L’alleanza conservatrice contro Obama, formata dalla destra democratica e dai repubblicani, avanza nel Congresso Usa
Anthony M. Quattrone
I risultati delle elezioni americane del 2 novembre 2010 sono in linea con le previsioni fatte dai sondaggi svolti poche settimane prime del voto. I repubblicani hanno conquistato la Camera con una schiacciante maggioranza di 240 a 189 (mancano ancora i risultati finali per sei seggi), portando via, per ora, 61 deputati ai democratici. Al Senato, dove i democratici e i loro alleati indipendenti hanno ancora la maggioranza con 53 seggi, i repubblicani sono riusciti a raggiungere 47, aumentando la rappresentanza di ben sei seggi. Fra i governatori, i repubblicani hanno strappato ai democratici sei stati. Oggi sono 29 i governatori repubblicani, contro 19 democratici e un indipendente (una carica non è stata ancora assegnata). In sintesi, i repubblicani possono dichiarare vittoria su tutti i fronti.
Il presidente Barack Obama, ad inizio del suo mandato nel gennaio 2009, poteva contare su una schiacciante maggioranza al Senato, formata da 55 senatori democratici e da 2 indipendenti, contro 41 per la minoranza repubblicana (due dei 100 seggi erano vacanti). Oggi, la maggioranza formata dai senatori democratici e dagli alleati indipendenti è diminuita di sei seggi, cambiando leggermente il rapporto di forza fra maggioranza e minoranza nel Senato. L’analisi dei risultati del voto per il Senato deve prendere in considerazione due importanti dati. Il primo è il raffronto fra democratici e repubblicani. Il secondo è quello fra progressisti e conservatori. La presenza di una componente conservatrice all’interno del partito democratico rende più complessa l’analisi dei risultati del voto, specialmente per quanto concerne i programmi e gli obiettivi politici espressi dal presidente Obama.
Andiamo in ordine e partiamo con il confronto fra democratici e repubblicani al Senato.
Le regole del Senato americano danno alla formazione politica che ottiene una maggioranza qualificata di 60 senatori il vantaggio di poter sbloccare un tentativo di ostruzionismo parlamentare attraverso la procedura di “cloture”, cioè, il voto di chiusura del dibattito. Durante il corso del 111mo Congresso, in carica per due anni dal gennaio 2009 e che sarà seguito dal 112mo il prossimo gennaio, i democratici assieme ai loro alleati indipendenti hanno raggiunto la maggioranza qualificata di 60 seggi solo per due brevi periodi: il primo fra il luglio e l’agosto 2009 e il secondo fra l’ottobre 2009 e il febbraio 2010. I democratici hanno perso tale maggioranza durante le elezioni speciali che si sono tenute per riempire seggi vacanti, come nel caso della vittoria repubblicana nelle elezioni che si sono tenute a seguito della morte del senatore democratico Edward Kennedy nell’agosto 2009. Al momento delle elezioni dello scorso 2 novembre, i democratici e i loro alleati indipendenti avevano 59 senatori, contro 41 per i repubblicani.
La maggioranza formata dai 57 senatori democratici e dai 2 indipendenti, tuttavia non riflette la linea politica progressista tradizionalmente associata al partito democratico. Infatti, otto democratici e un senatore indipendente, l’ex candidato democratico alla vice-presidenza nel 2004, il senatore del Connecticut, Joe Lieberman, sono conservatori. Pertanto, durante l’intera durata del 111mo Congresso, il presidente Obama ha dovuto fare i conti con un Senato diviso fra 50 senatori progressisti e 50 conservatori, anche se la maggioranza a suo favore formata dai democratici e dai loro alleati, ovvero quella che sulla carta avrebbe dovuto sostenerlo, sembrasse molto più vasta, obbligando il presidente a negoziare all’interno del suo stesso partito su tutti i temi sociali e fiscali a cuore dei conservatori.
Nel nuovo Senato, la situazione dei progressisti si complica leggermente, perchè lo schieramento conservatore può ora contare su 47 repubblicani, 6 democratici, e un indipendente, per un totale di 54 senatori contro 46 per i progressisti. Infatti, i repubblicani sono aumentati di sei seggi, di cui 4 presi dai democratici progressisti e 2 dai democratici conservatori.
Alla Camera, i repubblicani hanno guadagnato 61 seggi, ottenendo la maggioranza. E’ interessante notare che nel 111mo Congresso, la maggioranza democratica alla Camera era composta di 257 deputati, di cui 203 centristi e progressisti e da 54 conservatori, contro una minoranza di 178 repubblicani. Durante molte votazioni alla Camera per le proposte di legge fatte dal presidente Obama, la maggioranza democratica non lo ha sostenuto, perché la componente conservatrice votava assieme ai repubblicani. Il totale della somma formata dai deputati repubblicani più quelli democratici ostili al presidente creava una solida maggioranza conservatrice alla Camera di 232 deputati, contro 203 formata da democratici centristi e progressisti. Con l’elezione del 2 novembre scorso, la coalizione conservatrice alla Camera si è rafforzata notevolmente, raggiungendo ben 266 seggi, composta da 240 repubblicani e da 26 democratici conservatori, i quali, tuttavia, sono usciti dimezzati dalle elezioni, perdendo 28 seggi che sono passati ai loro partner conservatori repubblicani.
Obama ha dovuto combattere duramente per far approvare al Congresso americano alcune proposte di legge che sono al centro della sua politica presidenziale, come la riforma del sistema finanziario e quello del sistema sanitario. Obama ha dovuto accettare compromessi che hanno generato insoddisfazione fra gli elettori progressisti, e confusione nell’elettorato, che non riusciva a capire come era possibile che un presidente democratico, con un Congresso a maggioranza democratica, non riusciva a far approvare le leggi proposte. La vittoria repubblicana alla Camera e il loro grande balzo in avanti al Senato elimina la confusione generata dalla presenza di conservatori all’interno del partito democratico, che durante l’intera durata del 111mo Congresso hanno remato contro il presidente. La strada, tuttavia, rimane sempre in salita per il Presidente.
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