Lo Stato di Diritto regge all’urto di Donald Trump

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La Corte Suprema americana, bocciando venerdì 11 dicembre 2020 il tentativo dei fedelissimi di Donald Trump di sovvertire il risultato delle presidenziali dello scorso novembre, ha ribadito la supremazia della Costituzione e dello Stato di Diritto rispetto agli interessi personali o di partito.   

La Corte ha rigettato in toto la richiesta presentata dal procuratore generale dello Stato del Texas, appoggiato da 17 altri Stati (tutti governati dai repubblicani) e da 100 deputati repubblicani, di annullare il risultato del voto popolare negli Stati della Georgia, della Pennsylvania, del Michigan e del Wisconsin per presunte irregolarità. La mozione texana proponeva, inoltre, di lasciar decidere alle camere legislative, a maggioranza repubblicana nei succitati quattro stati, se sostenere Donald Trump o Joe Biden. 

Se fossero state accettate le argomentazioni texane, Biden avrebbe sicuramente perso un totale di 62 grandi elettori, scendendo da 306 a 244, dando a Trump la maggioranza con 294 voti, rispetto agli attuali 232.  Un vero e proprio ribaltone!

La massima corte americana ha, quindi, rispedito al mittente la richiesta giudicandola completamente irregolare e in violazione del disposto della Costituzione Americana che prevede che ogni Stato possa gestire le elezioni secondo leggi proprie (statali), le quali, a loro volta, devono essere in sintonia con i diritti inalienabili dei cittadini americani, previsti dalla stessa Costituzione Americana.  La Corte aveva già bocciato un tentativo dei repubblicani di sospendere la certificazione dei risultati elettorali in Pennsylvania martedì, 8 dicembre 2020.

Trump contava sulla fedeltà o la riconoscenza dei tre giudici che ha nominato alla Corte Suprema nel corso degli ultimi anni.  La massima corte americana è formata da nove giudici, di cui, attualmente, sei sono di estrazione conservatrice (repubblicani), mentre tre sono di matrice liberal-progressista (democratici).  Quando si crea una vacanza nell’organico della Corte Suprema, il presidente degli USA nomina un candidato e il Senato lo conferma.  Il mandato dei giudici è a vita.  

Trump ha un’enorme difficoltà nell’accettare che sia i giudici, come i militari e i dirigenti di agenzie federali, posti all’apice delle rispettive organizzazioni ed uffici, sia attraverso nomine politiche o normali progressioni di carriera, si dimostrino, così come previsto dalla legge, fedeli alla Costituzione e non al Presidente.  Anche il Presidente stesso giura fedeltà alla Costituzione e da lui ci si aspetterebbe lo stesso comportamento.  Trump, tuttavia, antepone la fedeltà a se stesso rispetto a quella verso la Costituzione, alla Nazione, e al popolo sovrano.

Durante l’attuale mandato presidenziale, Trump ha rimosso chiunque manifestasse anche una minima indecisione fra la fedeltà verso di lui e quella dovuta alla Costituzione.  Il 91% dei membri della sua amministrazione è stato sostituito nell’arco di quasi quattro anni. Si tratta di 59 incarichi su 65.  Trump non è riuscito, tuttavia, a rimuovere dirigenti di carriera come il famoso immunologo, il dottor Anthony S. Fauci, presidente della National Institute of Allergy and Infectious Diseases, o militari come il generale Mark A. Milley, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate americane, che lo hanno contraddetto in pubblico in più occasioni.

Inoltre, il concetto di sovranità popolare per Trump non è mediato dal rapporto fra cittadino e Costituzione, la quale investe le cariche elettive e professionali di autorità.  Per Trump il rapporto è fra lui e quella parte di popolo che lo ha votato. Nella sua visione, è lui ad investire di autorità ministri, giudici, generali e dirigenti di agenzie federali e non la Costituzione. Pertanto, Trump si aspetta, di conseguenza, che chi occupa una carica istituzionale sia fedele a lui “in primis” e non alla Costituzione.

L’uscita di Trump il prossimo 20 gennaio, consentirà allo Stato di Diritto di ritornare centrale nelle dinamiche all’interno della Casa Bianca. È un bene per gli Stati Uniti e per tutto il mondo. Ma forse è anche un bene per tutti quegli americani di fede repubblicana che vorranno ritornare alla politica delle proposte programmatiche e delle normali diversità di vedute fra conservatori e progressisti, abbandonando una volta per tutte il culto imposto della personalità, proprio di monarchie assolutiste e regimi dittatoriali che devono essere confinati nell’oblio della storia.

Pubblicato su “Il Denaro” online il 13 dicembre 2020

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.