Sindaci USA: Obama, basta guerre all’estero – i soldi servono a casa

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama speaks about the war in Afghanistan during a televised address from the East Room of the White House, June 22, 2011. Credit: Reuters/Pablo Martinez Monsivais/Pool

L’annuncio che Barack Obama ha fatto il 22 giugno 2011 di voler ritirare 33 mila truppe dall’Afghanistan entro 18 mesi, cui 10 mila entro il 31 dicembre 2011, in netto anticipo rispetto alla programmazione fornita dal Pentagono, è il frutto della realizzazione che non è più possibile per Washington sostenere i costi della guerra e della ricostruzione afgana, mentre negli USA le infrastrutture sono fatiscenti, i servizi sociali sono ridotti all’osso, la disoccupazione è oltre 9 percento e il debito pubblico è in costante rialzo, superando la cifra di 14 mila miliardi di dollari quest’anno.  Con le presidenziali del prossimo anno, non è nemmeno possibile per Obama presentarsi dinanzi all’elettorato con l’accusa di spendere più per ricostruire, o, meglio costruire, l’Afghanistan con i soldi dei contribuenti americani, quando a casa, negli USA, c’è tanto da fare.

Il messaggio che è arrivato a Obama, chiaro e forte, dalla conferenza dei sindaci americani che si è tenuta dal 17 al 21 giugno 2011 a Baltimora, nel Maryland è che i soldi per fare le guerre e ricostruire paesi stranieri devono essere spesi a casa, in America, per gli americani.  Il 20 giugno 2011, nel suo discorso di inaugurazione come nuovo presidente dell’associazione che raggruppa i sindaci delle città americane che superano 30 mila abitanti, Antonio Villaraigosa, sindaco democratico di Los Angeles, ha chiesto al Presidente Obama di portare a casa i “nostri valorosi soldati” e “di onorarli indirizzando ora il nostro impegno verso i bisogni domestici, investendo fondi nella nostra economia per creare posti di lavoro”.  I sindaci lamentano che mentre miliardi di dollari sono spesi nelle missioni militari all’estero, loro hanno dovuto licenziare circa 446 mila dipendenti municipali dal 2008 ad oggi, e fra questi molti sono insegnanti, poliziotti e vigili del fuoco. Non è più possibile, secondo i sindaci, sostenere la costruzione di ponti e autostrade a Bagdad e Kandahar mentre quelle di Baltimora o di Kansas City sono a pezzi e in altre città americane sono del tutto inesistenti.

Il giorno seguente, il 21 giugno 2011, il Senatore democratico conservatore del West Virginia, Joe Manchin III, ha scritto al Presidente una lettera chiedendo di anticipare il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan molto prima della data prefissata del 2014.  Per Manchin, “non possiamo più permetterci di tagliare servizi, innalzare le tasse e far decollare il debito per finanziare la ricostruzione in Afghanistan. La domanda a cui il Presidente deve rispondere è molto semplice: cosa vogliamo ricostruire l’America o l’Afghanistan? Allo stato attuale fare entrambe le cose è impossibile”.  La lettera di Manchin segue quella inviata il 15 giugno 2011 da 27 senatori di entrambi schieramenti, in cui i senatori chiedono un ritiro più rapido dall’Afghanistan dopo l’uccisione di Osama bin Landen.

Il presidente Obama, durante la campagna elettorale del 2008 aveva manifestato l’intenzione di spostare le risorse americane dalla guerra in Iraq a quella in Afganistan, ritenendo quest’ultimo paese il nodo centrale nella guerra globale contro il terrorismo di al Qaeda. La spesa della guerra in Afghanistan è salita da 14,7 miliardi di dollari spesi da George W. Bush nel 2003, ai 118,6 miliardi dollari spesi da Obama nel 2011. Con la morte di Osama bin Laden il primo maggio di quest’anno, è diventato difficile convincere gli americani sulla necessità di continuare a spendere miliardi di dollari in Afghanistan, e Obama sa che questo potrebbe essere usato contro di lui dai repubblicani durante la prossima campagna presidenziale del 2012.

E così, pochi giorni dall’appello dei sindaci e dalla lettera del senatore Manchin, il presidente ha deciso di annunciare il 22 giugno 2011 in un messaggio alla nazione in diretta TV un drastico taglio alla spesa della guerra, portando subito a casa una parte dei 100 mila soldati oggi dispiegati in Afghanistan.

I primi 33 mila soldati che lasceranno il teatro di guerra sono pari ai rinforzi che Obama aveva deciso di inviare in Afghanistan durante il “surge” annunciato l’1 dicembre 2009 in un discorso all’Accademia Militare di West Point.  Il presidente ha dichiarato che ridurrà gradualmente il numero dei soldati americani nel paese, perché con la decapitazione della leadership di al Qaeda e i grandi passi in avanti da parte delle forze afgane, è ora necessario impegnarsi per una soluzione politica, che includa un accordo fra tutte le forze afgane, incluso i talebani.  Nel ringraziare i soldati americani, ricordando il loro sacrificio in termini di vite umane, di feriti e di mutilati, Obama ha anche dichiarato che dall’esperienza degli ultimi dieci anni e dall’operazione fatta contro Osama bin Landen, gli Stati Uniti devono saper adottare un approccio diverso nell’uso del potere militare. Per Obama, “quando siamo minacciati, dobbiamo rispondere con la forza. Ma quando questa forza può essere mirata, allora non abbiamo bisogno di costituire grandi eserciti all’estero”.

Alla fine del suo discorso, Obama ha risposto all’appello dei sindaci con una frase a effetto: “America, è tempo di concentrarsi sul nation-building qui a casa”, focalizzando la sua attenzione sulla necessità di investire in America, creando posti di lavoro, migliorando le infrastrutture e i servizi.  Con le elezioni del 2012 dietro all’angolo, Obama deve far presto per cercare di aumentare i posti di lavoro e migliorare l’economia.  Gli americani, quando vanno a votare, sono più sensibili alla percentuale di disoccupazione negli USA piuttosto che al numero di dittatori che sono al potere o al numero di guerre civili stanno insanguinando il mondo.

Articolo pubblicato anche su “Il Denaro” il 6 luglio 2011

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.