Petraeus, l’Iraq, e la democrazia

Official photo of General David Howell Petraeus, USA Commander, U.S. Central Command
Official photo of General David Howell Petraeus, USA Commander, U.S. Central Command

Anthony M. Quattrone

La nuova strategia militare sviluppata alla fine del 2006 e attuata nel 2007 dal generale americano David Petraeus, chiamata “surge” (ondata o impennata), che prevedeva un grosso aumento della presenza delle truppe a stelle e strisce in Iraq per un limitato periodo di tempo, ha avuto successo.  Il 30 giugno 2009, i militari americani si sono ritirati da tutte le grandi città irachene, consegnando il controllo del territorio alle forze armate irachene.  Dopo due anni e mezzo dall’inizio del “surge”, la strategia del generale Petraeus ha raggiunto gli obiettivi preposti, ed è diventato il modello per la nuova strategia del presidente Barack Obama in Afghanistan.

La storia del “surge” è forse un esempio della dinamicità della democrazia americana, dove, fra tesi e antitesi, si arriva finalmente alla sintesi, bipartisan, nell’interesse del Paese.  Nel novembre 2006, quando il Congresso americano, appena passato dalla maggioranza repubblicana a quella democratica, era diviso sulla strategia che l’America doveva adottare per uscire dal pantano della guerra in Iraq, nessuno avrebbe scommesso che una strategia di incremento piuttosto che di riduzione delle forze armate Usa in Iraq, avrebbe avuto successo.

La vittoria democratica nelle elezioni del “mid-term” era considerata un mandato per bocciare, nel suo insieme, la politica del presidente repubblicano George W. Bush in Iraq.  Poco dopo le elezioni, il 6 dicembre 2006, un gruppo di studio bipartisan, l’Iraq Study Group, diretto dal repubblicano James Baker e dal democratico Lee Hamilton, aveva chiaramente indicato che c’era bisogno di idee fresche e coraggiose per permettere alle forze armate americane di lasciare l’Iraq, garantendo, allo stesso tempo, la stabilità e la pace nel paese.  Nel frattempo, anche fra i militari, le migliori menti erano al lavoro per cercare come rendere l’Iraq più sicuro, creare un quadro di riferimento in cui potesse svilupparsi la democrazia e le sue istituzioni, e stabilire un piano per il ripiegamento delle truppe Usa nel paese.

Il 27 gennaio 2007, il nuovo Congresso americano approvò la nomina di David Petraeus come comandante delle forze USA in Iraq.  Il Congresso si mostrò ambivalente nei confronti di Petraeus, perchè, se da un lato il generale era conosciuto come un pensatore molto creativo, capace di circondarsi dei migliori studiosi e ricercatori, dall’altro la sua proposta di aumentare a dismisura la presenza delle forze armate americane in Iraq, andava contro corrente.  Il paese non sembrava pronto ad accogliere richieste per un’impennata delle forze Usa in Iraq, bensì cercava solo riduzioni.  Petraeus non si fece scoraggiare dall’atmosfera nel Paese, e propose un ambizioso piano per aumentare la concentrazione delle truppe americane in particolare nelle grandi città, per garantire la massima sicurezza per la popolazione, per permettere il normale funzionamento dello Stato iracheno, e per creare i presupposti per la riconsegna del paese alle forze armate irachene, attraverso misure economiche, politiche, e sociali.

Il Congresso americano approvò, nel maggio 2007, con grandi riserve, il finanziamento del piano del generale Petraeus, ma impose che dovesse riferire, entro il 15 settembre 2007, assieme all’ambasciatore americano, Ryan Crocker, sul progresso della missione.  Il piano di Petraeus iniziò a funzionare subito, con un calo delle morti americane ed irachene nel paese, e con grandi passi in avanti nelle attività del giovane stato irachenoi.  Quando il 10 settembre 2007, Petraeus riferì al Congresso che il piano stava funzionando e che si stavano raggiungendo gli obiettivi preposti, subì un’infamante campagna di stampa da parte della sinistra del partito democratico.  Fu necessario per il Senato votare una mozione di fiducia nei confronti del generale, per riparare, in qualche modo alle gratuite offese nei confronti del “generale intellettuale”.  I successi di Petraeus in Iraq sono continuati fino al suo avvicendamento con il generale Raymond Odierno nel settembre 2008, due mesi prima delle elezioni che hanno portato alla presidenza Barack Obama.

Durante le primarie, Barack Obama aveva posto al centro dell’intera azione politica la guerra in Iraq.  Con l’intensificarsi della crisi economica, e il successo che Petraeus stava registrando in Iraq, l’attenzione dell’elettorato americano si era spostato sull’economia.  Quando Obama ha vinto le elezioni nel novembre 2008, ha iniziato immediatamente a ricucire lo strappo che i democratici avevano creato con la leadership del dipartimento della difesa.  In brevissimo tempo, Obama è andato oltre, confermando come ministro della difesa il repubblicano Robert Gates, il ministro in carica del governo uscente del presidente Bush, e l’intera leadership del Pentagono.  Lo stesso Petraeus continuava a ricoprire incarichi di prestigio nelle forze armate Usa, e, dopo pochissimo tempo, il nuovo presidente ha iniziato a adottare la “dottrina Petraeus” anche per l’Afghanistan.  Con la riconsegna delle città alle forze armate irachene il 30 giugno 2009, il piano proposto da Bush e rielaborato da Obama, per il graduale ritiro delle forze Usa dall’Iraq, sta andando avanti, con l’obiettivo di ritirare tutte le truppe americane fra 14 mesi.

La giornata della “sovranità nazionale”, com’è stato definito il 30 giugno 2009 da parte dei governanti iracheni è forse anche una vittoria per la democrazia americana.  Ancora una volta, l’America ha dimostrato la sua capacità di sintetizzare le idee prodotte da una parte politica con quelle dell’altra parte, superando inutili e dannosi distinguo.  Petraeus era il beniamino dei repubblicani ed era osteggiato dai democratici.  Oggi il generale è universalmente riconosciuto come un grande stratega militare, ed è rispettato da tutti, democratici e repubblicani.  Sono pochi gli americani che si ricordano se Franklin Delano Roosevelt era democratico o repubblicano, o se il suo generale, Dwight David Eisenhower, vincitore della seconda guerra mondiale in Europa, fosse diventato, in seguito, un presidente repubblicano o democratico.  La capacità di “andare oltre” e superare le divisioni politiche è una caratteristica della vibrante democrazia americana, e andrebbe imitata altrove.  Chi continua ad anteporre gli interessi di parte a quella della nazione, farebbe bene a guardare oltre oceano, per trovare la giusta ispirazione.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

Un commento su “Petraeus, l’Iraq, e la democrazia”

  1. ” HERAT, UN CENTRO INTERCULTURALE ?…”
    Pubblicato da Marco Federico Ven, 25/12/2009 – 22:08
    Herat, l’estate scorsa, in un agguato teso dai talebani, morirono 12 civili. La NATO, tramite il segretario generale Rasmussen, annunciò in agosto di voler creare “UN CONSIGLIO DI ESPERTI” per la pianificazione delle missioni all’estero.A tal proposito, perchè non pensare di costituire a ” HERAT, UN CENTRO INTERCULTURALE ?…”Un progetto da realizzare con diverse Università Europee e Americane. ( o anche la Russia vista la recente visita del 16 dicembre di Rasmussen a Mosca )Un laboratorio per favorire relazioni tra studiosi e raccogliere memorie di migrazioni…La società plurale chiama in causa tutti noi per stabilire relazioni di reciprocità e individuare risorse utili per attuare azioni e progetti di integrazione…Nel frattempo, tra sunniti e sciiti, c’è una crescente immigrazione verso Herat, “attirati dalla crescita economica della città e dall’influenza della vicina Repubblica Islamica dell’Iran.””La città si trova lungo le tradizionali vie commerciali tra India, Cina, Medio Oriente ed Europa. Ancora oggi le strade da Herāt verso l’Iran, il Turkmenistan, Mazār-e Sharīf e Kandahar sono strategicamente importanti.”Tutto ciò in prospettiva di un approfondimento per la conoscenza delle problematiche e chissà, di una risoluzione delle questioni in Medio-Oriente…(non voglio peccare di presunzione) Penso che servirebbe anche per tracciare e monitorare ulteriormente il Dossier Nucleare Iraniano, nonchè portare avanti il “processo di pace” tra Israeliani e Palestinesi, magari riprendendo il rapporto interrotto 30 anni fa tra Teheran e Washington, sappiamo che ci sono interessi anche da parte di quei Paesi in conflitto con l’Iran. La Germania ha chiesto maggior scambio con Teheran, la Turchia chiede maggiori aperture per le concessioni dei giacimenti dei gas naturali Iraniani. Idem la Cina per la fornitura del petrolio Iraniano. Mentre l’India si appresta a firmare un contratto per la costruzione di un gasdotto…Questo però si spera non cambi gli equilibri di forza nella Regione… Meditiamo…Marco Federico

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