Obama e le canaglie

Il presidente Usa alle prese con Iran e Nord Corea

South Korean protesters carry a mock missile along with a defaced North Korean flag in Seoul on June 15. The communist North has described itself as a "proud nuclear power" and has threatened to hit back if attacked, as the United States tracked one of its ships on suspicion it is carrying a banned weapons cargo. (AFP/File/Kim Jae-Hwan)
South Korean protesters carry a mock missile along with a defaced North Korean flag in Seoul on June 15. The communist North has described itself as a "proud nuclear power" and has threatened to hit back if attacked, as the United States tracked one of its ships on suspicion it is carrying a banned weapons cargo. (AFP/File/Kim Jae-Hwan)

Anthony M. Quattrone

l’Iran e la Corea del Nord, definiti da George W. Bush nel discorso sullo stato dell’Unione del 29 gennaio 2002, stati canaglia e parte della “Axis of Evil” (asse del male), assieme all’Iraq di Saddam Hussein, sono oggi di nuovo al centro dell’attenzione della politica estera americana, per gli stessi motivi di sette anni fa.  Entrambi i paesi progrediscono verso l’acquisizione di armi di distruzione di massa, lavorando tenacemente ai rispettivi programmi nucleari.

Il 24 maggio 2009, l’ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati maggiori riuniti Usa, ha dichiarato alla televisione americana ABC, che “la Repubblica islamica potrebbe sviluppare la bomba atomica entro tre anni.”  Il 25 maggio 2009, il giorno dopo le dichiarazioni di Mullen, la Corea del Nord ha fatto esplodere il suo secondo ordigno nucleare, in barba alle diffide fatte dalle Nazioni Uniti, dopo il primo test nucleare del 2006.  Nell’arco di due giorni, gli Stati Uniti, e il mondo intero si sono trovati di nuovo di fronte ad un’asse del male, ristrutturato, rielaborato, e più avanzato rispetto al 2002, ma orfano dell’Iraq di Saddam.

Se nel caso dell’Iraq è ormai assodato che non c’erano armi di distruzione di massa, nel caso dell’Iran e della  Corea del Nord, sono gli stessi governanti ad ammettere che si lavora verso l’acquisizione del nucleare, facendo pubblico sfoggio dei progressi fatti.  Il presidente americano Barack Obama forse sarà costretto ad ammettere che Bush non aveva visto male nel caso di Iran e della Corea del Nord, ma potrà continuare a sostenere che la guerra in Iraq è stato un errore che ha distolto l’America dai pericoli effettivi causati dalle politiche di Teheran and Pyongyang, in campo nucleare, e non ha permesso alle forze americane e della coalizione di completare il lavoro in Afghanistan per debellare permanentemente la presenza di al Qaeda.

Obama ora dovrà decidere quali politiche adottare nei confronti dei due paesi superstiti dell’asse del male.  Mentre l’Iran tiene aperto il discorso sul nucleare con la comunità internazionale, giocando al tira e molla sui controlli, dichiarando che mira ad usare l’atomo solo per scopi civili, la Corea del Nord non fa mistero della sua intenzione di diventare una potenza nucleare per scopi militari.  Un test missilistico in Iran non è mai connesso, pubblicamente, al programma nucleare, mentre a Pyongyang non si fanno misteri sugli obiettivi dei test, sulla gittata dei missili e sulla capacità di trasportare testate nucleari.

Se nell’Iran è visibile la presenza di una forte opposizione al regime di Mahmoud Ahmadinejad, sia attraverso le elezioni, per quanto possano essere irregolari, sia attraverso le manifestazioni di piazza, nella Corea del Nord vige la dittatura staliniana più assoluta, dove il dissenso non è tollerato su nessun tema.  Una politica occidentale indirizzata verso la società civile, verso gli intellettuali, verso le persone di buon senso, può trovare in Iran un ascolto, impensabile in questo momento nella Corea del Nord.

Obama ha pubblicamente dichiarato durante la campagna elettorale, e mentre metteva insieme la sua squadra di governo, che preferiva la scuola del realismo politico in affari internazionali, piuttosto che quella dell’idealismo.  Per Obama, gli interessi degli Stati Uniti prevalgono su qualsiasi discorso idealistico relativo all’esportazione della democrazia o anche della difesa dei diritti umani e civili nei diversi angoli del mondo.

Obama ha chiaramente indicato che la sua politica estera si basa sul dialogo, non escludendo l’uso della forza, che diventa legittimo solo come ultima ratio.  Con l’Iran di Ahmadinejad, Obama ha steso la mano, riconoscendo il diritto degli iraniani al nucleare civile.  Con il discorso all’Università del Cairo, Obama si è rivolto alle masse arabe e islamiche, cercando punti d’incontro fra occidente e Islam, senza sottorappresentare l’importanza della libertà, della democrazia, e dei diritti umani, che spesso nei paesi islamici sono negati.  Il mondo islamico è sicuramente permeato dall’intolleranza e dalla presenza di regimi repressivi, ma è innegabile che una società civile esiste, e questa è, di fatto, collegato con l’occidente, sia per motivi economici, sia per quelli culturali.  La politica della mano tesa può avere buon risultato dove c’è la società civile cosciente della sua stessa esistenza.  A Pyongyang non c’è una società civile visibile cui tendere la mano.  C’è solo una brutale dittatura, che ora si permette il lusso di puntare le sue armi nucleari contro l’occidente e contro i vicini di casa, mentre lascia vuoti i frigoriferi dei suoi cittadini.

La strategia del realismo in politica estera porta Obama, ironicamente, a sperare che in Iran prevalga la stabilità, e che Ahmadinejad rimanga al suo posto, superando l’attuale crisi interna, caratterizzata dalla protesta popolare dei sostenitori di Mir Hussein Moussavi, il candidato dell’opposizione moderata in Iran, che accusano il regime di brogli elettorali.  Un’eventuale vittoria di Moussavi non avrebbe garantito, in ogni caso, un passo indietro da parte dell’Iran nel programma verso il nucleare.  Obama ha dichiarato che non vuole che l’America sia accusata di immischiarsi negli affari interni iraniani, e pertanto gli Usa evitano di sostenere apertamente le opposizioni iraniane, e sono prudenti in tutte le dichiarazioni pubbliche.

La Corea del Nord gioca al rialzo, puntualmente promettendo di sospendere il programma nucleare in cambio di qualche beneficio.  Dopo che ha ricevuto quanto chiesto, riprende speditamente il suo programma nucleare, fino alla prossima richiesta.

Ora si attende quale saranno i prossimi passi di Obama nei confronti dei due paesi.  Se continua a prevalere la linea realista nella politica estera americana, Obama sarà costretto a rinunciare a qualsiasi appoggio all’opposizione iraniana durante l’attuale crisi, e dovrà intensificare i tentativi di istaurare un dialogo con Ahmadinejad.  Nel caso della Corea del Nord, la linea realista potrebbe portare, invece, ad un rafforzamento delle forze militari americane già presenti nella Corea del Sud, assieme ad una più intensa attività della marina Usa nelle acque internazionali attorno alla penisola coreana, mentre Obama cerca di convincere i paesi membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che è necessario prendere azioni gravi nei confronti di Pyongyang.  Inizia l’attesa.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

3 pensieri riguardo “Obama e le canaglie”

  1. Giusta prudenza, quella di Obama, sul caso elezioni-in-Iran: Ahmadinejad (al di là dei brogli, peraltro ammessi dai Guardiani della Rivoluzione) vanta una forte maggioranza radicata soprattutto nelle aree rurali del paese; se si votasse solo nelle città probabilmente l’Iran avrebbe leader anche più progressisti di Moussavi, sostenuti dai giovani ma anche da un ceto medio che non si specchia nella leadership attuale.
    Giusta osservazione quella ‘realistica’ sui vantaggi di un Iran stabile, in questo preciso momento: a breve l’Afghanistan diventerà – per gli USA e gli alleati – la regione più calda e l’Iran (oltre al Pakistan) potrà rivestire un ruolo importante sul fianco occidentale, relativamente tranquillo ma a pochi passi dall’insurgency del sud.
    Meglio (sempre realisticamente parlando) concentrarsi sulla Corea del Nord, cliente scomodo per tutti e intorno a cui sarà più facile per Obama costruire un forte consenso internazionale.
    Comunque sia, si tratterà di attendere ancora.

    1. Tony, è difficile far rientrare i buoi una volta che sono usciti dal recinto. La Corea del Nord, sotto l’influenza russa e cinese, sarà molto difficile da tenere sotto controllo. Forse l’Iran, che ha sicuramente più contatti e rapporti economici con l’occidente, potrà essere, cautamente, portato a ragionare. Ci vuole tempo e molta capacità politica. Iltuo Presidente, che si è incontrato con il mio Presidente del consiglio, ha molto da imparare dal “nano”!!!????

  2. Caro Tony,Iran e Corea del Nord,nel futuro prossimo,rappresentano i due maggiori problemi per l’Amministrazione Obama. Sono due paesi che si trovano, geograficamente, ma anche geopoliticamente, in due aree molto sensibili: Medio Oriente e Sud-est Asiatico.
    Vorrei qui,come hai ben evidenziato,fare qualche riflessione sulla seconda vittoria di Ahmadinejad,alla guida della teocrazia iraniana.
    Nonostante le accuse di brogli elettorali,il Presidente ha saputo giocare bene le sue carte anche in questo caso,ritagliandosi un’immagine, sapientemente costruita,per far leva su specifici settori della popolazione. Egli ha vinto poichè si è presentato quale elemento non “antisistema”, piuttosto fuori dal sistema, lontano dai circoli di potere detestati dalla popolazione. In tal modo ha potuto accusare i suoi antagonisti di non aver fatto nulla per i poveri, l’economia, per il paese reale. La sua retorica populista, i suoi slogan facili e molto prosaici,la sua immagine (costruita) di uomo pulito che vive modestamente hanno fatto breccia in un paese esasperato dalla corruzione,dall’ingiusta ripartizione dei proventi del petrolio. Oltretutto essendo un laico e non un religioso ha intercettato il voto di coloro che detestano i religiosi sciiti, corrotti,incapaci,imbrigliati nelle logiche di potere.
    Il presidente gode dell’appoggio, difatti, incondizionato degli ultraradicali,legati alle forze armate,ai pasdaran, ai servizi segreti, rispetto ai conservatori tradizionali legati al rabhar ed al clero sciita.
    Ahmadinejad rappresenta,dunque,l’ala più oltransista e radicale del complesso sistema di potere post-rivoluzionario, ed è piuttosto evidente il tentativo di mettere in difficoltà, con la sua retorica anti-israeliana,i religiosi che detengono il potere.
    Il sistema iraniano presenta una straordinaria complessità dell’assetto costituzionale,per cui nessun potere è totalmente svincolato dall’influenza degli altri, a partire dalla Guida Suprema, per finire al Consiglio dei Guardiani.
    Infine, la retorica sul nucleare fa si che l’intenzione del Presidente sia quella di conservare qualche leva contrattuale sul piano internazionale, ma rende esplicito anche il desiderio dell’Iran di divenire una potenza regionale di riferimento nell’area.

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