Anthony M. Quattrone
Sono 192 i delegati in palio nelle primarie democratiche che si svolgono oggi in Indiana e in Nord Carolina. Secondo i più recenti sondaggi, il senatore dell’Illinois, Barack Obama, è in vantaggio sulla senatrice di New York, Hillary Clinton, nel Nord Carolina, dove è forte la presenza dell’elettorato afro americano, ma è in svantaggio nell’Indiana, dove Clinton può contare sul sostegno di una forte e radicata base di lavoratori industriali. Dopo le primarie che si sono svolte in Pennsylvania il 22 aprile, che hanno visto la vittoria della senatrice di New York con l’assegnazione di 85 delegati contro i 73 per Obama, quest’ultimo ha vinto la consultazione del 3 maggio, che si è tenuta nel territorio americano di Guam, dove, però, a causa del basso scarto dei voti fra i due contendenti, i quattro delegati in palio sono stati divisi equamente.
Se i risultati previsti dai sondaggi per le primarie odierne fossero confermati, l’assegnazione dei delegati non dovrebbe causare grossi scossoni nell’assetto finora determinato nella gara fra i democratici. Obama ha vinto 1.491 delegati e ha il sostegno dichiarato di 251 superdelegati, per un totale di 1.742. Clinton ha vinto 1.337 delegati e ha il sostegno di 269 superdelegati, per un totale di 1.606. Solo una vittoria di Hillary Clinton in entrambe le consultazioni, con margini di oltre 15 punti percentuali, potrebbe determinare un’inversione della tendenza che oggi vede Obama ottenere inaspettati sostegni anche fra i superdelegati, che finora si erano schierati in maggioranza per Clinton. L’ultima defezione fra questi ultimi è avvenuta durante l’ultima settimana, quando Joe Andrew, ex presidente del partito democratico, ha deciso di spostare il suo voto su Obama.
Lo scontro fra Clinton e Obama si svolge più sul terreno delle qualifiche e dell’idoneità per diventare presidente degli Stati Uniti, che sui temi di politica generale, dove le differenze fra i due democratici sono difficili da percepire. Sull’economia, entrambi i candidati favoriscono iniziative che mirano a sostenere l’aumento dell’occupazione, la riduzione della pressione fiscale sui ceti medi, la riforma del sistema sanitario, e una nuova politica estera che miri a far riguadagnare all’America il prestigio che avrebbe perso con l’amministrazione del presidente George W. Bush. La squadra della Clinton punta sull’esperienza della senatrice in politica economica e in quella estera, mentre i collaboratori di Obama ribadiscono che è proprio il tipo di esperienza ed il pesante bagaglio che la Clinton si porta appresso, che le impedirebbero di attuare i cambiamenti di cui ha bisogno il paese, sia in politica economica, sia in quella estera.
In campo economico, lo scontro fra Clinton e Obama si è spostato dalla riforma del sistema sanitario alla proposta lanciata dal senatore dell’Arizona, John McCain, il candidato repubblicano alla presidenza, per la sospensione delle tasse federali sulla benzina per un breve periodo, dal Memorial Day (a fine maggio) fino al Labor Day (ad inizio di settembre), per dare respiro ai cittadini americani. La “gas-tax holiday” (vacanza dalla tassazione della benzina) è stata immediatamente ripresa dalla Clinton, ma totalmente rigettata da Obama. Clinton propone di attuare la proposta di McCain, rimpiazzando i redditi che verrebbero a mancare durante la gas-tax holiday, che servono per finanziare la manutenzione delle infrastrutture stradali americane, con una speciale tassazione sugli inaspettati grandi profitti che hanno registrato le compagnie petrolifere, mentre McCain non propone alcuna sostituzione del mancato reddito. Obama denuncia la gas-tax holiday proposta da McCain, e subito accettata dalla Clinton, come “pura demagogia della vecchia politica di Washington”, perché alla fine del periodo dell’attuazione della misura, gli americani si troverebbero con un risparmio che non supera i 30 dollari in media, a testa. Per Obama, “la sospensione della tassazione sul carburante, non serve per superare la crisi economica, ma solo per farsi eleggere”.
In politica estera, Hillary Clinton tenta di dimostrare agli americani di essere estremamente forte e determinata nel difendere gli interessi nazionali, facendo la voce grossa nei confronti dell’Iran. Durante un’intervista trasmessa dalla rete televisiva americana ABC il 22 aprile, rispondendo ad una domanda su cosa farebbe in caso di un attacco nucleare contro Israele da parte dell’Iran, Hillary Clinton aveva dichiarato che non avrebbe esitato a cancellare l’Iran dalla faccia della terra. In un’intervista con la stessa rete televisiva il 4 maggio, la Clinton ha confermato il suo pensiero. Obama, ha duramente criticato le affermazioni di Clinton, durante un’intervista con Meet the Press del 4 maggio della rete televisiva NBC, affermando che “non è il tipo di linguaggio di cui abbiamo bisogno, e penso che sia un parlare che riflette il modo di fare di George Bush. Abbiamo avuto una politica estera caratterizzata dal fracasso e dallo scuotere rumorosamente delle sciabole, da un parlare molto duro, mentre abbiamo preso una serie di decisioni strategiche che hanno, di fatto, rafforzato l’Iran”.
Nei sondaggi nazionali, la media dei rilevamenti fra il 25 aprile e il 3 maggio riporta una sostanziale parità nello scontro fra il repubblicano McCain ed entrambi i candidati democratici. McCain è in vantaggio su Obama per una media di 45,5 a 44,8 percento. Clinton è in vantaggio su McCain per una media di 46,3 a 44,2 percento. Nello scontro fra i democratici, secondo gli stessi rilevamenti, Obama è in vantaggio su Clinton, per una media di 45,5 contro 43,3 percento.
Gli analisti americani notano che John McCain tiene anche a fronte del naturale accostamento che i democratici e gli organi di informazioni fanno fra lui e il presidente repubblicano Bush. Il presidente, in questo momento gode della massima impopolarità, che secondo un sondaggio della CNN, pubblicato il 30 aprile, ha toccato il 71 percento, addirittura superando quello di Richard Nixon nell’agosto del 1974, dopo la crisi Watergate. La capacità di McCain di tenere banco ai democratici sarà duramente messa alla prova solo dopo che il partito avrà scelto il candidato da contrapporgli. Gli strateghi del partito democratico, tuttavia, sono preoccupati che se i democratici non riuscissero a scegliere il candidato entro la fine delle primarie, il 3 giugno, o prima della Convention di Denver a fine agosto, la posizione di McCain potrebbe rafforzarsi notevolmente, e la battaglia dei democratici per la Casa Bianca sarà davvero tutta in salita.
Pubblicato il 6 maggio 2008 sull’Avanti!.