Stati Uniti-Israele: crisi storica

La scelta di Netanyahu di costruire nuove case a Gerusalemme Est mette in difficoltà la politica anti-iraniana di Obama

US Vice President Joe Biden (L) and Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu sit down for dinner at the prime minister's residence in Jerusalem. Israel sealed off the West Bank amid tension in Jerusalem over controversial plans to build new homes for Jewish settlers and fears of fresh violence at the Al-Aqsa mosque compound. (AFP/File/David Furst)

Anthony M. Quattrone

Qualcosa si è rotto nel rapporto fra gli Stati Uniti e Israele quando, durante la visita del vice presidente americano, Joe Biden, il governo di Gerusalemme ha annunciato di aver approvato la costruzione di nuove unità abitative per israeliani nella parte orientale della capitale, annessa nel giugno 1967, dopo la “Guerra dei sei giorni”. Molti paesi non riconoscono la sovranità di Israele su Gerusalemme, mentre l’autorità nazionale palestinese vorrebbe che la parte orientale della città diventasse la capitale del futuro stato palestinese. La determinazione dello status permanente della Città santa, della sua sovranità territoriale, è uno dei principali temi da risolvere per fare avanzare il processo di pace in Medio Oriente.

La visita di Biden in Israele e in Palestina la settimana scorsa doveva servire per far ripartire il processo di pace, arenatosi con l’avvento al potere di Hamas a Gaza nel 2006, seguito da provocatori e devastanti lanci di missili da Gaza contro le popolazioni civili in Israele fra il 2006 e il dicembre 2008, e l’intervento armato israeliano a Gaza nel dicembre 2008. Durante i ventidue giorni di combattimenti, a Gaza sono morti 1.400 palestinesi e tredici israeliani, e sono stati inflitti danni ingenti alle infrastrutture palestinesi. L’intervento militare israeliano terminò pochi giorni prima dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca.

Le divergenze fra Stati Uniti e Israele non sono nuove. Tuttavia, questa volta, secondo una prima dichiarazione dell’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren, si è alla presenza di “una crisi di proporzioni storiche, la peggiore dal 1975”. L’ambasciatore ha rettificato più tardi la dichiarazione, cercando di imputare ai giornali un’erronea interpretazione delle sue dichiarazioni.

Mentre i governanti israeliani cercano di minimizzare l’accaduto, negli Usa l’atmosfera non è delle migliori nei confronti del tradizionale e fidato alleato in Medio Oriente. Diversi membri del governo Obama hanno apertamente criticato il primo ministro Benjamin Netanyahu sia per la decisione riguardanti Gerusalemme Est, sia per la globale mancanza di rispetto nei confronti degli Usa. Le critiche spaziano da generali dichiarazioni per l’ingratitudine dei governanti israeliani verso gli americani, ad aperte accuse di sabotaggio del processo di pace e delle iniziative che il presidente Obama sta prendendo verso il mondo arabo e islamico.

Nell’arco di pochi giorni, negli Usa sono tornati alla ribalta gli eventi che hanno caratterizzato le divergenze fra gli Usa e gli israeliani nel corso degli ultimi decenni. E’ tornato alla luce anche l’attacco degli israeliani contro una nave da guerra americana, la USS Liberty, che nel giugno del 1967, causò la morte di 34 americani e il ferimento di 171. Le ricostruzioni dell’evento mettono in dubbio la versione israeliana che si trattò di un errore causato dal caos legato alla Guerra dei sei giorni. Le difficoltà dei rapporti con gli israeliani da parte delle amministrazioni repubblicane di Ronald Reagan e del suo successore, George Bush senior sono riaffiorate. I commentatori notano che ’opposizione americana alla costruzione di unità abitative nelle zone occupate da Israele con la guerra del 1967 è rimasta una costante nei rapporti fra i due paesi.

Il presidente Obama sta provando a improntare un nuovo rapporto con il mondo arabo e islamico, cercando di realizzare una politica credibile in linea con il suo discorso del Cairo del 4 giugno 2009. La creazione di democrazie stabili e prospere in Iraq e in Afghanistan sarà vana per la reputazione americana e per una pace duratura in Medio Oriente se non sarà risolta la questione palestinese. Il generale David H. Petraeus, eroe della strategia americana vincente in Iraq, ha dichiarato alla commissione difesa del senato Usa che “il conflitto fomenta sentimenti anti americani a causa della percezione di un favoritismo americano nei confronti di Israele”. Secondo Petraeus, lo stallo nel processo di pace in Medio Oriente mette in pericolo gli interessi americani.

Lo schiaffo diplomatico che Netanyahu ha dato agli americani con l’annuncio della costruzione di 1.600 unità abitative nella parte orientale di Gerusalemme è particolarmente grave non solo per la sfortunata coincidenza della presenza del vice presidente americano in Israele, ma perché coincide con lo sforzo che Obama sta facendo nell’isolare l’Iran attraverso un’alleanza con paesi arabi e islamici, preoccupati delle velleità nucleari iraniane. La costruzione di unità abitative israeliane a Gerusalemme Est può fungere da collante del variegato mondo arabo e islamico, unendo l’Iran e i suoi potenziali avversari in una “santa alleanza” anti-israeliana, che renderebbe impossibile l’attuazione dell’iniziativa americana di isolare il regime di Teheran.

Mentre i diplomatici americani e israeliani sono al lavoro per tentare di ricucire i rapporti, le lobby filo israeliane negli Usa, e l’opposizione politica contro Netanyahu in Israele, alzano la voce cercando di influenzare gli eventi. Non è ancora possibile valutare come si risolverà l’attuale frizione fra americani e israeliani, ma è certo che Obama dovrà tracciare una linea politica che riesca a difendere gli interessi americani in Medio Oriente: rimanere amico di Israele, guadagnare attendibilità nel mondo arabo e islamico, isolare l’Iran, creare stabilità in Iraq e in Afghanistan, e aiutare il Pakistan a debellare la presenza di al Qaeda nel paese. Sicuramente Netanyahu non ha aiutato Obama.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.