McCain a caccia del voto religioso; Obama cerca voti fra gli operai

Anthony M. Quattrone

La competizione elettorale per la presidenza USA fra il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, e il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, è entrata nella delicata fase dove i candidati devono unire o tentare di tenere unite le proprie basi elettorali, mentre creano coalizioni miranti a superare il quorum di 270 voti elettorali necessari per arrivare alla Casa Bianca.

Si ricordi che l’elezione del presidente americano non avviene attraverso il voto popolare diretto, bensì attraverso un Collegio presidenziale di cui fanno parte 538 grandi elettori. In pratica, a novembre si svolgeranno 51 elezioni separate, una per ognuno dei 50 stati, più una per il Distretto di Columbia, sede della capitale, Washington. In 49 di queste competizioni, vigerà la regola del “winner takes all”, vale a dire, chi ottiene la maggioranza dei voti popolari, otterrà il voto di tutti i grandi elettori che rappresenteranno quello stato nelle deliberazioni del Collegio presidenziale, il quale, di fatto, eleggerà il presidente. Due stati, il Maine ed il Nebraska, fanno da eccezione, con un totale di soli 17 voti, perchè utilizzano un sistema basato sui distretti elettorali all’interno dei rispettivi stati, con una correzione per chi ottiene la maggioranza del voto popolare a livello statale.

Il numero di grandi elettori per ogni Stato si basa sul totale della sua popolazione residente al momento dei censimenti nazionali, che si svolgono, normalmente, ogni dieci anni. La strategia elettorale dei candidati deve tenere presente, pertanto, non solo dell’importanza dei sei stati con il più alto numero di grandi elettori, come la California con 55, il Texas con 34, New York con 31, la Florida con 27, e l’Illinois e la Pennsylvania con 21 a testa, ma anche del comportamento di alcuni Stati, definiti “swing states” (stati che oscillano), i quali possono determinare, con esigue maggioranze di voto popolare, chi sarà il futuro presidente americano. Già nel 2004, furono solo 115 mila voti di scarto in Ohio, uno swing state con 20 voti, a determinare la vittoria di George W. Bush contro il contendente democratico, il senatore del Massachusetts, John Kerry. Con i voti dell’Ohio, Bush vinse per 286 voti elettorali a 251. Se Kerry avesse ottenuto la vittoria in Ohio, avrebbe battuto Bush per 271 a 266.

Secondo uno studio condotto nel 2005 dalla Pew Research Center, i democratici formano il 44 percento degli iscritti nelle liste elettorali, i repubblicani formano il 34 percento, mentre il centro politico, non allineato, forma il 22 percento. Entrambi candidati sono al lavoro per ricucire fratture interne ai rispettivi partiti, ed in particolare, per guadagnare la fiducia di due consistenti gruppi che non li hanno sostenuti durante le primarie, vale a dire, gli operai per Obama, che sono circa un quarto degli elettori democratici iscritti nelle liste elettorali, e la destra religiosa per McCain, che compone circa un terzo dei repubblicani iscritti nelle liste elettorali. In casa democratica, gli operai, in particolare quelli bianchi e a bassa scolarizzazione, hanno sostenuto in massa la senatrice di New York, Hillary Clinton. Mentre in casa repubblicana, la destra religiosa preferiva l’ex pastore battista ed ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee. Obama senza l’appoggio operaio, e McCain senza quello della destra religiosa, non possono aspirare a diventare presidente.

La maggiore confederazione sindacale americana, l’AFL-CIO, forte dei suoi nove milioni di iscritti suddivisi in 56 sindacati, ha deciso formalmente di appoggiare Obama, così come già aveva annunciato lo scorso 21 febbraio un’altra confederazione sindacale, Change to Win, che rappresenta oltre sei milioni di lavoratori, suddivisi in sette potenti sindacati. La forza economica delle due confederazioni sindacali è significativa, permettendo al candidato democratico di poter contare su circa 300 milioni di dollari, e, secondo le stime sindacali, sul voto di almeno uno di ogni quattro elettori che andranno alle urne il prossimo novembre.

La forza del sindacato potrebbe risultare particolarmente decisiva negli stati operai, come l’Ohio, la Pennsylvania, il Michigan, il Wisconsin, ed il Minnesota, dove Obama ha incontrato difficoltà negli scontri per le primarie contro la senatrice Clinton. Secondo alcuni sondaggi, Obama è ancora osteggiato dai lavoratori bianchi a basso reddito e con bassi livelli di scolarizzazione, sia per motivi di strisciante razzismo, sia per la percezione che i suoi discorsi sembrerebbero più rivolti all’elite liberal americana, che ai lavoratori. L’appoggio delle organizzazioni sindacali, l’appoggio dell’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, un beniamino delle organizzazioni sindacali, e la decisione della senatrice Clinton di scendere in campo in prima persona, come a fatto venerdì scorso durante una manifestazione assieme ad Obama nella cittadina di Unity, nel New Hampshire, potrebbero giocare un ruolo decisivo nella conquista del voto operaio per il candidato democratico.

Secondo un’analisi fatta dalla direzione dell’AFL-CIO, Obama ha votato a favore delle proposte di legge appoggiate dal sindacato il 98 percento delle volte, mentre McCain ha votato a favore delle posizioni sindacali solo il 16 percento delle volte. Secondo il direttore politico della AFL-CIO, Karen Ackerman, “è chiaro chi dei due candidati è più vicino al movimento sindacale”. La direzione del sindacato ha programmato di presentare Obama direttamente ai lavoratori, attraverso una serie di manifestazioni specifiche, durante i prossimi mesi.

In casa repubblicana, McCain ha affidato a Marlys Popma, un’attivista repubblicana dell’Iowa, definita una fondamentalista religiosa e socialmente conservatrice, il lavoro di avvicinamento fra il senatore e la destra religiosa. Secondo Popma, “McCain è il loro candidato, ma è necessario fare conoscere alla destra religiosa come il senatore ha votato per limitare il diritto all’aborto, a favore della lotta contro la pornografia sull’Internet, e per favorire le attività delle scuole religiose”.

Secondo Philip Elliott dell’Associated Press, la strategia della campagna di McCain sarà quella di distogliere l’attenzione degli evangelici dalle posizioni controverse che il candidato repubblicano ha espresso durante la sua carriera politica su alcuni temi sociali, come l’aborto e il matrimonio gay, per focalizzarla più sul ruolo che il nuovo presidente avrà nella scelta dei giudici della Corte Costituzionale, che dovranno essere nominati durante il prossimo mandato presidenziale.

David Domke, un professore di comunicazione della Georgetown University, non è certo che la campagna elettorale di McCain è conscia che senza il voto evangelico, il senatore dell’Arizona non ha alcuna chance di arrivare alla Casa Bianca. La destra religiosa ricorda ancora alcune affermazioni fatte da McCain durante una precedente campagna per le primarie repubblicane, quando definì alcuni famosi predicatori televisivi, come Pat Robertson e Jerry Falwell, “agenti dell’intolleranza”. Secondo il professor Domke, citato da Elliott per l’Associated Press, “è difficile credere che McCain sia cambiato, e che abbia abbandonato la sua assoluta ostilità nei confronti della vecchia guardia della destra religiosa. Molti evangelici preferirebbero perdere a novembre piuttosto che votare per un candidato di cui non hanno fiducia – la sconfitta repubblicana, ed in particolare quella di McCain, aiuterebbe il loro movimento”.

Bob Heckman, responsabile della campagna di McCain nei confronti dei conservatori, è più ottimista, perchè sia gli elettori conservatori moderati, sia quelli della destra religiosa, alla fine dovranno scegliere fra due candidati, e sicuramente riusciranno a vedere che i valori dell’anziano senatore dell’Arizona sono più vicini ai loro, molto più di quanto lo possano essere quelli del senatore Obama.

Il candidato che riuscirà a ottenere il sostegno della base tradizionale del proprio partito avrà un vantaggio notevole, e potrà concentrare gli sforzi e l’attenzione per conquistare il centro non allineato e gli indecisi del partito avversario. In questo momento, Obama sembrerebbe in vantaggio su McCain, non solo nei sondaggi nazionali, ma anche per quanto riguarda l’unità del proprio partito. Ma novembre è ancora lontano, e l’importante scelta dei candidati vice presidenti non è ancora stata fatta.

Pubblicato sull’Avanti! del 1 luglio 2008

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

2 pensieri riguardo “McCain a caccia del voto religioso; Obama cerca voti fra gli operai”

  1. Io credo, attualmente che il problema di tutte le sinistre, è quello di intercettare il voto degli operai, vale a dire quello che è stata la base elettorale nel secolo scorso . Ma con la crisi dei sindacalismo , la fine dei partiti che si richiamavano al comunismo, la fine del modello industriale fordista, la cossidetta middle class guarda con diffidenza alla sinistra e si rifugia a destra con la speranza di poter migliorare le proprie condizioni di vita. Speriamo che Obama vinca e cambi il corso della storia.

  2. Caro Alessandro, hai ragione: la sinistra occidentale non riesce più ad egemonizzare il voto della classe operaia.

    Tuttavia, ci sarebbe da chiedersi se la classe operaia, come era concepita nel modello industriale fordista, ed anche nei testi marxisti, esiste ancora. L’economista Jeremy Rifkin, così come l’ex ministro del lavoro USA del governo Clinton, Robert Reich, parlano di raggruppamenti di lavoratori con definizioni molto diverse da quelle cui siamo abituati ad usare.

    Reich parla di una costante erosione numerica dell’operaio-massa e dei colletti bianchi, accompagnato dalla crescita numerica dei salariati in altre categorie, come i lavoratori nel campo dei servizi alle persone, e i cosiddetti analisti-simbolici.

    L’argomento è affascinante, ma non sono certo che la terminologia classica, anche quella di “destra” e “sinistra”, sono ancora usabili nel caso delle elezioni USA.

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