Obama e l’arte del compromesso

Primo anno di presidenza Obama

President Barack Obama visits a Boys and Girls Club in Washington, Monday, Dec. 21, 2009, to read a book and give out cookies to children. (AP Photo/Charles Dharapak)

Anthony M. Quattrone

L’azione politica di Barack Obama nel suo primo anno di presidenza è stata caratterizzata dal compromesso. Ironicamente, Obama può contare su di un’ampia maggioranza democratica sia alla Camera, sia al Senato, ma non può contare su di un partito democratico unito, pronto a sostenerlo al Congresso. L’anima progressista si è scontrata in diverse occasioni con quella conservatrice, e, solo grazie all’abilità di mediare da parte della dirigenza democratica, e da parte di Obama in prima persona, è stato possibile portare avanti parte del programma proposto durante la campagna elettorale. Forse è proprio l’abilità di Obama di trovare una via di mezzo, un compromesso, che ha sorpreso maggiormente gli osservatori politici americani. Obama è disposto a considerarsi soddisfatto e vincente anche quando una sua proposta è ridotta all’osso attraverso il dibattito parlamentare. La riforma sanitaria, tanto sostenuta da Obama in campagna elettorale, è un esempio della propensione del presidente di effettuare compromessi per salvare il salvabile, e per fare avanzare di qualche passo il suo programma politico.

L’insediamento di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti il 20 gennaio dell’anno che sta per finire è stato sicuramente un evento storico perchè è il primo afro americano eletto alla massima carica dello Stato americano. Lo stesso evento è stato anche una fonte di preoccupazione per gli osservatori della politica americana, perchè il resoconto della carriera politica del giovane presidente includeva solo l’elezione a senatore per lo stato dell’Illinois. Con la fine dell’anno, si inizia a tirare le somme per valutare l’efficacia di Obama, se ha tenuto le promesse fatte, e se il Paese sta meglio o peggio di quando si è insediato alla presidenza. Quello che traspare è che Obama è veramente abile nell’avanzare il suo programma politico, cercando il compromesso dove si può, con grande senso pragmatico.

Il sito Internet www.politifact.com, che appartiene al St. Petersburg Times, svolge un ruolo di costante monitoraggio rispetto all’azione politica di Obama, attraverso la compilazione di una lista di 513 promesse fatte dal presidente durante la campagna elettorale. Ad oggi, il presidente ha portato a compimento 102 azioni nella lista delle promesse, mantenendone 75, facendo compromessi riguardanti 18, e rompendone 9. Delle restanti 411 promesse, 202 riguardano azioni politiche attualmente in pieno svolgimento, 39 sono bloccate in una situazione di stallo, e per 170 non ci sono ancora abbastanza elementi da dare una valutazione definitiva.

I numeri delle promesse fatte rispetto a quelle mantenute e quelle rotte sono interessanti, e possono essere integrate dalle rilevazioni dei maggiori sondaggi sul gradimento nei confronti del presidente da parte degli americani. Secondo un sondaggio svolto dalla Gallup durante il periodo fra il 16 e il 18 dicembre, il 50 percento degli americani manifestano il gradimento nei confronti di Obama, e il 43 gli è contrario. I risultati più recenti non sono certamente comparabili al margine favorevole che la Gallup ha registrato durante la prima settimana della presidenza, quando Obama godeva di un livello di approvazione pari al 64 percento contro un’opinione sfavorevole contenuta al 17. Un sondaggio della Rasmussen, datato 17 dicembre 2009, è forse più preoccupante per il giovane presidente, perchè registra un divario abbastanza consistente fra il 26 percento degli elettori che danno ad Obama un altissimo gradimento, e il 41 che manifesta un alto livello di disapprovazione. Lo stesso tipo di sondaggio fatto dalla Rasmussen dieci mesi fa dava ad Obama una proporzione inversa, con coloro che mostravano un alto gradimento in netto vantaggio su quelli che manifestavano un’alta disapprovazione, per 40 a 20 percento. Sicuramente Obama non può aspettarsi grandi balzi in avanti nel gradimento nei suoi confrontri da parte degli elettori americani, se la crisi non rallenta in modo visibile, e migliaia di americani ritornano al lavoro.

I temi cari ad Obama nel suo primo anno di presidenza hanno dovuto passare in secondo piano rispetto alla crisi economica. La chiusura di Guantanamo, la battaglia per l’ambiente, il controllo del riscaldamento climatico, la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, e la stessa lotta per la riforma sanitaria passano in subordine rispetto al tema fondamentale per la stragrande maggioranza dei cittadini americani, quello dell’andamento dell’economia. Gli americani sono disposti a discutere qualsiasi riforma, di sostenere interventi a favore delle popolazioni disagiate in ogni angolo del mondo, di mandare i propri figli a combattere in nome della democrazia e della libertà, purché il cittadino della cosiddetta middle class abbia un decente posto di lavoro e la possibilità di attuare, almeno in parte, il sogno americano. Per l’americano che ha perso il lavoro, che ha la casa pignorata, che non riesce a mandare i figli all’università, il presidente non deve essere distratto dalla riduzione dei gas inquinati per l’ambiente, la chiusura dell’obbrobrio di Guantanamo, o da altri temi che non sono legati direttamente alla ripresa economica. Poi si potrà parlare di Guantanamo, della riforma del sistema sanitario, dell’ecologia, dell’Iraq o dell’Afghanistan.

Nel febbraio del 2009, a meno di un mese dall’insediamento, Obama è riuscito ad ottenere dal Congresso l’approvazione delle misure necessarie per stimolare l’economia. Non è ancora chiaro se il pacchetto approvato dal Congresso sia effettivamente servito a rimettere in piedi l’economia americana. E’ certo che le misure prese a favore degli istituti finanziari, durante gli ultimi mesi dell’amministrazione di George W. Bush, ed appoggiate da Obama, sono servite per salvare il sistema bancario americano. Ed è anche certo che Wall Street e l’intero sistema finanziario è di nuovo in piedi, vibrante come non mai, con l’indice Dow Jones che è tornato quasi stabilmente sopra quota 10 mila, dopo essere scivolato a 6.626 il 6 marzo 2009.

I dati della disoccupazione e del pignoramento degli immobili non danno al cittadino medio americano alcuna indicazione se le misure adottate per stimolare l’economia stiano funzionando. Secondo le statistiche ufficiali del dipartimento del lavoro americano, a novembre i disoccupati hanno raggiunto 15,5 milioni, pari al dieci percento della forza lavoro. Nel trimestre estivo, sono state pignorate, per morosità nel pagamento delle rate dei mutui, ben 937 mila abitazioni, pari ad un immobile su ogni 136 unità soggette ad ipoteca. Anche la fiducia dei consumatori, misurato ogni mese dalla University of Michigan, è ai minimi storici. Nel mese di dicembre c’è stato un leggero miglioramento rispetto a novembre, con un salto da 67,4 a 73,4, ma è sempre sotto quota 100 stabilito nel 1964. Insomma, la condizione economica e le prospettive per il futuro da parte del ceto medio americano sono ancora negative.

Il pragmatismo di Obama è dettato anche dalla sua consapevolezza che l’americano medio mostra una generale ostilità nei confronti di qualsiasi intervento statale. Secondo un sondaggio pubblicato dalla Rasmussen il 17 dicembre 2009, il 66 percento degli americani preferisce una generale riduzione delle tasse piuttosto che un incremento dei servizi da parte dello Stato. Addirittura il 51% degli elettori democratici preferiscono una riduzione delle tasse, anche se questa può portare ad una conseguente riduzione dei servizi forniti dallo Stato. La proposta di riforma sanitaria portata avanti da Obama trova molti oppositori proprio fra i democratici nel Congresso che si oppongono a qualsiasi ampliamento del settore pubblico. L’americano medio è scettico sulla capacità da parte dello Stato di gestire qualsiasi cosa al di fuori della sicurezza nazionale e delle forze armate.

Altri sondaggi pubblicati nelle scorse settimane rilevano che gli americani sono scettici a riguardo delle proposte portate avanti da Obama sia sul controllo dell’emissione di gas inquinanti (43 percento a favore e la stessa percentuale contro), sia sulla necessità di regolare meglio gli istituti finanziari (con il 63 percento contrari). L’antistatalismo degli americani si manifesta anche per quanto riguarda la percezione che hanno nei confronti dei dipendenti pubblici. Infatti, un altro sondaggio indica che il 51 percento degli americani pensa che gli impiegati statali guadagnano, in media, molto più dei dipendenti del settore privato.

Obama ha dimostrato una straordinaria capacità di accettare il compromesso come mezzo per avanzare le sue proposte nella direzione voluta, scegliendo il pragmatismo ed evitando di cadere nel massimalismo. Gli ultimi due esempi sono la proposta uscita dalla conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si è chiuso pochi giorni fa a Copenhagen, e l’accordo che si sta sviluppando nel Congresso americano a proposito della riforma sanitaria. In entrambi i casi, Obama ha accettato il paradigma della “mezza via” piuttosto che battersi per il tutto o niente.

In questo contesto, Obama conclude un anno storico, e, fra circa un mese, terrà il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, in cui dovrà dire ai suoi concittadini quale è la condizione del Paese, e dove intende condurlo. Poi, dopo dieci mesi, gli americani esprimeranno il loro gradimento o la loro contrarietà per le politiche del giovane presidente, quando a novembre, nel segreto delle urne, saranno chiamati a rinnovare l’intera Camera e un terzo del Senato. Così funziona la democrazia.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.