Crisi economica Usa e il ruolo della Cina

US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Marts 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)
US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Mart's 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)

Obama agli americani: “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”

Marco Maniaci

La più affascinante sfida politica della storia americana è appena cominciata, ma quello che attende l’ormai ex senatore dell’Illinois è di quanto più arduo ci possa essere. “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”, sono queste le parole che ha usato Barack Obama nel suo primo discorso radiofonico dopo aver vinto le elezioni presidenziali Usa.  Considerata la situazione, il futuro inquilino della Casa Bianca è costretto a dare priorità alla situazione economica attuale e alla crisi finanziaria.  Probabilmente, solo dopo la grande crisi del ’29 e la conseguente “grande depressione”, un presidente appena eletto aveva sulle proprie spalle un peso come quello che in pratica ora attanaglia Obama:  il peso di risollevare l’economia e la finanza della più grande superpotenza mondiale, dai cui destini dipendono, per ora, il futuro del mondo e soprattutto dell’Occidente.

Dalle prime indicazioni, sembra che Obama, per risollevare l’America dalla crisi, utilizzerà una ricetta a base di politiche fiscali espansive, almeno per quello che riguarda la politica interna.  E’ probabile che il nuovo presidente annuncerà uno stimolo fiscale, così come probabilmente avrebbe fatto anche McCain se avesse vinto.  Chiaramente, l’elezione di un democratico ha dato forza a coloro che intendono uscire dalla crisi e dalla conseguente recessione con un forte intervento da parte dello Stato attraverso incentivi fiscali e l’aumento della spesa pubblica.  In particolare, gli osservatori americani si aspettano che il nuovo Presidente si concentri sul problema dei mutui e del crollo del mercato immobiliare, che coinvolge milioni di americani del ceto medio.  Infatti, è stato già predisposto dal governo Bush un fondo anti-pignoramento per circa 10 miliardi di dollari e altri sgravi a favore delle famiglie della classe media, e la nuova amministrazione sarà chiamata ad ampliare le misure a favore del ceto medio.  Le banche che hanno avuto o avranno aiuti pubblici saranno chiamati a rinegoziare i mutui con i clienti insolventi.

Il presidente eletto prevede anche grandi aiuti alle imprese sotto forma di incentivi.  I consulenti di Obama prevedono tagli fiscali immediati per circa 65 miliardi di dollari e un aumento della spesa per 135 miliardi.   La nuova amministrazione dovrà tenere in considerazione, però, anche il forte aiuto dato dal Presidente uscente Bush, con il piano di salvataggio da 700 miliardi dollari, approvato dal Congresso a maggioranza democratica, che pesa già come un macigno sul debito pubblico statunitense.

I mercati finanziari, con Wall Street in testa, non hanno salutato, almeno per il momento, nel migliore dei modi la vittoria del candidato democratico.  Gli operatori finanziari sono preoccupati perchè c’è un’indicazione che la nuova politica economica metterà sotto torchio i signori della grande finanza che, secondo molti osservatori, hanno spinto gli Stati Uniti nell’attuale situazione economica. Tradizionalmente, i mercati non vedono di buon occhio un enorme intervento statale sul modello del “New Deal” roosveltiano, ritenendo che ciò potrebbe, in pratica, spiazzare l’iniziativa privata.

Un’altra questione spinosa sarà l’atteggiamento del nuovo presidente per quel che riguarda la politica economica e finanziaria estera.  Ciò che si sta nettamente profilando all’orizzonte, già nel corso dell’attuale terribile tempesta che si è abbattuta sui mercati finanziari, è la possibilità che la Cina ed altri paesi dell’area asiatica possano in pratica sostituirsi agli USA nella guida economica e finanziaria del pianeta.  Così come dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti si sostituirono alla Gran Bretagna nella leadership economica mondiale, quando videro crescere in maniera esponenziale la loro capacità produttiva e di vendita, la Cina e l’oriente si stanno facendo avanti per rimpiazzare il colosso americano.

L’ex primo Ministro Thailandese, Thaksin Shinawatra, il 6 Ottobre scorso, dalle colonne del “Financial Times” proponeva la creazione di un “bond asiatico” per contrastare il peso istituzionale ed economico-finanziario americano.  In pratica una dichiarazione che lascia intendere che a spingere la finanza e l’economia mondiale dovrebbero essere proprio le nuove realtà asiatiche.
La Cina popolare è interessata che la locomotiva americana riparta, perchè ha nel suo portafoglio finanziario, almeno secondo i dati ufficiale del 2007, circa 1.800 miliardi di dollari Usa e altri 700 miliardi di dollari investiti in strumenti finanziari americani, assai diversi tra loro come i “bond del tesoro” o le securities a lunga scadenza delle agenzie americane che si occupano di risollevare determinati settori imprenditoriali, come Fannie Mae e Freddie Mac.

La Cina ha realizzato il suo miracolo economico anche attraverso il sostegno che ha dato al debito americano, perchè Washington è la meta principale delle esportazioni di Pechino.  Se da un lato i cinesi hanno bisogno che l’America acquisti i suoi prodotti, dall’altro non possono permettere che i loro investimenti nei titoli del debito pubblico americano perdano di valore e quindi, almeno per il momento, devono ancora sostenere il colosso a stelle e strisce, sperando che riparta il motore americano.
Molti osservatori si chiedono per quanto tempo ancora i cinesi fungeranno da supporto all’economia americana invece di prendere la guida di quella mondiale? Probabilmente non per molto, ed è per questo motivo che la nuova amministrazione americana dovrà correre ai ripari e cercare di stringere una stretta alleanza con l’Europa.  In un futuro neanche troppo lontano, arriverà il momento del bond asiatico e la possibilità che Pechino subentri a Washinghton nel ruolo di stabilizzatore del sistema economico, prendendone anche la guida.  Il presidente Obama avrà sicuramente capito che solo attraverso un’alleanza strategica fra l’America e il vecchio continente si potranno affrontare le sfide che provengono dalle nuove realtà emergenti, ed in particolare si potrà contrastare la sete di espansione che proviene da dietro la grande muraglia cinese.

3 pensieri riguardo “Crisi economica Usa e il ruolo della Cina”

  1. Marco, la tua analisi, forse priva di riferimenti specifici a supporto delle tue riflessioni, sembrerebbe in sintonia con le tesi che economisti di tutto il mondo sostengono. Io, di contro, sostengo che, avendo l’Occidente capito che la sua economia non potrà dipendere dall’Oriente, creerà delle nuove barriere doganali a difesa della occupazione e dello sviluppo. La Cina NON è più vicina, come si pensava. Saluti, Enzo.

  2. Come confermato dalle borse mondiali, si sta segnalando in questi giorni una netta ripresa dei mercati mondiali grazie soprattutto al piano di investimenti (un’iniezione di fiducia per l’economia) preconizzato da Obama in linea con le politiche fiscali espansive che trovano un precedente nel “New Deal” Roosveltiano.
    Purtroppo l’interdipendenza fa si che le economie di tutto il mondo siano profondamente legate e penso che politiche protezioniste possano essere anacronistiche poichè creerebbero delle “isole solitarie” che poco potrebbero sopravvivere in un mare di “globalizzazione”.
    D’altro canto certamente l’Ue regolamenta gran parte del suo commercio con l’Oriente ed in particolare con la Cina anche puntando il dito sugli standards di produzione e il rispetto per l’ambiente. Io credo sia necessaria una migliore regolamentazione a livello mondiale, piuttosto che una “fuga suicida” dalle “maglie della globalizzazione”, come sostenuto dal Premio Nobel per l’economia, nonchè ex Capo economista della World Bank, Joseph Stiglitz.
    Da respingere non è la globalizzazione, ma i metodi con cui viene gestita…un riformismo globale è possibile.

  3. La Cina sarà il motore economico mondiale del futuro. Gli Usa dovranno prendere atto della loro incapacità di sostenere il peso dell’economia mondiale, con la politica del libero mercato e con l’arricchimento di pochi a danno di molti, e la colonizzazione delle risorse energetiche e delle materie prime.

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