Il difficile dialogo tra Iran e Occidente

Chief of the International Atomic Energy Agency (IAEA), Mohamed ElBaradei (L), and Iran's Nuclear Chief Ali Akbar Salehi (R) hold a press conference in Tehran on October 4, 2009. ElBaradei said that his inspectors will check Iran's new uranium facility being built near the holy city of Qom on October 25. (ATTA KENARE/AFP/Getty Images)

Marco Maniaci

Il vertice a Vienna tra i cinque membri permanenti dell’Onu (USA, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia, più la Germania, cioè il 5+1) e il governo iraniano sulla questione del nucleare, dopo gli iniziali segnali positivi dell’incontro di Ginevra di inizio mese, si trova ad una svolta. Infatti, il presidente Ahmadinejad ha dichiarato ”che le potenze occidentali sono passate da una politica di confronto alla cooperazione nella questione del nucleare, per questo ora possiamo collaborare, ma non cambieremo la nostra posizione sul diritto al nucleare”, parole che forse possono essere valutate come un ribaltamento decisivo.  L’Iran aveva rinviato la firma sull’accordo che prevedeva che l’80 per cento dell’uranio dichiarato fosse portato in Russia per essere arricchito. Il governo di Teheran aveva preso tempo, probabilmente anche per divergenze interne.  Non sono neanche mancati poi, momenti in cui il vertice stava per fallire totalmente a seguito degli attentati suicida verso i vertici della guardia nazionale iraniana, che ha portato alla morte di 40 persone nella regione sud-orientale del Baluchistan, con la conseguente denuncia di Teheran su responsabilità di agenti segreti appartenenti ad apparati di intelligence straniere.  Accusando in pratica i governi di Washington e Londra.

Il processo di distensione tra Iran di Ahmadinejad e gli USA di Barak Obama aveva avuto avvio il primo ottobre a Ginevra.  Durante questo vertice, Teheran aveva accettato di discutere con il 5+1 di questioni riguardanti il nucleare.  Inoltre aveva invitato il responsabile dell’AIEA, Mohammed el Baradei, a ispezionare gli impianti siti nei pressi della città sciita di Qom.

Intorno a questo impianto, solo poche settimane prima, la tensione tra l’Iran e la comunità internazionale, e specialmente gli Stati Uniti, era tornata a crescere.  Infatti, il governo di Teheran aveva rivelato, proprio durante il vertice del G20 di Pittsburgh, la presenza di un altro impianto segreto per l’arricchimento dell’uranio.
Per Obama, e per i suoi alleati europei, questo era stato un altro segno del doppio gioco iraniano. Washington aveva dichiarato di non credere  alla buona fede del governo degli ayatollah, in quanto le intelligence occidentali erano a conoscenza di questo secondo impianto da tempo, e raccoglievano prove e informazioni più forti per poter dimostrare l’inganno dell’Iran al mondo.

In pratica gli Stati Uniti asserivano che Teheran aveva rivelato l’esistenza di questo impianto solo quando aveva capito che i servizi segreti americani ed europei erano ormai più che informati dello stesso, e che quindi in questo modo abbia “salvato la faccia” continuando a dimostrare la sua totale disponibilità alla cooperazione per il nucleare.  Secondo gli  occidentali poi, l’impianto in questione, cioè quello di Qom, non aveva scopi pacifici, bensì militari, considerando  appunto la quantità di uranio arricchito.

Le parti si erano comunque ritrovate per il vertice di Ginevra.  Qui si era sviluppato  un progetto per l’arricchimento esterno dell’uranio, utile per far funzionare un impianto nucleare medico nei pressi di Teheran.  Se ciò realmente avverrà, si assisterà a un grande passo come aveva sottolineato anche il vicesegretario di stato William Burns:” gran parte del materiale fissile iraniano sarà neutralizzato e non potrà avere applicazioni militari”.

Le parti infine a Ginevra avevano garantito di rispettare anche tre punti fondamentali, su cui ha posto l’accento anche Javier Solana, responsabile della politica estera e di difesa della UE.  I punti erano: convocare entro la fine di Ottobre un secondo vertice, come è avvenuto.  Il secondo punto invece riguardava l’accettazione da parte degli iraniani dell’arrivo degli esperti AIEA a Qom nel giro di poche settimane.  Il terzo punto era quello decisivo, poiché rispolverava un’idea della Russia, cioè come già detto, quello di fare in modo che il programma nucleare iraniano sia solo per scopi civili e questo grazie all’arricchimento esterno dell’uranio.  Burns aveva già fornito alcuni dettagli dell’accordo tra le parti specificando che il combustibile nucleare, arricchito prima in Russia e poi in Francia, dove sarebbe appunto trasformato in combustibile nucleare, non avrebbe avuto scopi militari, ma sarebbe utilizzato nel reattore di ricerca di Teheran.

Sembrava andare tutto nella direzione giusta quindi, dopo tanti negoziati. A creare dei grossi attriti erano stati gli attentati in Beluchistan, che hanno in pratica rimesso tutto in discussione riportando l’establishment iraniana a toni più aspri.  Si notava anche nelle dichiarazioni, di pochi giorni fa, del ministro degli esteri di Teheran, Mottaki, il quale ha dichiarato “senza alcuna ragione” la presenza francese al vertice e ribadendo inoltre, che non sarebbe in discussione il diritto dell’Iran di sviluppare una tecnologia nucleare, anche in presenza di un accordo con il 5+1, sottolineando che questo eventuale accordo, che prevede una fornitura di uranio arricchito al 20%,” non ha relazione con il programma nucleare”.

Ora le parole di Ahmadinejad sembra nuovamente mischiare le carte. Il problema è che Teheran non è nuova a questi cambiamenti di rotta e si spera che questa possa essere l’ultima. Si prevede, comunque,  ancora una dura lotta, e se i negoziati non prenderanno la strada voluta da Obama e dai suoi alleati, lo spettro delle sanzioni economiche sull’ex paese degli scià si farà sempre più ingombrante.  Le parole del Segretario di Stato americano, Hilary Clinton, sono state molto chiare: “In assenza di progressi significativi e di assicurazioni che l’Iran non stia tentando di  dotarsi dell’atomica, cercheremo sostegno internazionale per sanzioni aggiuntive, ma non siamo ancora a questo punto”.  Ma questa dichiarazione era di alcune settimane fa in Russia, ora qualcosa è cambiato, ed è bene che il governo degli ayatollah non tirino troppo la corda. Inoltre, a margine del recente vertice APEC di Singapore, si è svolto un incontro bilaterale tra il presidente americano Barak Obama e il presidente russo Dmitri Medvedev, nel quale i due leader hanno iniziato a esplorare di comune accordo la possibilità di sanzioni verso l’Iran.
Le parole di Medvedev sono state chiare: “ Anche se il dialogo con l’Iran continua, non siamo del tutti soddisfatti del ritmo di questi negoziati. Se le cose non funzioneranno, ci saranno altri mezzi per far muovere il processo in avanti”. Un chiarissimo riferimento alle possibili sanzioni economiche.