Bush chiede agli americani uno sforzo da 700 miliardi di dollari
Anthony M. Quattrone
Quando nel bel mezzo di una crisi politica, economica, o militare il Presidente degli Stati Uniti parla alla nazione, in diretta durante il “prime time” televisivo, si può essere certi che gli americani di tutte le fedi, classi, razze, e tendenze politiche lo ascoltano attentamente. George W. Bush ha parlato al Paese per 15 minuti la sera di mercoledì, 24 settembre, per informare gli americani sulla gravità della condizione dell’economica statunitense, scatenata dalla crisi dei mutui, e per esortare il Congresso ad approvare un piano di salvataggio di banche ed assicurazioni dal costo di 700 miliardi di dollari. Una frase di Bush ha gelato milioni d’americani: “La nostra intera economia è in pericolo”.
Il progetto, messo a punto dal segretario al Tesoro, Henri M. Paulson Jr., e dal presidente della banca federale, Ben S. Bernanke, dovrebbe servire per ridare stabilità ai mercati e per garantire livelli di liquidità necessari per evitare il collasso dell’intero sistema economico americano, che rischierebbe di creare una reazione a catena coinvolgendo l’intera economia mondiale. Il presidente Bush non ha usato mezzi termini per descrivere la gravità del momento, dichiarando che se il Congresso non approvasse il piano di salvataggio, si andrebbe “incontro ad una lunga e dolorosa recessione, con milioni d’americani che perderebbero il loro posto di lavoro”. Il governo americano è particolarmente preoccupato per le sorti del patrimonio assicurativo e pensionistico di milioni di americani in caso di fallimento a catena delle assicurazioni e delle banche nazionali.
Il Congresso americano è intenzionato ad approvare il grosso del piano dell’amministrazione Bush, ma vuole che alcune correzioni siano applicate alle misure proposte. I democratici, in particolare, vorrebbero che le misure siano equilibrate fra quelle che interessano Wall Street, vale a dire le imprese e i mercati, e quelle che interessano la cosiddetta “Main Street”, in altre parole, l’americano medio. Repubblicani e democratici non vogliono che le misure per salvare l’economia finiscano per premiare quegli “executive” delle società che oggi sono in bancarotta, i quali potrebbero ricevere milioni di dollari come indennità di licenziamento o a titolo di buon’uscita. I senatori e i deputati repubblicani e democratici vorrebbero inserire, nelle proposte fatte da Bush, alcune clausole che dovrebbero garantire, da parte di quelle ditte che avranno profitti nel futuro, la restituzione totale o in parte dei fondi stanziati dal governo.
L’ammissione di Bush, in diretta televisiva, della gravità della situazione economica ha creato scompiglio in casa repubblicana. Il senatore dell’Arizona e candidato presidenziale del GOP, John McCain, ha sempre sostenuto, fino a pochi giorni fa, non solo che l’economia americana era salda, ma che il governo non doveva prendere iniziative nel campo dell’economia, specialmente se queste potevano causare un aumento delle tasse degli americani. La proposta di Bush di iniettare nell’economia USA ben 700 miliardi di dollari di fondi che provengono o dovranno provenire dalle tasse dei contribuenti americani è in contraddizione con quanto predicato dai repubblicani da sempre.
Il presidente Bush ha convocato McCain e il candidato democratico, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, alla Casa Bianca per informarli su quanto ha proposto e per chiedere ad entrambi di usare la loro influenza per convincere il Congresso ad approvare il piano proposto dall’amministrazione. Mentre mercoledì mattina McCain e Obama hanno stilato una dichiarazione congiunta in cui s’impegnavano a risolvere la crisi in modo bipartisan, durante la sera dello stesso giorno, il candidato repubblicano annunciava di sospendere la sua campagna elettorale per ritornare al Congresso per dare il suo contributo alla risoluzione della crisi, e chiedeva ad Obama di fare lo stesso. McCain ha chiesto che il primo dibattito televisivo, programmato per stasera, fosse rinviato ad una data da stabilire.
Obama non ha seguito l’esempio di McCain, e insiste nel continuare la campagna elettorale in tutte le sue forme, rimanendo a disposizione del Senato, pronto a rientrare a Washington in qualsiasi momento. Del resto, secondo tutti i sondaggi svolti per i maggiori organi d’informazione americani, la crisi economica gioca a favore di Obama e del partito democratico, ribaltando i rilevamenti che indicavano McCain in vantaggio immediatamente dopo la Convention repubblicana di inizio settembre e la nomina del governatore dell’Alaska, Sarah Palin, come candidato alla vice presidenza. Oggi i sondaggi nazionali indicano Obama in vantaggio per un minimo di due punti percentuali, come nel caso della NBC News/Wall Street Journal, al massimo di nove punti, come nel caso della ABC News/Washington Post. Anche il sondaggio condotto per la catena televisiva Fox News, canale vicino ai repubblicani, indica Obama in vantaggio per sei punti percentuali nei sondaggi nazionali.
Ancora una volta, le indicazioni sono che sarà l’economia a decidere come voteranno gli americani nelle presidenziali che si svolgeranno fra poco più di cinque settimane.
Pubblicato sull’Avanti! del 26 settembre 2008 in prima pagina.
Un commento su “L’economia USA va giù, Obama va su”
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