E’ sempre più gelo fra Netanyahu e Obama

Dopo l’incidente navale davanti a Gaza, il rapporto tra i due leader si è compromesso. Il nodo Turchia.

US President Barack Obama (R) speaks with Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu (L) in New York in 2009. (AFP/File/Jim Watson)

Anthony M. Quattrone

L’incontro che si doveva tenere il primo giugno alla Casa Bianca fra il presidente americano, Barack Obama, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, era stato organizzato da Rahm Emanuel, il capo di stato maggiore del presidente americano, durante una recente visita privata in Israele, per ricucire le differenze fra americani e israeliani, e per migliorare i rapporti personali fra i due leader.  Emanuel, che è ebreo e aveva prestato servizio volontario civile per l’esercito israeliano lavorando come meccanico durante la prima guerra del golfo, era riuscito a convincere Netanyahu a fermarsi a Washington, per un breve incontro con Obama, alla fine del viaggio programmato in Canada.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu, right, shakes hands with White House Chief of Staff Rahm Emanuel, during their meeting in Jerusalem, Wednesday, May 26, 2010. President Barack Obama's chief of staff invited the Israeli prime minister to the White House , after Prime Minister Benjamin Netanyahu's previously scheduled visit to Canada. Emanuel was in the country on a private visit. (AP Photo/Sebastian Scheiner, Pool)

L’incontro fra i due leader è saltato a causa dell’incidente navale del 31 maggio 2010, quando, in acque internazionali, la marina militare israeliana ha abbordato sei imbarcazioni che trasportavano aiuti umanitari a Gaza, per conto di un’organizzazione non governativa turca, uccidendo diversi passeggeri e ferendone molti altri sulla nave turca Mavi Marmara, nel corso di un’impacciata operazione militare, non esattamente in linea con la nota efficienza e precisione dei reparti speciali israeliani.

Secondo una versione ufficiale, Netanyahu è ritornato immediatamente in patria per gestire la crisi e secondo altre versioni non ufficiali ma altrettanto verosimili, Obama sarebbe estremamente irato nei confronti del premier israeliano.

La dimensione psicologica dei due leader, i problemi che affrontano nella politica nazionale dei rispettivi paesi, e la crisi dei rapporti con la Turchia crea un intreccio di variabili da cui possono nascere delle traiettorie alquanto inquietanti per quanto riguarda la risoluzione del problema palestinese, considerata da autorevoli strateghi, come il generale americano David Petraeus, una delle questioni fondamentali nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica.

Sia Israele, sia gli Stati Uniti considerano la Turchia un paese fondamentale nel rapporto fra occidente e mondo islamico.  La Turchia è l’unico paese a maggioranza mussulmana membro della NATO ed è stato il primo paese islamico a riconoscere lo stato d’Israele nel 1949.  Il popolo ebraico ha trovato nella Turchia un paese amico pronto ad ospitarlo quando era perseguitato altrove.  Nel 1470 l’impero Ottomano emise un editto aprendo ufficialmente le porte agli ebrei cacciati dalla Bavaria, e nel 1492 dette ospitalità a moltissimi dei 150 mila espulsi dalla Spagna.  Più recentemente, fu il presidente e fondatore della moderna Turchia, Kemal Ataturk, che accolse 200 professori ebrei espulsi dalla Germania nazista nel 1933, che diventarono il nucleo fondamentale dell’università di Istanbul.  Fino a poco fa, la Turchia ha permesso ai piloti militari israeliani di sorvolare lo spazio aereo turco per addestramento e ha condotto esercitazioni congiunte con le forze armate israeliane.  La settimana scorsa, la Turchia ha cercato di ridurre la tensione fra occidente e Iran, fungendo da deposito di una parte dell’uranio arricchito di Teheran.  L’attacco israeliano contro la nave turca ha messo tutto in discussione.

Alcuni osservatori leggono l’attacco militare israeliano come un nuovo tentativo di Netanyahu per indebolire Obama, in un momento molto critico della sua presidenza.  Secondo Time, il primo ministro israeliano non ha molta simpatia per Obama, e considera la sua inesperienza un grave pericolo per lo stato d’Israele, specialmente per quanto riguarda la possibilità che l’Iran riesca a divenire una potenza nucleare.  Massimo Calabresi scrive sul settimanale Time che i due leader sono praticamente incompatibili da un punto di vista caratteriale.  “Obama è un ex professore, impassibile e pragmatico; Netanyahu è un ex commando, macho e fiero” scrive Calabresi, notando che mentre “Obama stende la mano agli avversari, Netanyahu li affronta.”

Con i sondaggi che non promettono nulla di buono per i democratici di Obama durante le prossime elezioni di novembre, quando gli americani saranno chiamati a rinnovare l’intera Camera, un terzo del Senato, e voteranno anche per 36 cariche di governatore, la “stoccata” di Netanyahu potrebbe rilevarsi fatale per i democratici Usa.  Se Obama criticherà duramente Israele per la sua politica nei confronti dei palestinesi e per l’ultimo incidente, rischia di perdere l’importante e forse decisivo sostegno della comunità ebraica americana.   Se appoggia Israele, o la critica in modo troppo blando, rischia di alienare, forse in modo definitivo, gli elettori americani di fede islamica o di provenienza araba.  Qualsiasi cosa farà Obama, perderà consensi proprio all’interno della base elettorale democratica.

Già lo scorso marzo Netanyahu aveva deciso di imbarazzare Obama, annunciando durante la visita del vice presidente Joe Biden in Israele la costruzione di nuovo alloggi per gli ebrei nella zona est di Gerusalemme, in palese contrasto con la richiesta americana di non provocare i palestinesi e il mondo islamico, i quali considerano quella parte della città come possibile capitale del futuro stato palestinese.

Netanyahu, che secondo il professore Avishai Margalit della Princeton University è molto attento al simbolismo, ha scelto bene anche la data per mettere di nuovo in difficoltà Obama.  Infatti, oggi è l’anniversario del famoso discorso all’Università del Cairo, quando Obama tese la mano al mondo Islamico, in linea con la sua promessa elettorale.  Obama sperava di dimostrare che l’America era cambiata ed era pronta ad instaurare un rapporto diverso con il mondo islamico, mettendo al centro dell’iniziativa americana proprio la situazione palestinese.  Obama disse un anno fa che “. . . è innegabile che il popolo palestinese – formato da cristiani e musulmani – ha sofferto anch’esso nel tentativo di avere una propria patria. Da oltre 60 anni affronta tutto ciò che di doloroso è connesso all’essere sfollato. Molti vivono nell’attesa, nei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza, dei Paesi vicini, aspettando una vita fatta di pace e sicurezza che non hanno mai potuto assaporare finora. Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all’occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L’America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità, alle pari opportunità, a uno Stato proprio.”

Netanyahu ha colpito, e Obama ha subito la stoccata. Ora si dovrà vedere se Obama sarà in grado di fare quello che Steven Hurst dell’Associated Press considera un compito impossibile: calmare la Turchia, senza offendere Israele.  Nel frattempo, i cittadini americani pretendono anche che il loro presidente faccia il miracolo di tappare la falla petrolifera della British Petroleum nel Golfo del Messico, faccia risalire l’occupazione, faccia salire la borsa, risolva il problema dell’immigrazione clandestina, e cosi via.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

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