L’agenda economica ed estera di Obama

US 100 dollar notes are checked at a bank. US authorities launched a new phase of their bank rescue plan including a requirement for so-called stress tests on the "capital adequacy" of troubled major commercial banks. (AFP/File/Jung Yeon-Je)
US 100 dollar notes are checked at a bank. US authorities launched a new phase of their bank rescue plan including a requirement for so-called stress tests on the "capital adequacy" of troubled major commercial banks. (AFP/File/Jung Yeon-Je)

Marco Maniaci

L’era Obama è appena cominciata e si inizia a respirare già l’aria del cambiamento.  La sfida che sta affrontando è difficile, ma il nuovo presidente lo sta facendo a muso duro e nel migliore dei modi, almeno in questa prima fase.

Le priorità in questo momento sono tante e l’agenda presidenziale è ricca di appuntamenti, a partire dalla soluzione della crisi che sta investendo il mondo economico che senza una giusta cura potrebbe mettere totalmente in ginocchio gli Stati Uniti d’America.  Il PIL americano ha subito nell’ultimo trimestre la più forte contrazione dall’inizio degli anni ’80, circa 3,8%.  Secondo molti analisti questo dato dimostra la possibilità che il peggio deve ancora venire.   Anche Obama non si è nascosto:  per lui il PIL non è solo un concetto numerico-economico , ma significa anche il disastro che si sta abbattendo sulle famiglie americane. Il primo round di questa battaglia Obama  l’ha vinto: è riuscito, infatti, a far approvare dal senato il maxi-piano di salvataggio dell’economia americana, una manovra da 787 miliardi di dollari. Il piano prevede  una forte riduzione della pressione fiscale sulle famiglie americane e una serie di sgravi fiscali per le aziende. Una voce importante è quella riguardante i fondi per l’ammodernamento di ponti e strade. Per evitare il collasso appunto, il nuovo inquilino della Casa Bianca utilizzerà  questi soldi approntando delle misure sulla scia del New Deal di Roosevelt:  il rifacimento di intere strade, ponti, palazzi e altre opere edilizie che non sono state ristrutturate negli Stati Uniti da quasi cento anni, potrebbe almeno salvare tantissimi posti di lavoro creando nuova occupazione.

Ma la sfida di Obama è ancora più grande e per ampliare l’occupazione, messa a rischio dalla crisi, si sta anche progettando  la modernizzazione del sistema informatico americano. Il presidente Obama,  inoltre, ha indirizzando la sua azione anche verso una nuova politica ecologica, che poi è strettamente legata alla questione energetica.  Infatti il nuovo corso di Obama in politica economica si può definire un New Deal verde.  Il neopresidente si sta apprestando a portare una rivoluzione nel mondo del mercato automobilistico con la revisione delle leggi Bush in materia di gas di scarico.  Il presidente ha autorizzato la California e altri 13 stati dell’unione a fissare standard più severi sui gas di scarico delle automobili e in generale anche un netto miglioramento dell’efficienza energetica. Questa nuova politica è anche il coronamento dell’azione guidata dal governatore Schwarzenneger e da altri governatori dell’Unione, i quali erano fortemente critici verso la politica ambientale dell’ex presidente Bush.

Il presidente americano ha anche portato una nuova ventata di ottimismo nei rapporti con i partner internazionali. Il G7 che si è tenuto in questi giorni a Roma tra i ministri dell’economia dei sette paesi più industrializzati oltre a fissare dei nuovi punti per riscrivere le regole del nuovo ordine mondiale del sistema finanziario cercando di creare una nuova Bretton Woods, ha portato anche un nuovo corso nei rapporti economici tra gli USA e gli altri stati:”Gli Stati Uniti collaboreranno con i partner del G7 e del G20 per costruire il consenso sulla riforma del sistema finanziario”, sono queste le parole del nuovo segretario al tesoro americano Timothy Geithner, aggiungendo che “gli Stati Uniti resisteranno ad ogni forma di protezionismo”.

Nell’agenda del neopresidente statunitense non c’è solo la crisi economica ma anche i rapporti internazionali. Su questo punto l’insediamento di Obama è coinciso con una delle più gravi crisi che si siano verificate in medioriente in questi anni, tra israeliani e palestinesi.  Non a caso uno dei primi atti da presidente è stato quello di telefonare a tutti i leader coinvolti nella crisi a partire dal leader palestinese Abu Mazzen.  Il presidente Obama ha poi chiamato anche gli altri leader:  il premier  uscente Olmert, il re di Giordania e Mubarak.  A parte le telefonate va rilevata l’immediata importanza che è stata data alla questione israelo-palestinese come ha rilevato il portavoce della Casa Bianca, mettendo in risalto che Obama ha dato importanza alla soluzione del conflitto mediorientale all’inizio del suo mandato e non alla fine come invece il suo predecessore. Per la soluzione della crisi israelo-palestinese bisognerà attendere,però, i risultati delle elezione e soprattutto sciogliere il nodo della formazione del nuovo governo.

Obama ha avuto poi anche un colloquio telefonico con il presidente russo Medvedev, nel quale i due hanno discusso dell’opportunità di mettere fine all’allontanamento delle relazioni che c’è tra i due paesi : “i due presidenti hanno concordato , essendo entrambi nuovi leader di una generazione post Guerra fredda , di avere una opportunità unica per creare un tipo di relazioni fondamentalmente diverse tra i due paesi” , dice la nota della Casa Bianca.  A tal proposito non va dimenticata la questione georgiana che fino a pochi mesi fa aveva reso roventi i rapporti tra Washington e la NATO da una parte e Mosca dall’altra. Probabilmente i russi sono anche felici di avere Obama come controparte, per le sue posizioni avverse nei confronti del progetto dello Scudo Spaziale.

Ma non bisogna dimenticare i rapporti con gli alleati.  Obama dovrà convincerli dell’opportunità di un aumento delle forze NATO sul fronte afghano.  C’è da sottolineare anche la svolta nelle relazione con il mondo musulmano.  Non a caso Obama per la prima intervista da presidente ha scelto una tv araba, dichiarando al mondo musulmano :” gli americani non sono vostri nemici”.  Gesti questi assai distensivi che segnano una svolta nella politica estera americana e ci fanno percepire che forse il cambiamento ci sarà.

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