Il voto americano del 3 novembre 2009

Governor Christie
Governor-elect Chris Christie gives a thumbs up sign as he sits with Lt. governor elect Kim Guadagno at the Robert Treat Academy charter school Wednesday, Nov. 4, 2009, in Newark, N.J., the day after he won over incumbent Jon S. Corzine. Christie said with the visit to the highly successful school, he wanted to highlight his plans to improve education. (AP Photo/Mel Evans)

Anthony M. Quattrone

L’analisi del risultato complessivo del turno elettorale americano del 3 novembre 2009 permette alcune riflessioni sulla natura della democrazia americana, e le possibili traiettorie che si stanno delineando rispetto alla competizione del mid-term che si svolgerà fra un anno.  Dai risultati si evince che la democrazia americana è particolarmente vibrante, non legata a preconcetti ideologici, e fortemente concentrata sull’operato dei candidati in carica, specialmente nel caso delle elezioni locali.

La democrazia americana è vibrante perchè, a solo un anno dalla travolgente vittoria democratica per la presidenza, gli elettori non hanno esitato a mandare a casa chi ha dimostrato di non essere all’altezza del compito affidato, e di premiare chi lo è, specialmente nelle elezioni locali.

Nel New Jersey, la sconfitta del governatore in carica, il democratico John Corzine, da parte del candidato repubblicano, l’ex procuratore Chris Christie, è particolarmente indicativa perchè il presidente Barack Obama era sceso in campo appoggiando, senza alcun’esitazione, il compagno di partito, visitando il New Jersey per tre volte durante la campagna elettorale.  Christie ha battuto Corzine, un ex banchiere della Goldman Sachs, per 51 a 41 percento, con il 6 che è andato ad un candidato indipendente.  Corzine, che ha speso due volte quanto Christie per finanziare la campagna elettorale, contava anche sulla popolarità di Obama nel New Jersey, per sconfiggere l’avversario.  La popolarità del presidente, che nel New Jersey continua ad essere forte, non è stata sufficiente per superare l’impopolarità di Corzine.

In Virginia, dove lo scorso anno Obama è stato il primo candidato presidenziale democratico a vincere le elezioni dal 1964, la vittoria repubblicana è stata schiacciante. L’ex ministro della giustizia della Virginia, Robert F. McDonnell, ha avuto una maggioranza del 59 contro il 41 percento del democratico Creigh Deeds, un attempato senatore dello stato.  McDonnell andrà a rimpiazzare il democratico Timothy Kaine, che fu eletto governatore della Virginia nel 2005, e che oggi copre l’incarico di presidente del partito di Obama.

Secondo il commentatore politico della Cnn, Mark Preston, il voto nei due stati non è necessariamente un referendum sull’operato del presidente Obama, perché gli exit poll rilevano che per il 56 percento degli elettori in Virginia, e il 60 percento di quelli nel New Jersey “il presidente Obama non era un fattore nella scelta del voto”.  Secondo Preston, Obama continua ad ottenere un gradimento abbastanza alto in entrambi gli stati, con il 48 percento in Virginia, ed il 57 nel New Jersey.

I repubblicani sono riusciti a difendersi bene nella competizione per la carica di sindaco di New York, dove il miliardario Michael R. Bloomberg sarà per la terza volta il primo cittadino della Grande Mela.  Bloomberg, considerato un indipendente moderato di centro destra, ha speso circa 90 milioni di dollari dei suoi fondi personali, circa14 volte in più del suo avversario, William C. Thompson, Jr., ma ha vinto le elezioni ottenendo solo il 51 percento contro il 46 per il democratico.  Lo staff di Bloomberg si aspettava una vittoria più netta, con i sondaggi che riflettevano un vantaggio di circa 18 punti percentuali.  Bloomberg, riconosciuto da molti newyorchesi per la sua intelligenza e competenza, è stato forse tradito dall’insistenza con cui si è battuto per rimuovere il limite di due consecutivi mandati per la carica di sindaco, e, pertanto, non ha ottenuto il plebiscito sperato e previsto.

Se i repubblicani possono gioire per le vittorie per le cariche di governatore in Virginia e nel New Jersey, oltre alla riconferma di Bloomberg come sindaco di New York, devono riflettere sulla sconfitta subita nel 23esimo distretto congressuale nello stato di New York.  In questo distretto, lungo il confine canadese, che ha sempre votato per i candidati repubblicani, il democratico Bill Owens ha vinto con il 49 percento contro il 45 di Douglas Hoffman, che correva per il partito conservatore.  Una guerra interna allo schieramento di centro destra ha obbligato il candidato ufficiale dei repubblicani, Dede Scozzafava, a ritirarsi sabato scorso, dopo aver subito attacchi costanti da parte di esponenti nazionali del partito repubblicano, come l’ex candidata alla vice presidenza Sarah Palin, il governatore del Minnesota, Tim Pawlenty, i commentatori politici di destra come Rush Limbaugh e Glenn Beck, i quali invitavano l’elettorato repubblicano ad appoggiare il candidato del partito conservatore.  Alla fine, quando Scozzafava si è ritirata dalla corsa, ha invitato i suoi elettori a votare per il candidato democratico, piuttosto che per il conservatore, asserendo che quest’ultimo non conosceva per nulla i problemi del distretto.  La frattura fra moderati e conservatori nel partito repubblicano ha sicuramente avvantaggiato il candidato democratico in un distretto che da sempre vota a destra.

Sono tre le traiettorie che emergono dalle elezioni del 3 novembre 2009.  La prima traiettoria indica che i democratici non riescono ad attivare la forza del movimento popolare che ha sostenuto l’elezione di Barack Obama, quando nelle elezioni locali devono sostenere candidati impopolari come il governatore del New Jersey, Corzine, o controbattere candidati repubblicani in carica che hanno dimostrato competenza, come il sindaco di New York, Bloomberg.

La seconda traiettoria indica che quando i repubblicani sono intenti a fare una guerra fratricida fra moderati e conservatori, non riescono a vincere nemmeno in una roccaforte repubblicana, come nel caso del 23esimo distretto congressuale nello stato di New York.

La terza traiettoria indica che, ancora una volta, il voto degli indipendenti, cioè di coloro che non si identificano nei due maggiori partiti americani, è determinante per la scelta di chi deve guidare il Paese, lo stato, o la città.  Gli indipendenti non sono mossi dalla tradizione o dall’attaccamento ideologico, ma valutano i candidati in base alla competenza e ai programmi proposti.  Nei prossimi dodici mesi, quando democratici e repubblicani cercheranno di attivare la base dei rispettivi partiti, dovranno anche corteggiare il voto degli indipendenti.  Senza il voto degli indipendenti, le elezioni negli Usa non si possono vincere.

pubblicato sull’Avanti! del 6 novembre 2009

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

Un commento su “Il voto americano del 3 novembre 2009”

  1. Tony, la tua analisi all’inizio dell’articolo è sufficiente a dimostrare quale lezione di democrazia il popolo americano è capace di dare. Naturalmente le amministrative sono differenti dalle politiche e le iniziative a livello nazionale contano più che quelle a livello locale. La legge sulla riforma sanitaria, oramai in dirittura di arrivo, è un trampolino che lancia il Presidente Obama molto in alto nei consensi dei suoi concittadini. Saluti, Enzo

I commenti sono chiusi.