Dopo la crisi economica, Barack affronta la politica estera
Anthony M. Quattrone
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva chiesto al Congresso di approvare, entro la metà di febbraio, un pacchetto di misure per stimolare l’economia americana. A fine gennaio, la Camera aveva approvato un piano che prevedeva una spesa di 819 miliardi di dollari. Pochi giorni fa, il Senato ha approvato una versione più magra. Finalmente, mercoledì 11 febbraio, i due rami del Congresso hanno trovato un accordo fra di loro e hanno anche raggiunto un compromesso con Obama, per un piano che prevede una spesa totale di 790 miliardi di dollari.
Secondo il capogruppo della maggioranza democratica al Congresso, Harry Reid, “un terzo della cifra servirà per ridurre la pressione fiscale per le famiglie del ceto medio, abbassando le tasse per oltre il 95 percento dei lavoratori americani.” Gli altri due terzi del pacchetto saranno spesi per le infrastrutture, il trasporto di massa, l’ammodernamento del sistema scolastico, e altri investimenti che dovrebbero servire per la creazione di circa 3,5 milioni di posti di lavoro, oltre a misure speciali per sostenere coloro che hanno perso l’impiego nel corso dell’attuale crisi.
L’annuncio del compromesso ha avuto un effetto immediato, importantissimo anche da un punto di vista psicologico, con l’annuncio della compagnia Caterpillar, il primo fabbricante mondiale d’attrezzatura pesante per la costruzione e l’industria mineraria, che ha deciso di ritirare le lettere di licenziamento che aveva già spedito a circa 22 mila lavoratori. Fino a qualche mese fa, ottenere un impiego alla Caterpillar era considerato una garanzia di lavoro a vita per un operaio o un tecnico americano. Il ritiro dei licenziamenti da un messaggio di ottimismo e di speranza, all’intera economia americana e al ceto medio, forse anche più dell’andamento di Wall Street. Con il compromesso raggiunto, il Congresso potrà presentare al presidente l’intero piano fra qualche giorno, perfettamente in linea con lo scadenziario richiesto da Obama.
L’attenzione di Obama si sta spostando con maggiore enfasi verso la politica estera, ed in particolare sul rapporto fra gli Stati Uniti e l’Iran. Durante la campagna elettorale, Obama aveva più volte manifestato l’intenzione di riaprire il dialogo con Teheran, alternando la possibilità di sedersi con la leadership iraniana senza porre condizioni, con posizioni più rigide, in linea con la tradizionale politica americana, chiedendo agli iraniani di bloccare il piano nucleare in atto e di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele.
Fino a questo momento non è trapelata alcun’informazione su eventuali incontri diretti fra rappresentanti dei due governi, ma è sicuramente in atto un dialogo a distanza fra Obama e il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, attraverso dichiarazioni pubbliche che indicano un possibile disgelo nei rapporti fra i due paesi, che non trattengono relazioni diplomatiche da ben trenta anni.
Durante il suo discorso inaugurale, Obama aveva affermato che l’America era pronta a tendere la mano a quei paesi che avrebbero “schiuso il pugno” nei suoi confronti, e ha ripetuto lo stesso concetto durante un discorso tenuto lunedì 9 febbraio. Ahmadinejad ha risposto dichiarando che “la nostra nazione è pronta a colloquiare in un’atmosfera corretta e basata sul mutuo rispetto”. Le intenzioni pubbliche fanno sperare bene, ma gli analisti sono molto prudenti nel formulare ipotesi perché alcune variabili nello scacchiere mediorientale sono ancora in fase di definizione, come la formazione del nuovo governo israeliano che dovrà emergere dopo le ultime elezioni, e la competizione elettorale che si terrà in Iran, dove l’ex presidente Mohammad Khatami, un moderato rispetto ad Ahmadinejad, ha annunciato di voler sfidare quest’ultimo.
Obama è consapevole che non sarà possibile subito mettere da parte trenta anni di sfiducia reciproca fra Stati Uniti e Iran, ma è “necessario cercare aree dove possiamo tenere un dialogo costruttivo, e discutere direttamente con loro. E’ necessario un approccio diplomatico.” Obama, tuttavia, è stato anche fermo nel ribadire che per l’America è inaccettabile che l’Iran finanzi organizzazioni terroristiche o che scateni una corsa alla costruzione di armi nucleari, destabilizzando l’intera regione. Ahmadinejad ha risposto dopo poche ore alle affermazioni fatte da Obama lunedì, dichiarando che “la nuova amministrazione Usa ha detto che vuole il cambiamento e che vuole negoziare con l’Iran. E’ chiaro che questo cambiamento deve essere fondamentale, non tattico, e che la nostra gente è favorevole a veri cambiamenti”.
Sarà interessante vedere come Obama riuscirà a tenere a bada coloro che, in America e in Israele, sono contro qualsiasi compromesso con l’Iran, e che, in qualche caso, avrebbero voluto anche prendere azioni militari preventive contro Teheran, semmai bombardando la struttura dove si starebbe lavorando per arricchire l’uranio. Durante i prossimi mesi, la strategia d’apertura di Obama nei confronti del mondo islamico avrà la possibilità di confrontarsi con le realtà sul campo, dalla guerra in Afghanistan, alla situazione a Gaza. Il successo del presidente, nell’aprire una nuova fase nei rapporti con il mondo arabo e mussulmano, si misurerà non solo dalla collaborazione che l’America riceverà nel debellare il terrorismo fondamentalista, ma anche dall’abbandono della retorica sulla distruzione dello stato d’Israele da parte dei governanti islamici.
La preziosa collaborazione dei partner Europei, che si sono dimostrati più abili dell’America di George W. Bush nell’intrattenere rapporti fruttuosi con il mondo islamico, sarà determinante nella strategia mediorientale di Obama. Il giro di telefonate che Obama ha fatto a diversi leader europei dal 20 gennaio in poi, come quella di mercoledì 11 febbraio al presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, è una chiara indicazione che l’America non vuole più isolarsi nell’affrontare la questione mediorientale, ed islamica in particolare, ma vuole agire con un approccio multilaterale, discutendo, in primis, con gli alleati. Il cambio di rotta in politica estera era stato proposto in campagna elettorale – ora tocca ad Obama metterlo in atto.
Pubblicato in prima pagina sull’Avanti! del 13 febbraio 2009.
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