Iran: la via stretta di Obama

Inaudita violenza contro la libertà

Iranian supporters of defeated presidential candidate Mir Hossein Mousavi hold signs during a demonstration outside the Iranian consulate in Dubai on June 15. Mahmoud Ahmadinejad has again slammed US President Barack Obama for "interfering" in Iran, as debate over the Iranian president's disputed re-election continued. (AFP/File/Marwan Naamani)
Iranian supporters of defeated presidential candidate Mir Hossein Mousavi hold signs during a demonstration outside the Iranian consulate in Dubai on June 15. Mahmoud Ahmadinejad has again slammed US President Barack Obama for "interfering" in Iran, as debate over the Iranian president's disputed re-election continued. (AFP/File/Marwan Naamani)

Anthony M. Quattrone

E’ difficile non reagire emotivamente dinnanzi alle scene della violenta repressione da parte delle forze dell’ordine della Repubblica Islamica dell’Iran nei confronti di migliaia di cittadini che manifestano contro i presunti brogli elettorali.  Le immagini dei primi giorni, con i manifestanti che innalzavano cartelli con la scritta in inglese“Where is my vote?” (dov’è il mio voto?), hanno fatto spazio a scene di inaudita violenza, culminate con la morte, ripresa in diretta, della ventiseienne Neda Agha Soltan, nelle strade di Teheran, in un lago di sangue, soccorsa inutilmente dal padre e da altri manifestanti.

Chi ama la libertà e crede nello stato di diritto, nella democrazia, e nel rispetto della dignità umana dell’avversario politico non può rimanere indifferente di fronte a quanto sta succedendo in Iran.  Non importa se Mir Hossein Mousavi, il maggiore oppositore del presidente Mahmoud Ahmadinejad nelle elezioni del 12 giugno 2009, sia considerato meglio o peggio di quest’ultimo.  Non importa se in passato sia stato fra i fautori del percorso iraniano verso il nucleare.  Quello che importa è che migliaia, se non milioni, di iraniani hanno alzato la voce, chiedendo giustizia, chiedendo l’annullamento delle elezioni per le troppe irregolarità denunciate in ogni zona del paese, mentre le votazioni erano ancora in corso.

Cosa fare? Appoggiare l’opposizione o evitare qualsiasi interferenza, reale o apparente, negli affari interni dell’Iran?  Nel corso degli ultimi dieci giorni, l’amministrazione del presidente Barack Obama ha dovuto mettere a punto un’elaborata strategia della comunicazione, mentre gli eventi in Iran andavano prendendo una piega drammatica.  Ai primi cenni di contestazione delle elezioni, l’amministrazione americana ha preferito astenersi da qualsiasi commento che poteva andare ad inficiare il tentativo di instaurare un dialogo con il regime di Teheran.  La politica estera proposta da Obama, già durante la campagna elettorale, è basata sul realismo piuttosto che sull’idealismo.  Obama aveva promesso che avrebbe tentato di ingaggiare l’Iran in un dibattito proficuo per entrambi i paesi, nella speranza di indurre il paese persiano ad abbandonare qualsiasi velleità di potenza nucleare, e qualsiasi favoreggiamento di gruppi intenti a praticare il terrorismo contro gli Stati Uniti e i suoi alleati.

Man mano che le manifestazioni della piazza andavano intensificandosi, e le notizie degli scontri riuscivano a superare la censura imposta ai giornalisti, arrivando in tutto il mondo attraverso Internet, l’amministrazione Obama ha dovuto rielaborare la sua strategia della comunicazione nei confronti della situazione iraniana.  Il 19 giugno 2009, sette giorni dopo le elezioni iraniane, la Camera dei deputati Usa ha votato una mozione approvata da 405 deputati contro due astenuti e uno contrario, che “sostiene la lotta dei cittadini iraniani che abbracciano i valori della libertà, dei diritti umani, delle libertà civili, e dello stato di diritto”.  La mozione condanna l’uso della violenza da parte del governo iraniano nei confronti dei manifestanti, la censura degli organi di informazione, e la soppressione dei mezzi di comunicazione elettronica, come Internet e i cellulari, riaffermando l’universalità dei diritti individuali e l’importanza di elezioni giuste e democratiche.

Dal 19 al 23 giugno, Obama ha dovuto rielaborare la politica presidenziale americana nei confronti dell’attuale crisi in Iran, per evitare, da un lato, di sembrare indifferente alla lotta per la libertà del popolo iraniano, e dall’altro, per evitare di dare ad Ahmadinejad e alla Guida Suprema, il Grande Ayatollah Ali Khamenei, qualsiasi preteso per collegare le manifestazioni della piazza agli Stati Uniti e alle potenze occidentali.  La pressione del Congresso americano nei confronti di Obama per prendere una posizione più dura nei confronti dei governanti di Teheran, e il costante flusso di immagini video in arrivo dall’Iran attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione non ancora interrotto, ha determinato una leggera, ma decisa, correzione di rotta da parte della presidenza Usa.  Se da un lato Obama è consapevole che, quando la crisi sarà terminata, l’America dovrà sedersi con chiunque sarà il vincitore, se vorrà discutere la questione del nucleare iraniano, dall’altro il presidente non poteva continuare nel silenzio di fronte alle immagini della morte di Neda, trasmesse in continuazione da tutte le reti televisive americane, e sull’Internet direttamente dai blog.

Il 23 giugno 2009, Obama ha dovuto trovare le parole giuste per condannare il comportamento del governo iraniano, ma riducendo la possibilità che il regime degli ayatollah utilizzasse le sue dichiarazioni a danno dei manifestanti, accusandoli di essere manovrati dagli americani.  Obama ha dichiarato di essere “sconvolto e indignato” per le morti a Teheran, e per le intimidazioni per le strade della capitale persiana, ma non ha voluto essere specifico nell’indicare eventuali reazioni ufficiali da parte del suo governo nei confronti del regime. Nel frattempo, Ahmadinejad ha avvertito Obama, ieri, di non interferire nelle faccende interne iraniane, accusandolo di usare nei confronti dell’Iran le stesse parole e gli stessi toni del suo predecessore, George W. Bush.

Se neoconservatori e idealisti vorrebbero un Obama più aggressivo verso Teheran, i grandi strateghi della politica estera americana degli ultimi quattro decenni, come Henry Kissinger, che fu il segretario di stato del repubblicano Richard Nixon, e Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale del democratico Jimmy Carter, pensano che Obama abbia trovato una corretta via di mezzo, dove condanna il comportamento iraniano da un punto di vista morale, ma evita di schierarsi dalla parte di uno specifico oppositore al regime di Teheran.

Obama ha dichiarato il 24 giugno 2009 che “nessun pugno di ferro è forte abbastanza da impedire che il mondo faccia da testimone delle pacifiche proteste per la giustizia.  Coloro che si alzano per difendere la giustizia sono sempre dalla parte giusta della storia.”  La dichiarazione di Obama, moralmente ineccepibile, tuttavia, è quella dell’uomo politico, e va letta assieme a quella di Obama lo statista attento alla realtà della situazione: “Non sappiamo ancora come andranno a finire le cose.  Non è troppo tardi affinché il governo iraniano riconosca che esiste una via pacifica che porterà alla stabilità, alla legittimità, e alla prosperità per il popolo iraniano.  Speriamo che seguiranno quella via.”

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Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

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