L’America del “yes, we can!” ha scelto Obama

I democratici vincono anche al Congresso

President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)
President-elect Barack Obama waves after giving his acceptance speech at Grant Park in Chicago Tuesday night, Nov. 4, 2008. (AP Photo/Morry Gash)

Anthony M. Quattrone

L’America ha scelto il suo presidente: sarà il senatore democratico dell’Illinois, Barack Hussein Obama, a guidare gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, forte del consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Le elezioni del 2008 saranno ricordate non solo come le più costose nella storia degli Stati Uniti, con oltre un miliardo e mezzo di dollari spesi dai due partiti e dai diversi candidati durante le primarie e la fase finale delle presidenziali, ma anche perchè sono le prime che hanno coinvolto in modo totale l’intera comunità mondiale, sia per i possibili risvolti che la politica presidenziale americana possa avere sulle relazioni internazionali, sia per l’immediatezza delle notizie provenienti dall’America.

L’elezione di Obama va incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scelga la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mette l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. La politica di Obama, come è stata prospettata durante i 21 mesi di campagna elettorale, è una combinazione di idealismo progressista, tipicamente americano, abbinato ad un profondo senso di realismo per quanto riguarda i problemi dell’economica, i temi legati all’approvvigionamento delle fonti di energia, e i pericoli derivanti dalla costante minaccia posta dal terrorismo mondiale. La vittoria di Obama è anche quella del sogno americano, non solo per quello che il presidente in pectore propone, ma anche perchè lui stesso è la dimostrazione della vitalità, del dinamismo, e dell’apertura della società americana. Il discorso di concessione della vittoria, fatta da McCain poco dopo le 5 del mattino (ora italiana), è anch’esso la dimostrazione che l’America è pronta al cambiamento: McCain ha messo in risalto non solo il momento storico caratterizzato dalla vittoria per la presidenza di un nero, ma anche la grande capacità di Obama di ispirare milioni di americani, e gli ha promesso l’appoggio incondizionato per unire il paese per superare tutte le difficoltà del momento.

La vittoria di Obama, prima contro la senatrice di New York, Hillary Clinton, per la nomina a candidato presidenziale democratico, e poi contro McCain, per la presidenza, conferma la volontà degli americani di svoltare pagina, di non prestar fede più al paradigma secondo il quale “quello che va bene per il business, le imprese, va bene per l’America”. Nel discorso che ha tenuto dinnanzi alla folla festante radunata al Grant Park di Chicago, Obama ha sottolineato che l’America ha scelto che non si dovrà più misurare la qualità della vita in termini di dividendi trimestrali da pagare agli azionisti, ma in termini di benessere totale per i suoi cittadini, in termini di pari opportunità, di qualità delle scuole, di accesso ad un sistema sanitario efficiente e abbordabile per tutti gli americani, e di nuova attenzione per i temi dell’energia e dell’ambiente. Obama ha sottolineato la necessità di unire il paese per permettere agli americani di “riappropriarsi del sogno americano”.

Gli americani hanno partecipato in modo massiccio durante ogni fase di queste presidenziali, che sono partite 21 mesi fa. Milioni di americani hanno partecipato durante le primarie democratiche e repubblicane, e oltre 110 milioni hanno votato per scegliere il nuovo presidente. Alla fine, Obama ha vinto con oltre il 52% del voto popolare, e, al momento, ha ottenuto 349 dei 538 grandi elettori in palio, e, pertanto, il 20 gennaio giurerà dinnanzi al Congresso, la fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti, diventando il 44mo presidente degli USA.

La vittoria democratica al Congresso, con la conquista di una maggioranza netta al Senato e la conferma della vittoria già ottenuta nel 2006 alla Camera, permetterà all’amministrazione Obama di portare avanti, immediatamente, una serie di iniziative economiche e sociali di portata storica. Obama promette una sostanziale riforma del sistema sanitario nazionale, investimenti per il rinnovamento delle infrastrutture nazionali e nel campo dell’energia rinnovabile, e la creazione di milioni di posti di lavoro per alleviare in tempi brevi la forte pressione che le famiglie americane stanno subendo a causa della prolungata crisi economica.

Gli exit poll hanno chiaramente indicato che per gli americani i temi principali che hanno influenzato il loro voto sono stati, in ordine, l’economia, la guerra in Iraq, il sistema sanitario, la sicurezza nazionale. La paura del pericolo terrorista, e l’importanza della sicurezza nazionale, usati come spauracchi contro il giovane candidato afro americano, non hanno avuto l’effetto voluto dai repubblicani. La mancanza di esperienza di Obama in campo militare e nei temi della sicurezza nazionale, sono ampiamente compensati, nel giudizio degli americani, dalla brillantezza del suo modo di pensare e dalla dimostrazione di grande intelligenza e conoscenza degli argomenti.

L’immagine e lo stile di Obama sono presidenziali. La fiducia e l’entusiasmo del paese è tutto per lui. Il suo carisma e la sua leadership possono far scoccare la scintilla del rinnovamento americano e mondiale, possibilmente aprendo una nuova era di prosperità e di “sogno americano”. Ora inizia il periodo di transizione dalla vecchia amministrazione alla nuova, e Obama dovrà scegliere i membri del nuovo governo. La scelta dei nomi farà capire quanto Obama intenda realmente cambiare il paese e quanto sia  interessato ad unirlo. Nell’interesse dell’America e del mondo intero, l’augurio non può essere altro che quello di “Buon lavoro, Mr. President!”

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

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