La transizione da Bush ad Obama è iniziata

President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)
President George W. Bush greets President-elect Barack Obama as he arrives to the White House in Washington, November 10, 2008. (Jim Bourg/Reuters)

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto americano, Barack Obama, ha iniziato il lavoro per la transizione alla Casa Bianca, che si concluderà con l’insediamento del 20 gennaio 2009, quando presterà il giuramento di fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Secondo le migliori tradizioni americane, il presidente in carica, George W. Bush, e la sua amministrazione garantiranno al nuovo governo un passaggio di consegne senza intoppi, specialmente in considerazione che il Paese è attualmente impegnato su due fronti militari abbastanza impegnativi e sta affrontando una crisi economica, forse senza precedenti.

I primi due collaboratori scelti dal presidente eletto, per attuare la transizione, sembrano indicare chiaramente che il neo eletto presidente vorrà seguire una traiettoria progressista nella formazione del suo governo. Obama ha nominato, per il ruolo di Capo di Gabinetto, un clintoniano di ferro, il deputato democratico dell’Illinois, Rahm Emanuel, considerato un grande amico d’Israele, un liberal nel campo della politica sociale ed economica, ma anche un politico molto pragmatico ed un profondo conoscitore dei meccanismi del Congresso.  Obama ha scelto Joseph Podesta, l’ex Capo di Gabinetto di Bill Clinton, da affiancare a Valerie Jarrett e Pete Rouse, che già facevano parte della cerchia ristretta di suoi collaboratori, per guidare la squadra responsabile per la transizione fra l’amministrazione in carica e quella del futuro presidente.  Podesta è da diversi giorni al lavoro con lo staff di Bush, assieme ad un centinaio di collaboratori democratici, già in possesso di un nulla osta di segretezza, che si affiancheranno alle loro controparti repubblicane per i prossimi due mesi.

Secondo il portavoce del presidente eletto, Stephanie Cutter, nessuna nomina per le cariche nel nuovo governo dovrebbe essere annunciata durante questa settimana, ma Obama potrebbe comunicare la scelta di consiglieri che dovrebbero affiancarlo durante la sua presidenza.  L’attenzione degli organi d’informazione americani si stanno focalizzando sulla promessa che Obama ha fatto, durante la sua campagna elettorale, di nominare anche alcuni repubblicani a ricoprire ruoli di prestigio all’interno della sua amministrazione.  Secondo la stampa americana, il generale Colin Powell, l’ex Segretario di stato del primo governo dell’attuale presidente Bush, potrebbe essere in lizza per il ministero della pubblica istruzione.  Si ricorda che Powell ha dato il suo sostegno ad Obama proprio a qualche settimana dalle elezioni, forse garantendogli il voto di molti indecisi.  Il senatore repubblicano del Nebraska, Chuck Hagel, è un possibile candidato per la Difesa, mentre il senatore repubblicano dell’Illinois, Richard Lugar, potrebbe aspirare a diventare il Segretario di stato.  In passato, anche Bill Clinton scelse di nominare un repubblicano alla difesa, forse per alleviare le preoccupazioni dei vertici militari, ma non sarebbe ipotizzabile che Obama nomini dei repubblicani sia alla difesa, sia agli esteri, e, pertanto è più probabile che un repubblicano vada alla difesa, mentre la scelta agli esteri potrebbe ricadere su un democratico, come il senatore del Massachusetts, John Kerry, o sull’ambasciatore Richard Holbrooke. 

Le indiscrezioni che provengono dal campo di Obama non riguardano solo la possibile futura composizione del governo, ma anche le iniziative che il nuovo presidente potrebbe prendere già dal primo giorno alla Casa Bianca.  Attraverso l’uso dell’Executive Order, il decreto presidenziale, Obama potrebbe immediatamente ribaltare alcune decisioni prese dal presidente Bush, e attuarne altre di matrice progressista.  Obama ha cercato di abbassare le attese dell’ala più progressista fra i democratici, specialmente sui temi sociali e morali, come nel caso della ricerca scientifica sulle cellule staminali, ricordando che cercherà di prendere decisioni, specialmente su temi più controversi, attraverso procedure che creino il massimo del consenso, o, che almeno diano a tutte le parti la possibilità di esprimere le proprie opinioni e preoccupazioni.  Nel caso dei decreti presidenziali, Obama cercherà di ascoltare i leader democratici e repubblicani al Congresso prima di metterli in atto.

Mentre Obama ha ripetuto che la sua attenzione immediata andrà alla crisi economica, le organizzazioni per i diritti civili e i pacifisti gli hanno ricordato che ha promesso, in campagna elettorale, di prendere iniziative per la chiusura della prigione di Guantanamo già dal primo giorno della sua presidenza, e che avrebbe stabilito subito una tabella di marcia per il ritiro delle truppe dall’Iraq.

La capacità di Obama di unire il paese attorno ad un programma condiviso sarà messa a dura prova sia durante il periodo della transizione fra il governo uscente e il nuovo, sia nei primi cento giorni della sua presidenza.  Il Congresso attualmente in carica è ancora quello vecchio dove i democratici hanno una forte maggioranza alla Camera e un vantaggio minimo al Senato, mentre dal primo gennaio la maggioranza democratica sarà forte in entrambe aule.  Se il giovane presidente decidesse di spingere troppo a sinistra sui temi sociali, così come se in campo economico non dimostrasse di voler veramente abbassare le tasse per il ceto medio, l’ala conservatrice del partito democratico potrebbe unirsi ai repubblicani.  La strada davanti ad Obama è, pertanto, piena di ostacoli, e molti di questi potrebbero essere posti proprio da membri del suo stesso partito.

Obama dovrà cercare di trasformare la sua visione, quella di un’America unita e proiettata verso il domani, in azioni concrete che diano alla maggioranza degli americani una rinata fiducia nel futuro, se non addirittura un benessere immediato. Così potrà superare contrasti e differenze di vedute fra le varie frange dei suoi sostenitori, neutralizzare l’opposizione repubblicana, e creare consenso fra la stragrande maggioranza degli americani.  Cercare di accontentare le diverse frange e le correnti fra i suoi sostenitori, specialmente quelle più oltranziste e settarie, lo allontanerebbe dai cittadini, e sicuramente tradirebbe il “sogno” che lo ha portato alla vittoria.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.