Le nomine di Obama: “Change” sì, ma graduale

Anthony M. Quattrone

President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Il governo che il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, sta mettendo insieme in questi giorni vede già la presenza di 12 laureati delle più importanti ed esclusive università americane, quelle che compongono la cosiddetta “Ivy League”.  Ci sono accademici, professori, ricercatori, e studiosi e sembra essere tornati ai tempi di John F. Kennedy, quando il giovane presidente raggruppò attorno a se un gruppo di collaboratori definiti in seguito, in un libro del 1972 del giornalista David Halberstam, “the best and the brightest” (i migliori e i più brillanti).

La settimana si è aperta con le nomine che Obama ha fatto per le cariche relative alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, confermando le voci trapelate durante le scorse settimane.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, sarà il nuovo segretario di Stato, il generale dei marines ed ex comandante supremo alleato in Europa, James Jones, sarà il consigliere per la sicurezza nazionale, mentre il repubblicano Robert Gates, l’attuale ministro della difesa del governo Bush, rimarrà al suo posto, almeno per i prossimi sedici mesi.  Obama ha anche nominato un’accademica, esperta per la sicurezza nazionale, Susan Rice, come ambasciatrice americana presso l’Onu, la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, alla sicurezza interna, e il procuratore Eric Holder alla giustizia.  La composizione della squadra della sicurezza nazionale di Obama sembrerebbe indicare un ritorno al ruolo primario della diplomazia nella politica estera americana, senza ridurre, tuttavia, l’importanza della forza militare.

Le forti personalità e la provata esperienza dei collaboratori scelti dal presidente eletto sembrerebbero dimostrare che Obama preferisca persone che hanno grandi capacità intellettuali, piuttosto che persone che dimostrano una fedeltà assoluta al capo.  Obama non vuole che nel suo governo vada avanti la prassi del “group think”, dove un gruppo di collaboratori, apparentemente intenti ad assecondare i desideri del capo, si auto-convincono che una politica o una scelta sia giusta, anche a fronte d’informazioni obiettive che ne sfidano la correttezza.  Secondo molti osservatori americani, la scelta di Kennedy di invadere Cuba nel 1961 fu la conseguenza diretta del group think, dove le voci dissenzienti, fra i collaboratori del presidente, riguardo alla strategia da adottare nei confronti di Fidel Castro, si auto-censurarono dando priorità al pensiero del gruppo.  Il disastro dell’invasione della Baia dei Porci nell’aprile 1961 probabilmente poteva essere evitato se le analisi prodotte dall’intelligence e dal mondo accademico americano a proposito della popolarità di Castro fossero state portate alla conoscenza del presidente.  L’invasione non scatenò la rivolta popolare contro Castro, bensì, fu respinta anche grazie al sostegno che i castristi ebbero dalla popolazione.

Se Obama da un lato vorrà proteggersi dal problema del group think, dall’altro dovrà essere attento affinché la presenza di tante belle menti nel suo governo non crei la presunzione e l’arroganza di avere le risposte a tutti i problemi.  Kennedy si fidò dei “best and the brightest” nel suo governo, i quali finirono per trascinare l’America degli anni sessanta nella giungla vietnamita, come racconta criticamente Halberstam nel suo libro.  Alcuni osservatori sono preoccupati che tante forti personalità all’interno del governo potrebbero creare dissensi ingovernabili, tali da creare una paralisi nell’operato dell’esecutivo.

Le scelte che Obama ha fatto la settimana scorsa per la sua squadra economica, come quelle che ha fatto per la sicurezza nazionale questa settimana, dimostrano che se il presidente eletto ha effettivamente intenzione di cambiare la direzione in cui sta andando il paese, lo farà in un modo graduale e basandosi sui migliori esperti.  Dalle scelte fatte fino ad ora, Obama sta già smentendo coloro che in campagna elettorale spargevano paure di “socialismo” in campo economico, e quelle relative ad una sua presunta ingenuità nel campo della sicurezza nazionale.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

3 pensieri riguardo “Le nomine di Obama: “Change” sì, ma graduale”

  1. Caro Tony, le mie perplessità le avevo già espresse alorquando si paventava la notizia dell’elezione di Hillary Clinton a Segretario di Stato. Le liti internazionali sono tali e tante che richiedevano una personalità molto più capace e con una preparazione politica molto più sperimentata (non basta aver perdonato il marito per una …), lo stesso dicasi per il consigliere politico che non mi sembra abbia fatto grandi cose a Bruxelles. Dell’apparato economico non posso dire niente perché non conosco le persone elette. Mi accorgo però che anche tu hai delle perplessità. Un saluto, Enzo.

  2. Le nomine dimostrano come fossero infondati gli entusiasmi di coloro che vedevano in Obama un radicale cambio di rotta delle politiche statunitensi. Per quanti si aspettavano che l’invstitura di Obama mitigasse l’imperialismo e ponesse il paese su un piano più democratico, in materia di rapporti internazionali, segnalo l’autorevole opinione di uno storico italiano, Franco Cardini, il quale afferma qui che, fino a quando l’Europa non imporrà i suoi punti di vista (cosa che con Bush non ha neanche accennato a fare) gli Stati Uniti manterranno la loro egemonia sull’Europa. Tutt’al più, con Obama, dopo il bastone, ci sarà la carota di una politica multilaterale, quanto meno a livello di una maggiore diplomazia comunicativa, ma siamo comunque destinati a essere sudditi dei nostri cosiddetti alleati.

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