Anthony M. Quattrone
I risultati del Super Tuesday confermano il consolidamento del senatore dell’Arizona, John McCain, alla testa dei candidati repubblicani, e il sostanziale pareggio fra la senatrice di New York, Hillary Clinton, e il senatore dell’Illinois, Barack Obama, fra i democratici.
Fra i repubblicani, McCain ha vinto in 9 stati, Arizona, California, Connecticut, Delaware, Illinois, Missouri, New Jersey, New York, e Oklahoma. L’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha vinto in 7 stati, Alaska, Colorado, Massachusetts, Minnesota, Montana, Nord Dakota, e Utah. L’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, ha vinto in 5 stati, Alabama, Arkansas, Georgia, Tennessee, e West Virginia. La conta dei delegati, che sarà completata durante la giornata odierna, vede già un evidente vantaggio per McCain. Dei 1.081 delegati in gara nel Super Tuesday, 815 sono stati già assegnati: McCain in testa con 504, seguito da Romney con 163, Huckabee con 138, e il deputato del Texas, Ron Paul, con 10. Si prevede che i rimanenti 266 delegati andranno in maggioranza a McCain, mentre non è ancora certo chi otterrà il secondo posto, con Romney e Huckabee abbastanza vicini.
Con i risultati di ieri, McCain ha conquistato già la metà dei 1.191 delegati necessari per essere nominato il candidato repubblicano alle presidenziali USA durante la Convention repubblicana che si terrà a Minneapolis-St.Paul ai primi di settembre. McCain, dinnanzi ad una folla festante a Phoenix, Arizona, ha finalmente accettato di essere definito il “front runner” (il favorito) fra i candidati del suo partito, affermando che “non mi dispiace affatto” perchè “abbiamo vinto in alcuni degli stati più grossi nel paese”.
Mike Huckabee è riuscito a vincere negli stati del sud, dove il voto della destra religiosa è particolarmente influente. Secondo Adam Nagourney del New York Times, “il risultato relativamente forte di Huckabee è sia una benedizione, sia una maledizione per McCain, ma forse più una benedizione. Ha iniettato una piccola nota di incertezza nella corsa dei repubblicani, e forse ha rinviato il giorno in cui McCain potrà avere il palcoscenico per se stesso. Ma Huckabee sembra aver portato via i voti principalmente a Romney, contribuendo al suo debole risultato di stasera”. Se saranno confermate le voci di un’eventuale decisione di Huckabee di presentarsi come vice presidente di McCain nel “ticket” repubblicano, l’ex pastore battista potrebbe assicurare a McCain il sostegno della destra religiosa e di quei conservatori, come i commentatori politici Ann Coulter e Rush Limbaugh, che osteggiano il senatore dell’Arizona, perchè lo considerano a sinistra di Hillary Clinton su molti temi, dalla tassazione alla questione dell’immigrazione.
Fra i democratici, Clinton e Obama sono praticamente alla pari dopo una giornata, come scrive David Espo della Associated Press, caratterizzata da una “battaglia epica di cui non si vede la fine”. La drammaticità e l’emozione della gara democratica si legge nei risultati che i due candidati hanno ottenuto da costa a costa, dove un candidato, Obama, conquista più stati, ma l’altro candidato, Clinton, ottiene più delegati.
Obama ha vinto in 13 stati, Colorado, Connecticut, Delaware, Georgia, Idaho, Illinois, Kansas, Minnesota, Missouri, Nord Dakota, e Utah. Clinton ha vinto in 8 stati, Arizona, Arkansas, California, Massachusetts, New Jersey, New York, Oklahoma, e Tennessee, e ha vinto anche nel territorio della Samoa Americana. Nel New Mexico, si dovrà attendere ancora qualche ora per avere i risultati definitivi per il voto popolare, perchè Obama è in vantaggio sulla Clinton per una manciata di voti.. I risultati delle votazioni fra i Democrats Abroad (democratici all’estero) saranno disponibili a metà febbraio. Dei 2.088 delegati in gara nel Super Tuesday, 1.269 sono stati già assegnati, con 638 alla Clinton e 631 ad Obama. Secondo le proiezioni, la giornata dovrebbe concludersi con un leggero, ma non rilevante, vantaggio per la Clinton.
In un discorso a New York dinnanzi ai suoi sostenitori, la Clinton ha commentato la grande partecipazione degli elettori democratici nelle primarie affermando che “dopo sette anni con un presidente che ascolta solo gli interessi speciali, siete pronti per un presidente che porta la vostra voce, i vostri valori, e i vostri sogni alla vostra Casa Bianca. Stasera, con una partecipazione da record, avete votato non solo per fare la storia, ma anche per rifare l’America”. In un discorso davanti ai suoi sostenitori a Chicago, Obama ha detto che “quello che è iniziato come un sussurro a Springfield (ndr: nell’Illinois), è diventato un coro di milioni di persone che chiedono il cambiamento”.
Secondo gli exit poll condotti fra gli elettori americani che hanno partecipato nelle primarie di entrambi i partiti durante il Super Tuesday, la preoccupazione per l’andamento dell’economia, la caduta dei valori delle case, l’aumento dei costi dell’energia e degli alimentari, e la contrazione del settore terziario, hanno eclissato completamente il tema della guerra in Iraq. Questi temi dovranno sicuramente essere messi al centro delle strategie di comunicazione dei candidati per le prossime primarie che si terranno fra due giorni in Lousiana, Nebraska e nello stato di Washington, seguiti dalla tornata elettorale del 12 febbraio in Maryland, Virginia, e nel Distretto della Columbia.
Fra gli strategisti democratici c’è la preoccupazione che il consolidamento di McCain potrebbe permettere ai repubblicani di iniziare già da ora la campagna presidenziale di novembre, lavorando per unire le varie componenti repubblicane, dai sostenitori di McCain ai fondamentalisti religiosi che lo osteggiano, mentre i democratici sono ancora impegnati nella competizione interna. Pertanto, i dirigenti del partito democratico dovranno assicurarsi che gli strateghi della Clinton e di Obama evitino di far degenerare la campagna per le primarie, che si prevede abbastanza lunga dopo i risultati odierni, in una lotta intestina“cattiva”.
La direzione del partito democratico é sicuramente già da ora per assicurarsi che, davanti agli unici due scenari possibili, la vittoria della Clinton o di Obama, il partito rimanga unito. Il duro lavoro di mediazione fra le diverse anime del partito sarà il compito del capo dei democratici, l’ex governatore del Vermont, Howard Dean, il quale, per il momento, è silenziosamente all’opera, lontano dai riflettori e dagli organi d’informazione.