Le coalizioni elettorali nelle campagne presidenziali USA

Anthony M. Quattrone

L’evoluzione del sistema elettorale italiano da un sistema composto di tanti partiti, al sistema bipolare degli ultimi anni, che oggi sembrerebbe tendere verso il bipartitismo, ha dato agli elettori italiani la possibilità di abituarsi fin dal dopoguerra al concetto di coalizione politica costruita su accordi elettorali, in genere fra le dirigenze dei diversi partiti.  Nella realtà americana la situazione è diversa, principalmente perché, da oltre due cent’anni, vige un bipartitismo che lascia poco spazio alla possibilità che altri partiti possano radicarsi o anche riuscire a partecipare alle consultazioni nazionali.  Il concetto di coalizione in America non è, pertanto, legato ai partiti e all’ideologia che questi possono rappresentare, bensì ad altri fattori legati più all’antropologia culturale, agli interessi economici, la sociologia, la demografia, e la stessa geografia del paese.  Per comprendere meglio quanto sta accadendo durante le attuali primarie americane, e quello che succederà nei mesi che precedono le presidenziali del prossimo novembre, è utile comprendere la composizione delle basi elettorali dei due principali partiti, il repubblicano ed il democratico, non tralasciando l’analisi della composizione della gran massa di elettori che non s’identificano nei due partiti.

Secondo uno studio condotto nel 2005 dal Pew Research Center, i democratici formano il 44 percento degli iscritti nelle liste elettorali, mentre i repubblicani formano il 34 percento, e il centro politico, non allineato, forma il 22 percento.  La vittoria di George W. Bush nelle presidenziali del 2004 è da attribuire, secondo questo studio, all’abilità che ebbero i repubblicani nell’attrarre non solo il voto delle tre componenti principali del proprio partito, ma anche il voto di due delle tre componenti che formano il centro.

Se il senatore dell’Illinois, Barack Obama, riuscirà ad agguantare la nomination democratica per le elezioni USA del prossimo novembre, dovrà riuscire non solo ad unire il partito, ma dovrà anche tentare di costruire un’ampia alleanza che miri a conquistare sia quei gruppi che compongono la tradizionale base elettorale democratica, sia quelli che formano il centro politico, che non si identifica né con i repubblicani, né con i democratici, e sono chiamati “swing voters” (gli elettori che oscillano) dai commentatori d’oltreoceano.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, si vantava, fino a qualche mese fa, di essere più eleggibile di qualsiasi altro candidato democratico proprio perché, durante gli ultimi anni, aveva fatto particolare attenzione ad allargare la sua base elettorale, includendo non solo quegli elettori di fede democratica, ma anche molti elementi del centro politico.

Il senatore dell’Arizona, John McCain, il candidato repubblicano in pectore, è già all’opera da diversi mesi nel tentare di unire la base repubblicana, curando particolarmente la destra religiosa che sosteneva l’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, e che lo guarda con sospetto per alcune sue posizioni “aperte” sui temi sociali, mentre tenta, contemporaneamente, di mandare segnali moderati verso gli “swing voters” del centro, rassicurandoli, però, sul tema della sicurezza nazionale.

Analizziamo ora le basi dei tre raggruppamenti, il repubblicano, il democratico, e il centro non allineato.

I repubblicani, secondo lo studio del Pew Research Center, si suddividono in tre gruppi: gli “intraprendenti” (l’11% degli iscritti alle liste elettorali), i conservatori sociali (13%), ed i conservatori statalisti (10%).  Gli intraprendenti sono molto patriottici, fortemente a favore dell’impresa privata, si oppongono ai programmi di welfare, e appoggiano iniziative muscolose in politica estera.  Questo gruppo è formato in larga misura da bianchi, ben istruiti, e benestanti, e oltre tre quarti di questi sono maschi.  I conservatori sociali sono in linea con molte delle idee espresse dagli intraprendenti, ma sono critici nei confronti delle grandi aziende, favoriscono alcuni interventi dello stato per proteggere il bene comune e l’ambiente, e sono preoccupati sul crescente numero di immigranti in America.  Questo gruppo è formato in larga misura da cristiani evangelici bianchi, e oltre la metà vive nel sud.  I conservatori statalisti sono, in genere, conservatori sociali e religiosi, ma favoriscono l’intervento diretto dello stato sia nell’economia, sia nei programmi a favore dei poveri.  Questo gruppo è in larga parte composta di donne, è concentrato nel sud, è in difficoltà economica, ma crede che attraverso l’iniziativa privata o individuale è possibile progredire.  Nel 2004, tuttavia, questo gruppo è quello che ha partecipato di meno nelle consultazioni presidenziali.

I democratici, come i repubblicani, si dividono in tre gruppi: i liberal (il 19% degli iscritti alle liste elettorali), i democratici svantaggiati (10%), ed i democratici conservatori (15%).  I liberal appoggiano le politiche governative a favore dei poveri e le politiche a tutela dell’ambiente, mentre sono contrari alla politica estera basata sulla forza.  Questo gruppo è formato da benestanti, ben istruiti, con posizioni progressiste e laiche sui temi sociali, come la difesa della libertà di espressione e dell’aborto.  I democratici svantaggiati includono molti elettori che fanno parte di minoranze etniche e sono, di solito, meno stabili finanziariamente.  Questo gruppo è composto, in larga parte, da persone con bassi livelli di istruzione, donne, poveri, che sono molto pessimisti sulle opportunità di miglioramenti sia sociali sia economici.  Queste persone hanno poca fiducia sia nell’impresa privata, sia nello stato, ma, tuttavia, appoggiano le iniziative statali a favore dei poveri.  Il terzo gruppo democratico, i conservatori democratici, è composto di persone che sono molto religiose, socialmente conservatrici, e sono moderati sulle questioni di politica estera.  E’ un gruppo composto di anziani, da molti neri e ispanici, e fra tutti i gruppi democratici è quello che crede di più nell’iniziativa personale.

Secondo lo studio del Pew Research Center, il centro è formato da tre gruppi: gli ottimisti (il 13% degli iscritti alle liste elettorali), i disaffezionati (10%), ed i “passanti” (lo 0% fra gli iscritti alle liste elettorali ma il 10% della popolazione in generale).  Gli ottimisti sono relativamente moderati e hanno una visione positiva della propria condizione economica, della performance del governo, dello stato dell’economia, e dello stato della nazione in generale.  Il gruppo degli ottimisti è composto di persone con un ottimo livello di istruzione e sono generalmente ben informati su questioni politiche, anche se non si identificano, ideologicamente, con uno dei due partiti principali.  Nel 2004, gli ottimisti votarono a favore di Bush in rapporto di 4 ad 1.  Il secondo gruppo, i disaffezionati, sono meno istruiti degli ottimisti, hanno difficoltà economiche, e hanno una visione più cinica a riguardo dello stato e dell’economia.  Nel 2004, quei pochi disaffezionati che andarono a votare scelsero, in larga parte, di appoggiare Bush.  Il terzo gruppo al centro sono i “passanti” della politica, che rimango sul “bordo campo” a guardare senza partecipare.  Secondo la ricerca del Pew Research Center, questo gruppo è composto, in larga parte, da giovani che non sono nemmeno iscritti alle liste elettorali.

Gli strateghi dei due partiti conoscono le statistiche del Pew Research Center, e, quando le abbinano ai risultati di altri studi, sanno che per un repubblicano è assolutamente necessario allargare la base elettorale verso il centro senza alienare la componente più conservatrice del partito.  Il filo conduttore che può unire i repubblicani al centro rimane la questione della sicurezza nazionale.  In questi giorni, McCain sta ripresentando questo tema come impegno principale della presidenza, mettendo in secondo piano tutti gli altri argomenti.  Il recente discorso di Bush alla Knesset israeliana, in cui ha attaccato qualsiasi “cedimento” verso i terroristi, fra cui anche il dialogo con paesi come l’Iran, è stato ampiamente sfruttato da McCain per riproporre quello che i democratici chiamano la politica della paura.  Se McCain riesce a convincere gli americani che solo una politica muscolare può garantire la sicurezza del paese, potrebbe anche superare la diffidenza che incontra da parte della destra religiosa, e creare simpatie al centro.

A causa della continuazione delle primarie, in casa democratica si parte con notevole ritardo nel costruire la grande coalizione necessaria per portare il proprio candidato alla Casa Bianca.  Ora che i numeri indicano che Obama è vicino al traguardo della nomination, alcuni esponenti democratici, rappresentativi delle diverse anime del partito, hanno iniziato il difficile lavoro di cucitura necessario per assicurare ad Obama il voto di tutto il pianeta democratico, ed anche quello di molti “ottimisti” del centro politico.  E’ necessario unire i liberal delle grandi città con gli afro americani, gli ispanici, i cattolici, gli ebrei, i lavoratori bianchi poco istruiti e con redditi bassi, con i conservatori democratici del sud.

Obama ha già il sostegno dei liberal e degli afro americani.  Con l’aiuto dell’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, sta partendo alla conquista dei bianchi che lavorano nelle grandi industrie e dei cosiddetti democratici svantaggiati –sono già diversi i sindacati industriali che hanno dichiarato di sostenere Obama, dopo che Edwards ha dichiarato di appoggiarlo.  Con l’aiuto del governatore ispanico del New Mexico, Bill Richardson, Obama va alla conquista del voto degli americani di origine ispanica.  Mancano ancora all’appello gli intellettuali ebrei, anche se molti di loro sono anche liberal. Ora che la senatrice Clinton ha deciso di appoggiare Obama, sarà lei stessa a garantirgli il sostegno dei conservatori democratici del sud, che proprio nel West Virginia le hanno dato una trionfale vittoria con il 67 percento di gradimento nelle primarie del 12 maggio, e dei cattolici americani, che in Pennsylvania le hanno dato il 72 percento del loro voto.

Gli strateghi di Obama e del partito democratico in generale, tuttavia, sanno che sarà necessario attaccare McCain molto intensamente proprio sulla questione della sicurezza nazionale, accostandolo il più possibile al presidente Bush, e all’impopolare guerra in Iraq.  Mentre è necessario costruire un’alleanza forte per tenere assieme tutte le componenti della variegata base elettorale democratica, solo conquistando gli swing voters del centro politico, particolarmente attenti alla questione della sicurezza nazionale, sarà possibile per Obama di vincere contro McCain.  Il tallone di Achille di Obama potrebbe essere il tema della sicurezza nazionale, ed è su questo che McCain sta già tentando di metterlo in cattiva luce.

Pubblicato sull’Avanti! del 25 maggio 2008

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.