Da Kyoto a Copenhagen: nasce l’asse della “Green economy”.

Stretta di mano tra Obama e Hu Jintao al vertice promosso dalle Nazioni Unite il 22 Settembre 2009
Stretta di mano tra Obama e Hu Jintao al vertice promosso dalle Nazioni Unite il 22 Settembre 2009

Diana De Vivo

Il riscaldamento globale rappresenta una delle maggiori minacce per il nostro pianeta: mancano soltanto due mesi ad uno dei più grandi vertici promossi sinora su un tema profondamente sentito dai leader mondiali, il climate change, una questione al centro, ormai, dei numerosi dibattiti a livello europeo ed internazionale:

“La minaccia è urgente”, afferma il Presidente americano Barack Obama, nel corso del summit promosso dalle Nazioni Unite lo scorso 22 Settembre sul cambiamento climatico, “il tempo stringe se non vogliamo lasciare alle generazioni future una catastrofe irreversibile”.

I due paesi, Cina e Stati Uniti, che da soli producono circa il 40% delle emissioni carboniche sul pianeta, sembrano convergere nella direzione di elaborare un nuovo accordo sul clima che superi l’impasse del Protocollo di Kyoto.

L’incontro promosso dai leader mondiali al fine di discutere su questioni globali che interessano i paesi industrializzati ed in via di industrializzazione ha manifestato l’urgenza di affrontare temi quali la riduzione delle emissioni di gas nocivi, i trasferimenti di tecnologie pulite ai paesi emergenti, gli aiuti verdi e la revisione della piattaforma di Kyoto.

Un margine di manovra negoziale verso un ambizioso accordo multilaterale globale sul climate change è emerso dai toni profondamente diversi con cui Obama ha espresso il forte sostegno degli Usa sul tema in vista della Conferenza di Copenhagen prevista per Dicembre 2009, un vertice ambizioso al fine di elaborare un nuovo accordo globale sul clima.

L’eco dei tempi in cui l’Amministrazione Bush negava persino la realtà del surriscaldamento globale, e la Cina addossava responsabilità ai paesi più ricchi è rimpiazzata dalla stretta di mano tra il Presidente Usa, Obama, ed il rispettivo collega cinese Hu Jintao al summit di New York, la quale dimostra inequivocabilmente il rinnovato impegno assunto dai leader dei due giganti che generano il 40% di tutte le emissioni di CO2 sul pianeta.

La scorsa settimana è stata indetta a Bankok, Tailandia, (28 Settembre 2009 – 9 Ottobre 2009) una nuova udienza preliminare in vista del vertice nella capitale danese, in cui saranno esaminate le proposte relative all’elaborazione di una convenzione vincolante sul clima, che imponga obblighi erga omnes; si procederà ugualmente in questa direzione i primi giorni di Novembre con le udienze di Barcellona al fine di giungere a Copenhagen con un preciso ventaglio di proposte.

Sono trascorsi 11 anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, aperto alla firma il 16 Marzo 1998, in relazione al quale i paesi industrializzati si impegnavano a ridurre, per il periodo 2008–2012, il totale delle emissioni di gas ad effetto serra almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990.

Il trattato è entrato in vigore nel 2005, sottoscritto da più di 160 paesi, in seguito alla ratifica della Russia e ribadisce gli impegni già assunti dagli Stati con l’adozione del Trattato di Rio del 1992, conosciuto con la sigla United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l’acronimo UNFCCC.

La convergenza tra Obama e Hu Jintao sui grandi principi è una variabile necessaria ma non sufficiente: la Cina cerca di ridimensionare la sua fama di “inquinatrice mondiale” riorganizzando il comparto energetico e diversificando le fonti di approvvigionamento, privilegiando le risorse “pulite” a quelle predominanti del petrolio e, soprattutto, del carbone.

Il gigante economico avanza rapidamente verso il 15% di fonti alternative e copiosi investimenti intelligenti nel campo del solare, dell’eolico e del nucleare.

Gli Usa si strovano a scontrarsi, del proprio canto, con l’ostruzionismo delle lobby del petrolio e del carbone, e a dover incontrare resistenze non trascurabili all’interno del mondo delle imprese, che, forti della crisi economica, respingono qualsiasi manovra negoziale sul tema.
Al centro del dibattito si staglia l’Europa virtuosa, che accusa già qualche ritardo, complice la crisi economica, sugli obiettivi del 2020.

Il pacchetto di direttive proposto dalla Commissione europea punta a ridurre del 20% le emissioni di CO2 (rispetto ai livelli del 1990), di raggiungere il 20% di utilizzo di energie pulite edil 20% di risparmio energetico entro il 2020, rispondendo agli impegni assunti dal Consiglio europeo di marzo 2007. In tale sede l’accordo del 20-20-20 era stato siglato per facilitare un negoziato globale “Post-Kyoto” alla Conferenza di Bali dello scorso dicembre. Ci si aspettava che a Bali fossero definiti gli obiettivi e le strategie al fine di ridurre su scala globale le emissioni di anidride carbonica, coinvolgendo, allo stesso tempo, USA, Cina, India e gli altri paesi che fino a oggi non rientrano nel Protocollo di Kyoto.

Cina e India e i paesi emergenti chiedono impegni precisi all’Occidente in vista del trasferimento di capitali e tecnologie verdi.

Secondo le ultime stime, al fine di mettere a punto sistemi per la produzione di energia pulita, nei prossimi 10 anni l’Europa dovrebbe spendere 50 miliardi di euro in più, quasi il triplo rispetto agli attuali investimenti. La nuova proposta della Commissione prevede per il prossimo decennio finanziamenti aggiuntivi di 16 miliardi di euro a favore dell’energia solare, 13 miliardi per la cattura e lo stoccaggio geologico di CO2, 7 miliardi per l’energia nucleare e 6 miliardi per l’energia eolica. La Commissione è convinta che, aumentando gli investimenti nelle tecnologie pulite, si possa accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica, indispensabile per contenere i gas serra e ridurre la dipendenza dell’Unione europea dalle importazioni di petrolio e metano.

Hu Jintao non si è sbilanciato sui numeri, ossia sulla percentuale cinese in vista della riduzione delle emissioni nocive, bensì ha ribadito l’intenzione di assumere precisi impegni in tal senso, promuovendo una “riduzione notevole”.

Entrambi i leader delle due più grandi potenze mondiali, Cina e Usa, hanno dimostrato a New York e Bankok la disponibilità preliminare ad aprire un negoziato ambizioso.

Ora tutti devono essere disposti a sacrificare qualcosa sul tavolo delle trattative.