Obama, niente più sconti alla Cina

The Dalai Lama delivers a speech in Washington, DC in October 2009. The White House is standing tough on President Barack Obama's plans to meet with the Dalai Lama in February 2010, firmly rejecting Chinese pressure to snub him as rows escalate between Washington and Beijing. (AFP/File/Karen Bleier)

Dall’incontro con Dalai Lama alle presioni sullo yuan passando per le armi a Taiwan: la musica è cambiata

Anthony M. Quattrone

Il presidente americano, Barack Obama, a un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca, ha deciso di cambiare politica nei confronti della Cina comunista. Prima della sua visita a Pechino, lo scorso novembre, Obama ha tenuto un atteggiamento particolarmente prudente e attento nei confronti delle sensibilità cinesi, evitando di sollevare pubblicamente qualsiasi argomento controverso, dai diritti civili all’economia, alle questioni generali di politica estera. Da qualche giorno i toni sono concretamente cambiati, e si ravvisa una decisa pressione politica americana nei confronti del colosso asiatico per quanto riguarda la politica estera e militare, i diritti civili, e l’economia.Ormai sembrerebbe far parte di un passato remoto la dichiarazione che il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha fatto durante la sua prima visita ufficiale a Pechino un anno fa, quando disse che i diritti civili non dovevano interferire nei rapporti fra Stati Uniti e Cina, causando non poche perplessità fra chi guarda all’America come il massimo difensore della libertà e dei diritti umani. Poche settimane fa, infatti, dopo che Google ha denunciato atti di pirateria informatica da parte di hacker cinesi, presumibilmente ingaggiati dalle autorità di Pechino per violare le caselle postali “g-mail” di noti attivisti per i diritti civili, la Clinton ha apertamente criticato la Cina per la censura che impone sui motori di ricerca dell’Internet, sostenendo la necessità di “un unico Internet, dove l’intera umanità abbia eguale accesso al sapere e alle idee”.

Il presidente Obama aveva chiaramente indicato durante la sua visita in Cina che la questione dei diritti civili era e rimane importante per gli Usa, ma, a parte qualche moderata dichiarazione pubblica, ha evitato, durante la visita, di riportarla al centro della politica americana nei confronti di Pechino, preferendo di puntualizzare i punti di accordo fra i due Paesi. Sembrava che il presidente e i suoi massimi collaboratori sperassero che attraverso una silenziosa politica nel retroscena, si poteva ottenere di più dai cinesi. Forse, oggi, il presidente si è reso conto che la massima di Mao Tse Tung, che la contraddizione interna è più importante di quella esterna, è ancora valida in Cina, dove gli equilibri politici interni al Partito comunista sono più importanti dei rapporti internazionali e di qualsiasi fattore esterno.

La decisione di Obama di non incontrare Sua Santità il Dalai Lama lo scorso ottobre, durante un soggiorno del leader spirituale tibetano negli Usa, prima del viaggio del presidente americano in Cina, era dettata dalla speranza comune di Obama e del Dalai Lama di non causare turbolenze nei rapporti fra Usa e Cina, con l’obiettivo di influenzare positivamente la politica cinese nei confronti del Tibet. Dopo l’annuncio, fatto dallo staff del presidente lo scorso primo febbraio, che Obama incontrerà il Dalai Lama quando quest’ultimo visiterà l’America alla fine del mese, la Cina ha scatenato una ferma campagna anti-americana, minacciando contro misure. Per Pechino non è sufficiente che gli Stati Uniti dichiarano che il Tibet è parte integrante della Repubblica Popolare Cinese, ma, per i cinesi gli americani non devono assolutamente incontrare il Dalai Lama. Non ci sono mezze misure con Pechino. I cinesi invitano gli americani a non intromettersi negli affari interni cinesi, ma non esitano a dettare condizioni al presidente degli Stati Uniti e ai governanti di altri Paesi che vogliono incontrare il Dalai Lama, il quale è anche uno dei maggiori leader religiosi mondiali e un Premio Nobel per la Pace.

In pochi giorni, l’amministrazione americana, dopo aver incassato l’opposizione cinese alla proposta americana di imporre nuove sanzioni contro l’Iran per la questione del nucleare, ha preso diverse iniziative, forse cogliendo i cinesi di sorpresa, per puntualizzare che qualcosa è cambiato nell’atteggiamento di Washington nei confronti di Pechino. L’America ha deciso di vendere a Taiwan, considerata una regione ribelle da parte di Pechino, armi per oltre sei miliardi di dollari, immediatamente causando, da parte cinese, la sospensione degli scambi e dei rapporti militari con gli Usa, il congelamento dei negoziati sulla sicurezza, e l’annuncio di sanzioni alle ditte americane che venderanno armi a Taiwan.

Obama ha duramente attaccato Pechino in campo economico proprio mercoledì scorso durante un incontro con senatori democratici, dichiarando che “la Cina utilizza la valuta per gonfiare in maniera artificiale i prezzi delle nostre esportazioni e abbassare il prezzo dei loro prodotti”. Obama ha anche dichiarato che “il nostro approccio nei confronti di Pechino è quello di una maggiore severità sul rispetto delle regole. Continueremo a premere perché sia la Cina, sia altri Paesi aprano i loro mercati ai nostri beni”.

Nei prossimi giorni si capirà se il cambio di rotta di Obama nei confronti della Cina si consoliderà, quali saranno le contro misure di Pechino, e quale sarà l’atteggiamento degli europei. Se l’Occidente riuscisse a rimanere unito sui suoi valori democratici e liberali, la Cina potrebbe essere costretta a fare qualche fondamentale passo in avanti verso il rispetto dei diritti umani e delle regole del mercato libero. Ora Obama deve convincere gli alleati europei che l’America è determinata nell’affrontare i cinesi: solo così potrà sperare di ottenere l’appoggio del Vecchio Continente.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

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