Obama va a picco nei sondaggi

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama walks toward Marine One on the South Lawn of the White House in Washington, Thursday, July 15, 2010. REUTERS/Larry Downing

I sostenitori di Barack Obama sono sbigottiti dalla lenta ma inesorabile erosione della credibilità e della popolarità del presidente americano nei sondaggi svolti negli ultimi mesi.  Obama sembra intrappolato in una ragnatela di eventi negativi, incapace di riprendere l’iniziativa politica.  La crisi economica, il disastro ecologico nel Golfo del Messico, e il perdurare di una guerra senza fine e senza vittoria in Afghanistan formano una miscela esplosiva per gli indici che misurano la fiducia e il gradimento del popolo americano nei confronti del presidente, a meno di quattro mesi dalle elezioni di novembre, quando sarà rinnovata l’intera Camera e un terzo del Senato.

La crisi economica ereditata dall’amministrazione Bush non sembra dare ancora segnali tangibili di inversione di marcia. Sono ancora milioni gli americani disoccupati e che non hanno la benché minima idea di quando e dove torneranno nella forza lavoro.  Il tasso di disoccupazione è ancora vicino al dieci percento, e, secondo i verbali di una riunione tenuta dai i vertici della Federal Reserve Bank, la banca centrale americana, il 22 giugno 2010, gli uomini di Ben Bernanke hanno alzato le forchette per la disoccupazione del 2011 a 8,3-8,7 percento, dal precedente 8,1-8,5, e per quella 2012 al 7,1-7,5 percento, dal precedente 6,6-7,5.

Secondo i dati pubblicati a fine giugno dal governo Usa, a maggio è aumentato il numero delle nuove richieste di sussidi di disoccupazione, in contrasto con le previsioni degli analisti che prevedevano un leggero calo. A maggio sono anche aumentate le richieste di sussidi pre-esistenti, le cui proroghe richiederanno l’approvazione del Congresso per fornire la copertura finanziaria.

La vendita al dettaglio è calato di 1,1 percento a maggio e di un ulteriore mezzo punto a giugno, secondo i dati pubblicati dal governo Usa il 14 luglio 2010.  Le proiezioni negative sull’occupazione hanno anche costretto la banca centrale a rivedere le stime del prodotto interno lordo (Pil) per i prossimi anni, perché l’alto tasso di disoccupazione influenzerà, ovviamente, la spesa delle famiglie, riducendo i consumi, che rappresentano circa settanta percento del Pil.  La massima crescita del Pil americano, prevista dai banchieri centrali, è stata ridotta di 0,2 punti percentuali per il 2010, dal 3,7 a 3,5 percento, e di 0,3 punti dal 4,5 a 4,2 percento per il 2011.

Purtroppo anche i dati sull’attività manifatturiera Usa, mostrano un rallentamento nel mese di giugno, anche se il settore ha mostrato una crescita. Secondo i dati forniti dalla Institute for Supply Management (Ism), la produzione manifatturiera è scesa a giugno a 56,2 punti dai 59,7 punti di maggio. Secondo gli analisti, mentre un dato sopra i cinquanta punti segnala comunque una crescita, il dato è inferiore alle attese degli analisti, che prevedevano cinquantanove punti. E’, purtroppo, rilevante, tuttavia, che i nuovi ordini, che indicano la proiezione della produzione futura, sono calati a 58,5 punti dai 65,7 di maggio.

L’amministrazione Obama non nasconde le difficoltà che l’economia americana sta attraversando, ma cerca di dimostrare che le iniziative prese dal presidente e sostenute dal Congresso negli ultimi diciotto mesi hanno, di fatto, attenuato gli effetti della crisi, e creato le basi per una netta ripresa.  Secondo la Casa Bianca, il pacchetto di stimoli per l’economia, approvato nel febbraio 2009, avrebbe permesso la creazione o la difesa di milioni di posti di lavoro, stimati fra 2,5 e 3,6 milioni.  Secondo un dato divulgato dalla Casa Bianca, e confermata dalla Congressional Budget Office, il Pil del 2009 è stato fra il 2,7 e il 3,2 più alto di quanto sarebbe stato senza il pacchetto di stimoli.

Per l’opposizione repubblicana, l’unica crescita sicura negli Usa in questo momento, è il debito pubblico.  I pochi dati positivi sull’occupazione riguardano l’impiego pubblico, mentre da parte dei privati c’è ancora una notevole contrazione, che indica sfiducia.  Per i repubblicani, la politica del presidente crea sfiducia fra gli imprenditori e fra i cittadini, perchè l’aumento della spesa federale può puntare solo verso un aumento inesorabile delle tasse.

Secondo un sondaggio condotto per il Washington Post e per la ABC News, pubblicato il 12 luglio 2010, circa 60 percento degli elettori americani dice di non fidarsi del presidente Barack Obama. Solo quarantatré percento degli americani adesso approva la politica economica di Obama, mentre cinquantaquattro percento è contraria. Un terzo degli elettori democratici, cioè, del partito di Obama, è contraria alla politica economica del presidente.

Sempre secondo il sondaggio, cinquantotto percento degli elettori non crede che Obama sia in grado di prendere decisioni giuste per l’America.  Alla domanda se credono che le scelte di Obama siano quelle giuste per il futuro del paese, cinquantotto percento dei rispondenti ha risposto “poco” o “per niente”.  Obama, tuttavia, può ancora contare su un gradimento del 50 percento degli elettori che, in generale, giudicano positivo la sua presidenza, contro quarantasette percento che esprimono un giudizio sfavorevole.

Nello stesso sondaggio risulta che sessantotto percento degli elettori non ha fiducia nei confronti dei Democratici al Congresso, mentre settantadue percento non si fida dei Repubblicani.  Sessantadue percento degli elettori è intenzionato a votare contro il deputato o senatore in carica, dando, pertanto, un leggero vantaggio ai repubblicani.

A meno di quattro mesi dalle elezioni, non è ancora emersa la strategia dei democratici per contrastare l’opinione sfavorevole che si sta forgiando nei confronti dell’amministrazione Obama.  Se da parte democratica c’è una preoccupante quiete, da parte repubblicana si assiste a una lotta fratricida fra la destra intransigente e quella moderata, che rischia di portare alle elezioni di novembre una schiera di candidati che difficilmente convoglierebbero sul partito repubblicano il voto dei centristi e degli scontenti che hanno votato per Obama nel 2008.  I sostenitori del “Tea Party Movement” di destra sono molto attivi in questa fase, e sono riusciti a creare scompiglio fra le file dei vecchi politici dell’establishment del partito repubblicano, ma non è affatto certo che il loro attivismo possa conquistare il cuore e la mente di milioni di americani che non si sentono rappresentati dall’antistatalismo proclamato a gran voce dai membri del Tea Party Movement.

Forse i democratici sperano che l’estrema destra vinca nelle primarie repubblicane, e che candidati “impresentabili” gareggino contro i democratici a novembre.  Forse gli strateghi democratici vogliono che i repubblicani sparino tutte le munizioni prima dell’intervallo estivo, per poi concentrare la potenza di fuoco durante gli ultimi due mesi di campagna elettorale. Forse si dovrà aspettare la fine della calda e afosa estate di Washington per finalmente vedere se i democratici hanno una strategia per vincere a novembre.  Per ora, dalla Casa Bianca, tutto tace.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.