che si pongono gli americani è: che cosa ha realizzato veramente il presidente Obama? E’ spiacevole che il potere di star del presidente abbia messo in ombra instancabili attivisti, che hanno raggiunto traguardi lavorando per la pace e i diritti umani. Una cosa è certa, il presidente Obama non riceverà nessun premio dagli americani per i posti di lavoro creati, responsabilità fiscale o per aver messo da parte la retorica per le azioni concrete”. Leggi tutto l’articolo
Il presidente Barack Obama dovrà scegliere fra due “crudeli opzioni” nella conduzione della guerra in Afghanistan, come scrive l’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, sull’International Herald Tribune del 5 ottobre 2009. Per il vecchio professore di diplomazia, la richiesta di ulteriori truppe, fatte in pubblico da parte del Comandante americano in Afghanistan, il generale Stanley McChrystal, mette Obama di fronte ad un terribile dilemma: “Se rifiuta le raccomandazioni e l’opinione del generale McChrystal, il quale asserisce che le sue forze sono inadeguate per svolgere la missione, il presidente Obama sarà ritenuto responsabile per le drammatiche conseguenze. Se accetta la raccomandazione, i suoi oppositori potrebbero iniziare a descrivere il conflitto afgano come la guerra di Obama, almeno in parte.” Secondo Kissinger, il presidente sarà obbligato a prendere una decisione senza avere alcuna certezza sulla validità delle valutazioni che gli saranno o sono state già sottoposte.
Obama ha subito pesanti critiche dalla destra repubblicana che lo accusa di tergiversare nel prendere una decisione in merito alla strategia da adottare nella guerra in Afghanistan. Mentre alcuni repubblicani hanno apertamente attaccato il presidente, Kissinger, che ha fatto parte del governo del presidente repubblicano Richard Nixon, ha invitato tutti alla moderazione. L’ex Segretario di stato è apertamente a favore di incrementare le truppe Usa in Afghanistan, ma, seguendo la scuola del realismo nella politica estera Usa, crede che sia necessario identificare, con precisione, gli interessi strategici americani. Kissinger fa notare che altri paesi, specialmente quelli che confinano con l’Afghanistan, avrebbero maggiore interesse a stabilizzare il paese, e a rendere inefficace qualsiasi tentativo di ritorno dei Taleban dei loro alleati di al Qaida. I paesi confinanti o vicini all’Afghanistan, come la Cina, la Russia, l’India, il Pakistan, e l’Iran, secondo Kissinger, hanno sostanziali capacità belliche a disposizione per difendere i propri interessi; ma, fino ad ora, si sono tenuti relativamente in disparte, lasciando all’America il compito di intervenire, assieme agli alleati, sobbarcandosi il costo della guerra, sia in termini di vite umane, sia in termini di risorse finanziarie. Il vecchio diplomatico americano, nella sua analisi della situazione che confronta Obama, fa notare che, a differenza della guerriglia in Vietnam o della resistenza in Iraq, i Taleban non godono di un importante sostegno popolare o internazionale. Leggi tutto l’articolo
Lo scontro in corso fra democratici e repubblicani americani sta diventando più aspro su tutti i temi della politica interna, e non mancano frecciate pesanti contro Barack Obama anche per la politica estera. L’ultimo attacco al presidente proviene dal vice capo gruppo dei repubblicani alla Camera, il deputato della Virgina, Eric Cantor, il quale ha accusato Obama, in una dichiarazione fatta al Washington Times il 30 settembre 2009, di mettere a repentaglio la vita dei soldati americani tentennando sulle proposte fatte dal Gen. Stanley McChrystal, comandante delle forze Usa e alleate in Afghanistan. Anche da parte democratica la veemenza degli attacchi contro i repubblicani sta raggiungendo toni normalmente presenti solo durante le campagne elettorali. Il deputato democratico della Florida, Alan Grayson ha descritto le proposte repubblicane per la riforma sanitaria con uno slogan, “se ti ammali, cerca di morire subito!”, causando un tumulto fra i repubblicani, che gli hanno chiesto di scusarsi formalmente.
Nel trambusto quasi elettorale, tuttavia, si comincia ad intravedere uno spiraglio per quanto riguarda un possibile compromesso sulla riforma sanitaria, che è manifestatamene al centro della politica sociale di Barack Obama.
Il presidente non perde l’occasione, durante i numerosi interventi pubblici che sta tenendo in questi giorni, di spiegare come vorrebbe riformare il sistema sanitario, e quali sono i maggiori ostacoli. La bravura di Obama nel proporre agli americani come vuole cambiare il sistema sanitario è controbilanciata dalla forte campagna che le lobby dell’industria medica portano avanti da anni. Secondo alcune stime, le assicurazioni sanitarie americane, per esempio, hanno speso non meno di 600 milioni di dollari, negli ultimi due anni, e già 130 milioni quest’anno, pari a circa 700 mila dollari al giorno, per influenzare il processo decisionale federale, ed in particolare le proposte di legge discusse dalle diverse commissioni del Congresso, cercando di apporre emendamenti favorevoli alle assicurazioni.
La commissione finanza del Senato è l’ultimo ostacolo che deve essere superato prima che la proposta di riforma voluta da Obama possa essere discussa dall’intero Senato, dove i democratici hanno una maggioranza netta. Il lavoro per trovare un compromesso fra la sinistra liberal del partito democratico, i moderati di entrambi gli schieramenti, e la destra conservatrice del partito repubblicano si svolge nel retroscena. La commissione finanza, nel frattempo, ha bocciato il 29 settembre 2009 due proposte della sinistra del partito democratico per la creazione di un’assicurazione sanitaria pubblica che avrebbe dovuto competere con quelle private, garantendo una reale concorrenza, e permettendo anche alle famiglie con meno risorse finanziarie di poter acquistare una copertura sanitaria. La stessa commissione è al lavoro per studiare alcuni emendamenti proposti dalla destra repubblicana che dovrebbero impedire agli immigrati clandestini l’accesso a qualsiasi assistenza sanitaria finanziata dal governo federale, ed eliminare il finanziamento pubblico per l’aborto. Leggi tutto l’articolo
Barack Obama è ritornato in piazza, tenendo comizi e incontri in diverse città americane, per chiedere alla sua base elettorale di sostenerlo nel portare a termine la riforma sanitaria prima della fine dell’anno. Obama, tentando anche di invertire la tendenza dei sondaggi che hanno rilevato, recentemente, una costante caduta della sua popolarità, porta messaggi di fiducia nella ripresa economica, direttamente nelle zone più colpite dalla crisi. Fra domenica 20 e lunedì 21 settembre, il presidente è anche intervenuto in sei diverse trasmissioni televisive, per parlare direttamente di ripresa economica e di riforma sanitaria
Il 15 settembre 2009, Obama ha incontrato i lavoratori della General Motors a Lordstown, Ohio, ricordando che la sua amministrazione è intervenuta in modo decisivo per salvare l’industria automobilistica americana. Secondo Obama, la General Motors è ora in condizione di ripartire nella competizione mondiale, perché con l’aiuto del governo, e i sacrifici dei lavoratori, il management ha potuto ristrutturare la produzione e vendere automobili più efficienti. Secondo Obama, il programma d’incentivi proposto dal governo, il cosiddetto “cash for clunkers” (soldi per rottami), che permette la permuta della propria vecchia auto in cambio di uno sconto di 4.500 dollari al momento dell’acquisto di una nuova auto più efficiente da un punto di vista ambientale e dei consumi, è stato e continua ad essere un successo. Leggi tutto l’articolo
Il presidente Barack Obama ha lanciato, immediatamente dopo aver tenuto un discorso durante una seduta congiunta del Congresso mercoledì sera, la mobilitazione generale di tutti coloro che sono interessati all’attuazione della riforma sanitaria americana. Obama ha mandato milioni d’email chiedendo ai sostenitori di scrivere ai membri del Congresso, affinché approvassero il passaggio delle misure proposte per riformare il sistema sanitario americano. Obama ha deciso di intervenire direttamente, parlando al Congresso, per tentare di far uscire dall’impasse il dibattito sulla riforma sanitaria, bloccato dalle posizioni inconciliabili fra la sinistra liberal del partito democratico, marcatamente statalista, e i conservatori sia repubblicani sia del partito del presidente, che si oppongono a qualsiasi incremento del ruolo del governo nella sanità.
Il successo o il fallimento di Obama nel portare avanti la riforma sanitaria potrebbe segnare in modo indelebile l’intera storia della sua presidenza. Obama vorrebbe riuscire, laddove Bill Clinton fallì 16 anni fa, cercando di convincere la maggioranza degli americani e i loro rappresentanti al Congresso, che è necessario adottare una via di mezzo fra un sistema sanitario basato totalmente sull’impresa privata e uno controllato completamente dallo stato, garantendo la libertà di scelta di ogni americano rispetto sia al tipo di assicurazione medica che vuole acquistare, sia come e dove ottenere le prestazioni mediche.
Obama ha incontrato ostacoli abbastanza grossi nel proporre una riforma condivisa all’interno del suo stesso partito, e ora sta pagando le conseguenze dal punto di vista del gradimento popolare. Un sondaggio condotto nei giorni scorsi dall’AP-GfK, e annunciato poco prima del discorso di mercoledì, rilevava che il 52 percento degli americani era insoddisfatto di come il presidente stava conducendo il lavoro sulla riforma sanitaria. L’insoddisfazione è cresciuta di ben 9 punti rispetto al sondaggio condotto a luglio, quando il 43 percento degli intervistati avevano manifestato perplessità nei confronti di Obama. Leggi tutto l’articolo
Il presidente americano, Barack Obama, come altri leader delle nazioni maggiormente sviluppate, è alla caccia di qualsiasi segnale che possa indicare che l’economia del proprio paese sta uscendo dalla recessione e creare, in tal modo, un’atmosfera, anche psicologica, per favorire la ripresa economica.
Un buon leader stabilisce gli obiettivi da raggiungere, indica una politica da seguire e cerca di creare le condizioni per portare avanti la propria politica. I libri sulla leadership propongono alcuni concetti base, come la necessità che il leader crei una visione credibile esercitando, allo stesso momento, il ruolo di agente catalitico di tutti gli eventi che possono portare alla materializzazione della visione. La grandezza di un leader, tuttavia, si misura anche dalla capacità che questi ha nel trovare un giusto equilibrio fra la visione prospettata e quanto la popolazione vive nella realtà quotidiana.
È difficile, per Obama, parlare in modo credibile di ripresa se milioni di americani hanno perso il lavoro e la casa e non hanno più l’assicurazione sanitaria collegata al lavoro. È ancora più difficile avere una prospettiva basata sulla fiducia, quando sono pochissimi i segnali che indicano una reale inversione di tendenza dell’economia americana. È anche pericoloso, politicamente, parlare di ripresa se i segnali che arrivano dall’economia non sono comprensibili per la maggioranza degli elettori. Inoltre, alcuni indicatori economici, già difficili da comprendere per il cittadino comune, con proiezioni delle tendenze a medio termine, non sono sempre interpretati nello stesso modo dagli esperti, specialmente se questi sono consulenti di una parte politica. Leggi tutto l’articolo
La presidenza di Barack Obama potrebbe essere definita dalla sua abilità di convincere il Congresso a riformare il sistema sanitario americano, entro la fine di quest’anno. Se Obama riuscirà a far approvare dal Congresso un pacchetto legislativo, condiviso da repubblicani e democratici, garantendo sia l’ampliamento della copertura sanitaria, sia una drastica riduzione dei costi causati da sprechi ed inefficienze, sarà ricordato come un grande presidente. Se Obama fallirà, la sua proposta di riforma del sistema sanitario potrebbe diventare la sua “Waterloo”, come auspica il senatore repubblicano della Carolina del sud, Jim DeMint, che augura, cinicamente, al presidente di non riuscire nel suo progetto di riforma.
Obama vorrebbe estendere la copertura sanitaria a circa 47 milioni di americani che attualmente non sono coperti né da programmi pubblici, né da quelli privati. Il presidente vorrebbe anche ridurre il costo della spesa sanitaria degli americani attraverso una serie di misure nei confronti delle assicurazioni sanitarie private, degli ospedali, le case farmaceutiche, e dei medici. La riforma proposta dai deputati democratici va nella direzione suggerita dal presidente, e offre la possibilità agli americani di scegliere fra assicurazioni sanitarie private e una nuova assicurazione pubblica.
Un sondaggio, condotto la settimana scorsa dalla GfK Roper Public Affairs & Media, rileva che il 56 percento degli americani è fiducioso che Obama riuscirà a riformare il sistema sanitario durante il suo mandato presidenziale. Tuttavia, secondo lo stesso sondaggio, solo il 50 percento degli americani approva come Obama sta portando avanti la politica per la riforma, mentre il 43 percento è contrario, indicando che il presidente sta perdendo l’appoggio degli elettori “indipendenti”.
Obama e la presidentessa della Camera, Nancy Pelosi, vorrebbero che il Congresso approvasse una serie di misure per riformare il sistema sanitario, prima dell’intervallo estivo della Camera, che quest’anno inizia il 9 agosto 2009. La presenza della maggioranza democratica sia alla Camera, sia al Senato, permetterebbe al partito di Obama di far approvare le riforme in brevissimo tempo, ma l’eterogeneità della composizione del partito democratico, dove convivono conservatori puri e progressisti liberal, non permette alla direzione democratica di poter contare su una maggioranza strettamente numerica. Nel partito democratico, un partito generalmente collocato nel centro-sinistra americano, esiste una componente di conservatori, chiamata “Blue Dog” (cane blu), che spesso, vota assieme ai conservatori repubblicani sui temi di economia, e, spesso, anche sui temi sociali. leggi tutto l’articolo
Sono in pieno svolgimento le audizioni della commissione giustizia del Senato americano per discutere la nomina della giudice Sonia Sotomayor alla Corte suprema degli Stati Uniti, fatta dal presidente Barack Obama il 26 maggio 2009. Il dibattito nella commissione precede la conferma ufficiale della giudice da parte del Senato durante la votazione che avverrà molto probabilmente durante la prima settimana di agosto. La Sotomayor, se sarà confermata, andrà a sostituire il giudice progressista David Souter, che ha lasciato la Corte il 30 giugno 2009, lasciando inalterata la composizione a maggioranza conservatrice dell’attuale Corte, che vede, di solito, cinque giudici conservatori votare compatti contro quattro progressisti, solo su quelle questioni legali che si prestano a divisioni ideologiche.
E’ sicuramente particolare per uno straniero osservare come la nomina di un giudice alla massima corte può suscitare passioni politiche ad altissima tensione, con lunghe dirette che inchiodano alla televisione milioni di americani. Ogni domanda fatta dai senatori, così come ogni risposta data dal giudice divengono oggetto di studio minuzioso e di commento da parte degli analisti politici e giudiziari. L’attuale audizione della giudice Sotomayor è seguita dalla diretta televisiva delle reti via cavo, ed è oggetto di lunghi resoconti nei telegiornali via etere, seguendo la consolidata tradizione stabilita con le audizioni di Robert Bork, nominato nel 1987 da Ronald Reagan alla Corte Suprema, e Clarence Thomas, nominato da George H. W. Bush nel 1991
La nomina di Bork scatenò la passione politica di milioni di liberal americani, convinti che Bork avrebbe abolito sia le leggi contro la discriminazione razziale, sia il diritto delle donne di abortire. La campagna portata avanti dai liberal attraverso gli organi di informazione per “uccidere” politicamente Bork fu così convincente, che il Senato decise di bocciare il 23 ottobre 1987 la sua candidatura con un voto di 58 contrari e 42 favorevoli. Le tattiche usate contro Bork da parte dei democratici hanno dato vita ad un nuovo verbo,“to bork”, ripreso dalla Oxford English Dictionary nel 2002, per definire l’attacco sistematico e brutale contro un candidato per impedire la sua elezione o nomina ad una carica pubblica. Leggi tutto l’articolo