Non si conoscono ancora i nomi di ben 76 superdelegati
ANTHONY M. QUATTRONE
La competizione per la nomina del candidato democratico per le presidenziali USA del 2008 si sta svolgendo su due piani: quello della lotta per conquistare i delegati in palio attraverso le consultazioni elettorali nei diversi stati e territori americani, e quello meno trasparente, ma altrettanto importante, per ottenere il sostegno dei “superdelegati”. Il senatore dell’Illinois, Barack Obama, conduce sulla senatrice di New York, Hillary Clinton, nella conta dei delegati assegnati attraverso le consultazioni, per 1.415 a 1.251. Durante le prossime le prossime 10 competizioni e attraverso il completamento dell’assegnazione dei delegati per alcune competizioni che si sono già fatte, sono in palio 587 delegati. Nessuno dei due candidati, pertanto, può matematicamente raggiungere quota 2.025 che servirebbero per ottenere la nomination ancora prima della Convention che si svolgerà il prossimo agosto a Denver, Colorado.
In questo quadro, i 796 superdelegati, che possono scegliere come votare senza alcun vincolo, sono corteggiati dai collaboratori dei due candidati e determineranno chi sarà il candidato presidenziale. Al momento, Clinton può contare sul sostegno dichiarato da parte di 251 superdelegati, mentre Obama può contare su 222. La somma dei delegati più i superdelegati vede Obama in vantaggio con 1.637 contro 1.502 per Clinton. Pertanto, oltre a continuare a battersi per vincere delegati durante le consultazioni elettorali, è diventato di importanza strategica ottenere il sostegno del massimo numero di superdelegati. Vincere per qualche punto percentuale in più nelle prossime consultazioni può avere un peso poco rilevante in termini di assegnazioni dei delegati, mentre la possibilità di ottenere il sostegno di alcuni superdelegati particolarmente potenti ed influenti può risultare più efficiente ed efficace ai fini della nomination.
I superdelegati sono, in larga parte, deputati, senatori, governatori, e altre personalità elette a cariche pubbliche, ma includono anche funzionari di partito a livello nazionale e statale. Alcuni superdelegati hanno la capacità di influenzare il voto dei colleghi, sia per la loro statura politica, sia attraverso una serie di trattative che vanno ben oltre la semplice simpatia politica, e fanno parte di un raffinato gioco di potere, dove un favore politico può essere riscosso in termini di cariche per se o per i propri collaboratori, o in termini di accorgimenti particolari nei bilanci federali che saranno approvati una volta che il candidato presidente va al potere. Il ruolo delle lobby e dei gruppi di pressione, non solo quelli a carattere economico, come nel caso delle organizzazioni che sostengono i diritti civili o alcune formazioni religiose, è particolarmente decisivo nella scelta delle alleanze e nei compromessi da proporre.
Attualmente, 20 dei 56 presidenti delle sezioni statali e territoriali del partito democratico hanno deciso di schierarsi pubblicamente: 12 sono per Obama e 8 per Clinton. Fra i 20 governatori che hanno dichiarato la loro preferenza, vige la parità, con 10 a testa. L’ex presidente Jimmy Carter ha lasciato intendere, ma non lo ha dichiarato esplicitamente, che voterà per Obama, mentre altre figure storiche del partito, come il senatore del Massachusetts, Ted Kennedy, e l’ex candidato democratico alle presidenziali del 2004, il senatore John Kerry, lo hanno dichiarato apertamente.
Il presidente della camera americana, la democratica Nancy Pelosi, anche lei una superdelegata, sostiene che i superdelegati dovrebbero votare seguendo le indicazioni popolari che provengono dalle consultazioni elettorali per evitare di creare una spaccatura fra la struttura del partito democratico e la base elettorale democratica. Altri, come la stessa senatrice Clinton, sono a favore di una totale libertà di voto, non solo per i superdelegati, ma anche per gli stessi delegati che sono stati scelti attraverso le consultazioni.
Non è ancora chiaro che ruolo potrebbero giocare i 76 superdelegati che non sono ancora stati nominati dal partito. Questi superdelegati saranno scelti dai presidenti dei 50 partiti democratici statali. Ogni stato ne potrà scegliere almeno uno, mentre alcuni stati con un maggior numero di elettori democratici, potranno sceglierne di più, come nel caso della California, che ne potrà nominare cinque. Quasi la metà degli stati, fra cui la California, la Georgia, e l’Ohio, scelgono i superdelegati da una lista presentata dal presidente del partito statale. In altri stati, un formale congresso del partito sceglierà i superdelegati. In passato, i 76 superdelegati hanno incluso esponenti sindacali, democratici eletti in cariche minori, ed anche grandi donatori finanziari.
Se il partito democratico non riesce a scegliere il candidato presidente entro il 3 giugno, quando finiranno le consultazioni elettorali, i 247 superdelegati che non si sono ancora schierati assieme ai 76 che non sono stati ancora nominati, finiranno per scegliere il candidato democratico da contrapporre a quello repubblicano, il senatore dell’Arizona, John McCain. La direzione del partito democratico è preoccupata, nel caso in cui la decisione dei superdelegati non rispecchi la volontà della maggioranza dei democratici che hanno partecipato in modo massiccio alle primarie, che si possa creare una lacerazione fra la base elettorale democratica e la burocrazia di partito, alienando gli elettori, e, pertanto, penalizzando anche in modo decisivo chiunque sarà il candidato democratico nelle elezioni del prossimo novembre.
Pubblicato l’8 aprile 2008 su Agenzia Radicale.