L’agenda economica ed estera di Obama

US 100 dollar notes are checked at a bank. US authorities launched a new phase of their bank rescue plan including a requirement for so-called stress tests on the "capital adequacy" of troubled major commercial banks. (AFP/File/Jung Yeon-Je)
US 100 dollar notes are checked at a bank. US authorities launched a new phase of their bank rescue plan including a requirement for so-called stress tests on the "capital adequacy" of troubled major commercial banks. (AFP/File/Jung Yeon-Je)

Marco Maniaci

L’era Obama è appena cominciata e si inizia a respirare già l’aria del cambiamento.  La sfida che sta affrontando è difficile, ma il nuovo presidente lo sta facendo a muso duro e nel migliore dei modi, almeno in questa prima fase.

Le priorità in questo momento sono tante e l’agenda presidenziale è ricca di appuntamenti, a partire dalla soluzione della crisi che sta investendo il mondo economico che senza una giusta cura potrebbe mettere totalmente in ginocchio gli Stati Uniti d’America.  Il PIL americano ha subito nell’ultimo trimestre la più forte contrazione dall’inizio degli anni ’80, circa 3,8%.  Secondo molti analisti questo dato dimostra la possibilità che il peggio deve ancora venire.   Anche Obama non si è nascosto:  per lui il PIL non è solo un concetto numerico-economico , ma significa anche il disastro che si sta abbattendo sulle famiglie americane. Il primo round di questa battaglia Obama  l’ha vinto: è riuscito, infatti, a far approvare dal senato il maxi-piano di salvataggio dell’economia americana, una manovra da 787 miliardi di dollari. Il piano prevede  una forte riduzione della pressione fiscale sulle famiglie americane e una serie di sgravi fiscali per le aziende. Una voce importante è quella riguardante i fondi per l’ammodernamento di ponti e strade. Per evitare il collasso appunto, il nuovo inquilino della Casa Bianca utilizzerà  questi soldi approntando delle misure sulla scia del New Deal di Roosevelt:  il rifacimento di intere strade, ponti, palazzi e altre opere edilizie che non sono state ristrutturate negli Stati Uniti da quasi cento anni, potrebbe almeno salvare tantissimi posti di lavoro creando nuova occupazione.

Ma la sfida di Obama è ancora più grande e per ampliare l’occupazione, messa a rischio dalla crisi, si sta anche progettando  la modernizzazione del sistema informatico americano. Il presidente Obama,  inoltre, ha indirizzando la sua azione anche verso una nuova politica ecologica, che poi è strettamente legata alla questione energetica.  Infatti il nuovo corso di Obama in politica economica si può definire un New Deal verde.  Il neopresidente si sta apprestando a portare una rivoluzione nel mondo del mercato automobilistico con la revisione delle leggi Bush in materia di gas di scarico.  Il presidente ha autorizzato la California e altri 13 stati dell’unione a fissare standard più severi sui gas di scarico delle automobili e in generale anche un netto miglioramento dell’efficienza energetica. Questa nuova politica è anche il coronamento dell’azione guidata dal governatore Schwarzenneger e da altri governatori dell’Unione, i quali erano fortemente critici verso la politica ambientale dell’ex presidente Bush.

Il presidente americano ha anche portato una nuova ventata di ottimismo nei rapporti con i partner internazionali. Il G7 che si è tenuto in questi giorni a Roma tra i ministri dell’economia dei sette paesi più industrializzati oltre a fissare dei nuovi punti per riscrivere le regole del nuovo ordine mondiale del sistema finanziario cercando di creare una nuova Bretton Woods, ha portato anche un nuovo corso nei rapporti economici tra gli USA e gli altri stati:”Gli Stati Uniti collaboreranno con i partner del G7 e del G20 per costruire il consenso sulla riforma del sistema finanziario”, sono queste le parole del nuovo segretario al tesoro americano Timothy Geithner, aggiungendo che “gli Stati Uniti resisteranno ad ogni forma di protezionismo”. Leggi tutto l’articolo

Obama invia truppe fresche in Afghanistan

Anthony M. Quattrone

A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (AFGHANISTAN)
A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (Afghanistan)

Il presidente americano, Barack Obama, aveva promesso durante la campagna elettorale che avrebbe ridotto, per poi ritirare completamente, le truppe da combattimento americane in Iraq e avrebbe aumentato quelle destinate all’Afghanistan. A meno di un mese dalla sua inaugurazione alla presidenza, Obama ha dato l’ordine di mandare 17 mila uomini in Afghanistan, portando il contingente americano a 55 mila unità, con l’intento, forse di superare quota 60 mila a breve. Secondo Obama, “quest’aumento è necessario per stabilizzare una situazione che si sta deteriorando in Afghanistan, cui non è stata data l’attenzione strategica, le risorse, e la direzione che urgentemente richiede”. Il presidente americano, tuttavia, ha riaffermato un concetto spesso ripetuto durante la formulazione delle linee guida della sua politica estera, dichiarando il 18 febbraio alla Canadian Broadcasting Corporation (CBC) che “non si può risolvere il problema dell’Afghanistan, dei Taleban, e della propagazione dell’estremismo in quella zona solo attraverso mezzi militari. Siamo obbligati ad usare la diplomazia, dobbiamo usare lo sviluppo economico, e serve una strategia esauriente”.

La strategia di Obama in Afghanistan rischiava di incontrare un’ampia resistenza da parte del presidente afgano Hamid Karzai per due motivi. Da un lato, Karzai ha dovuto ingoiare non poche critiche da parte di Obama e del suo staff, prima e dopo la campagna elettorale americana riguardanti la sua capacità di governare in modo efficiente ed efficaca il suo paese, mentre dall’altro, il presidente afgano è oggetto di critiche interne a causa dell’incremento nel numero di morti fra i civili, direttamente addebitato ai bombardamenti degli americani e degli alleati.

Una conversazione telefonica fra Obama e Karzai, fra martedì e mercoledì, la prima da quando Obama è diventato presidente, ha permesso al portavoce del presidente afgano, Humayun Hamidzada, di dichiarare che “una nuova pagina si è aperta nei rapporti fra i due paesi.” Secondo il portavoce presidenziale, “Obama ha parlato con il presidente su vari temi, come il rafforzamento ulteriore dei nostri rapporti bilaterali, i passi necessari per migliorare la sicurezza nella regione, l’equipaggiamento e l’addestramento dell’esercito nazionale. Si è anche parlato dell’aumento delle truppe americane.” Secondo Sayed Salahuddin della Reuters, la maggioranza delle nuove truppe americane andrà a rafforzare la presenza internazionale nel sud dell’Afghanistan, nel tentativo di sbloccare lo stallo che si è creato fra i combattenti Taleban e le truppe britanniche, canadesi, ed olandesi. Leggi tutto l’articolo

Obama, focus sull’Iran

Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009.  Iran welcomed talks with the new administration of U.S. President Barack Obama on the basis of mutual respect, President Mahmoud Ahmadinejad said. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background.(AP photo/Hasan Sarbakhshian)
Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background. (AP photo/Hasan Sarbakhshian)

Dopo la crisi economica, Barack affronta la politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva chiesto al Congresso di approvare, entro la metà di febbraio, un pacchetto di misure per stimolare l’economia americana. A fine gennaio, la Camera aveva approvato un piano che prevedeva una spesa di 819 miliardi di dollari. Pochi giorni fa, il Senato ha approvato una versione più magra. Finalmente, mercoledì 11 febbraio, i due rami del Congresso hanno trovato un accordo fra di loro e hanno anche raggiunto un compromesso con Obama, per un piano che prevede una spesa totale di 790 miliardi di dollari.

Secondo il capogruppo della maggioranza democratica al Congresso, Harry Reid, “un terzo della cifra servirà per ridurre la pressione fiscale per le famiglie del ceto medio, abbassando le tasse per oltre il 95 percento dei lavoratori americani.” Gli altri due terzi del pacchetto saranno spesi per le infrastrutture, il trasporto di massa, l’ammodernamento del sistema scolastico, e altri investimenti che dovrebbero servire per la creazione di circa 3,5 milioni di posti di lavoro, oltre a misure speciali per sostenere coloro che hanno perso l’impiego nel corso dell’attuale crisi.

L’annuncio del compromesso ha avuto un effetto immediato, importantissimo anche da un punto di vista psicologico, con l’annuncio della compagnia Caterpillar, il primo fabbricante mondiale d’attrezzatura pesante per la costruzione e l’industria mineraria, che ha deciso di ritirare le lettere di licenziamento che aveva già spedito a circa 22 mila lavoratori. Fino a qualche mese fa, ottenere un impiego alla Caterpillar era considerato una garanzia di lavoro a vita per un operaio o un tecnico americano. Il ritiro dei licenziamenti da un messaggio di ottimismo e di speranza, all’intera economia americana e al ceto medio, forse anche più dell’andamento di Wall Street. Con il compromesso raggiunto, il Congresso potrà presentare al presidente l’intero piano fra qualche giorno, perfettamente in linea con lo scadenziario richiesto da Obama.

L’attenzione di Obama si sta spostando con maggiore enfasi verso la politica estera, ed in particolare sul rapporto fra gli Stati Uniti e l’Iran. Durante la campagna elettorale, Obama aveva più volte manifestato l’intenzione di riaprire il dialogo con Teheran, alternando la possibilità di sedersi con la leadership iraniana senza porre condizioni, con posizioni più rigide, in linea con la tradizionale politica americana, chiedendo agli iraniani di bloccare il piano nucleare in atto e di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Leggi tutto l’articolo

Obama: Rebus Guantanamo

Anthony M. Quattrone, Ph.D.

Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.
Guantanamo e tortura sono in contrasto con la Costituzione Americana.

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso durante la campagna elettorale che avrebbe chiuso il carcere di Guantanamo, dove oggi sono detenute 248 persone, fra combattenti illegali, terroristi, o presunti tali.  Secondo alcuni suoi stretti collaboratori, Obama, potrebbe firmare, già durante il primo giorno da presidente, l’ordine esecutivo che darebbe via allo smantellamento della struttura carceraria sull’isola cubana.  Durante la recente campagna elettorale, Obama e il senatore dell’Arizona, John McCain, il candidato repubblicano alla presidenza, avevano anche preso una posizione molto decisa contro qualsiasi forma di tortura esercitata, o presumibilmente esercitata, dal governo americano nei confronti di quei detenuti sospettati di essere legati al terrorismo mondiale.

Il governo uscente del presidente George W. Bush ha sempre negato che l’amministrazione abbia permesso o tollerato qualsiasi tipo di tortura, ma ammette che alcuni prigionieri hanno subito interrogatori molto forti, e che questi trattamenti sono stati e sono giustificati dalla necessità di salvare vite di innocenti cittadini americani.

Bush autorizzò la creazione di un sistema di commissioni militari nel novembre 2001, due mesi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, per giudicare combattenti illegali e persone sospettate di terrorismo catturati nel corso di operazioni militari americane all’estero, a partire dalla guerra in Afghanistan, iniziata nell’ottobre 2001, e trasferiti nella base americana di Guantanamo.  Circa 520 prigionieri sono stati rilasciati dal 2002 ad oggi, senza subire un processo.  Fra i 248 prigionieri ancora presenti a Guantanamo, solo 18 sono stati formalmente incriminati, e nei loro confronti si è aperta una procedura processuale.  Gli USA stanno negoziando con diversi paesi amici come e a chi rilasciare circa 150 prigionieri che non rappresenterebbero particolari problemi per la sicurezza americana, mentre è incerto cosa succederà a circa 80 detenuti che sono considerati particolarmente pericolosi dalle autorità statunitensi. Leggi tutto l’articolo

Iraq: La guerra di Bush

Anthony M. Quattrone

In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)
In this image from APTN video, a man, centre throws a shoe at US President George W. Bush, background left, during a news conference with Iraq Prime Minister Nouri al-Maliki, Sunday, Dec. 14, 2008, in Baghdad, Iraq. On an Iraq trip shrouded in secrecy and marred by dissent, President George W. Bush on Sunday hailed progress in the war that defines his presidency and got a size-10 reminder of his unpopularity when a man hurled two shoes at him during a news conference. (AP Photo)

La presidenza di George W. Bush sarà sicuramente ricordata come quella che è iniziata con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è continuata con la guerra in Iraq, e si è conclusa con la più grande crisi economica registrata in America dal 1929. E’ difficile attribuire a Bush responsabilità di causa ed effetto per i due eventi che hanno marcato l’inizio e la fine della sua presidenza, mentre la guerra in Iraq è sicuramente imputabile direttamente a lui. Ha voluto la guerra, ha cercato i motivi per farla, la ha condotta come voleva, e, infine, la lascerà in eredità al nuovo presidente il 20 gennaio 2009, quando passerà le consegne a Barack Obama.

Gli attacchi terroristici contro New York e Washington nel settembre 2001 sono stati degli atti di guerra da parte di forze irregolari, non appartenenti ad alcuna nazione, ma ospitati presso uno stato sovrano, l’Afghanistan. La guerra che gli Stati Uniti hanno fatto contro questo paese, l’occupazione che è seguita, e la campagna armata ancora in corso contro Al Qaeda e i suoi alleati Taliban hanno trovato un largo consenso sia nell’opinione pubblica mondiale, sia fra i giuristi internazionali.

Quanto Bush ha fatto dopo l’occupazione dell’Afghanistan ha trovato poco consenso nel mondo. La creazione del carcere di Guantanamo, non soggetta alle leggi civili degli Stati Uniti o alle diverse Convenzioni di Ginevra, dove sono ancora ospitati circa 250 “combattenti illegali”, o persone sospettate di essere tali, ha marcato in modo indelebile la nobile tradizione della “due process” legale americana. Solo in poche altre occasioni, sempre caratterizzate dalla paura di un nemico esterno, l’America ha messo da parte il “due process”, come quando durante la Seconda guerra mondiale migliaia di americani di origine giapponese e italiana furono internati in campi di concentramento.

Durante un’intervista con l’ABC News il primo dicembre, Bush si è rammaricato sia d’essere stato colto di sorpresa dall’atto di guerra contro gli Stati Uniti, sia perché le informazioni sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein erano errate. Bush, tuttavia, non riesce ad ammettere che, secondo le informazioni disponibili fino ad ora, non c’era alcun collegamento fra il dittatore iracheno e gli attacchi terroristici del 2001, e che mancava una relazione di causa ed effetto. Leggi tutto l’articolo

Progetto Obama: “Let America be America again”

Diana De Vivo

Stretta tra “Declinisti” e “Rinnovamentisti”, che molto hanno presagito in passato sul futuro degli Usa, ferita e sconvolta dai terroristi dell’11 Settembre, profondamente fiaccata da spedizioni punitive senza sbocco e impantanatasi nella retorica dei “pre-emptive strikes”, il 4 Novembre Barack Obama ha raccolto quest’America disanimata e l’ha riempita di speranza, di orgoglio ritrovato, non di arroganza.

“Let America be America again”, “Che l’America torni l’America”, uno slogan che tutti avrebbero voluto pronunciare qualche anno fa, ma che la storia si è incaricata prontamente di smentire. La missione di Obama nel traghettare l’America verso un destino migliore prende le mosse dagli appelli di coloro che sono pronti ad avventurarsi in una nuova era, a recidere i flebili legami con il passato a prospettare un approdo migliore, anzi, il migliore possibile.

Irradiato da questo simbolismo il Presidente appena eletto dovrà sapientemente posizionare le pedine del gioco al posto giusto al fine di non incorrere nei fantasmi ancestrali, arginando la serpeggiante crisi di fiducia di cui la democrazia a stelle e strisce soffre da un bel po’di tempo e che solo la miope fiducia negli accorati appelli agli ideali della libertà, vagamente intesi e declinati dal Presidente Bush, riusciva velatamente a celare.   Leggi tutto!

Le nomine di Obama: “Change” sì, ma graduale

Anthony M. Quattrone

President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
President-elect Barack Obama, far left, smiles at National Security Adviser-designate Ret. Marine Gen. James Jones, far right, as Secretary of State-designate Sen. Hillary Rodham Clinton, D-N.Y., left center, and United Nations Ambassador-designate Susan Rice, right center, look on during a news conference in Chicago, Dec. 1, 2008. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Il governo che il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, sta mettendo insieme in questi giorni vede già la presenza di 12 laureati delle più importanti ed esclusive università americane, quelle che compongono la cosiddetta “Ivy League”.  Ci sono accademici, professori, ricercatori, e studiosi e sembra essere tornati ai tempi di John F. Kennedy, quando il giovane presidente raggruppò attorno a se un gruppo di collaboratori definiti in seguito, in un libro del 1972 del giornalista David Halberstam, “the best and the brightest” (i migliori e i più brillanti).

La settimana si è aperta con le nomine che Obama ha fatto per le cariche relative alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, confermando le voci trapelate durante le scorse settimane.  La senatrice di New York, Hillary Clinton, sarà il nuovo segretario di Stato, il generale dei marines ed ex comandante supremo alleato in Europa, James Jones, sarà il consigliere per la sicurezza nazionale, mentre il repubblicano Robert Gates, l’attuale ministro della difesa del governo Bush, rimarrà al suo posto, almeno per i prossimi sedici mesi.  Obama ha anche nominato un’accademica, esperta per la sicurezza nazionale, Susan Rice, come ambasciatrice americana presso l’Onu, la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, alla sicurezza interna, e il procuratore Eric Holder alla giustizia.  La composizione della squadra della sicurezza nazionale di Obama sembrerebbe indicare un ritorno al ruolo primario della diplomazia nella politica estera americana, senza ridurre, tuttavia, l’importanza della forza militare. – Leggi tutto!>

Obama verso un governo forte

President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)
President-elect Barack Obama smiles during a news conference in Chicago, Tuesday, Nov. 25, 2008. (AP Photo/Charles Dharapak)

Pupilli di Robert Rubin e Brent Scowcroft all’economia e alla politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora alla costruzione del nuovo governo, cercando di bilanciare il mandato che ha ricevuto dal paese per effettuare una trasformazione della politica di Washington con la necessità di affidare i dicasteri più delicati a politici e professionisti di acclamata esperienza.  L’attenzione degli osservatori internazionali si concentra su due settori della futura amministrazione americana, vale a dire, quella dell’economia e quella della politica estera.  Gli altri dicasteri, come l’istruzione pubblica, l’energia, il lavoro, e la giustizia sono al centro di dibattiti all’interno del paese, e daranno la possibilità al futuro presidente di creare spazi per interventi bipartisan, oltre a soddisfare le richieste da parte di quelle frange più interessate alle politiche sociali e maggiormente attente ai temi dei diritti civili.

Secondo gli osservatori americani, le scelte di Obama per la composizione della squadra economica sembrerebbero essere indirizzate nei confronti dei pupilli di Robert Rubin, mentre per la politica estera, sono i pupilli di Brent Scowcroft a fare la parte del leone.  Rubin è stato uno dei maggiori consiglieri economici del presidente Bill Clinton, ricoprendo anche la carica di segretario del Tesoro dal 1995 al 1999.  Scowcroft, un generale in pensione dell’aviazione Usa, è stato un consigliere repubblicano per la sicurezza nazionale del governo di Gerald Ford e poi di Bush padre, ma ha apertamente e pubblicamente criticato la politica estera dell’attuale presidente George W. Bush, definendo l’invasione dell’Iraq e la successiva cattiva gestione del dopo guerra, un disastro per la lotta contro il terrorismo.

Nel presentare i consiglieri economici che lo aiuteranno nel gestire l’economia americana, Obama ha dichiarato, durante una conferenza stampa a Chicago il 24 novembre, di aver scelto dei leader che possono offrire “un modo di pensare fresco, nuovo”.  La nuova squadra economica, secondo Obama, dovrà agire immediatamente per sfruttare le opportunità d’intervento che l’attuale crisi presenta, sviluppando “un piano di stimolo all’economia che dia uno scossone al sistema per farlo tornare in forma”.  Gli osservatori americani e gli organi d’informazione descrivono i membri della nuova squadra economica come dei visionari, brillanti, acuti ed energici.  Anche Wall Street ha reagito bene alle scelte di Obama, chiudendo lunedì in forte rialzo.

La squadra economica di Obama sarà composta di cinque attori principali.  Il quarantasettenne Timothy Geithner, l’attuale direttore della Federal Reserve di New York sarà il prossimo segretario al Tesoro.  Al consiglio economico nazionale della Casa Bianca andrà Lawrence Summers, 54 anni, ex segretario al Tesoro dell’ultima amministrazione di Bill Clinton e attuale professore della Harvard University.  Il consiglio economico nazionale coordina la formulazione della politica economica nazionale e internazionale, assicurandosi che le decisioni ed i programmi delle varie agenzie e dipartimenti federali sono in linea con gli obiettivi e l’agenda politica del presidente.  Leggi tutto l’articolo

Hillary Clinton agli esteri? Conflitto d’interesse permettendo

Anthony M. Quattrone

In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clintons globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)
In this Oct. 20, 2008, file photo Democratic presidential candidate Sen. Barack Obama, D-Ill., left, and Sen. Hillary Clinton, D-N.Y. greet supporters at the end of a rally in Orlando, Fla. Former President Bill Clinton's globe-trotting business deals and fundraising for his foundation sometimes put his activities abroad at odds with Sen. Hillary Rodham Clinton, and it could cause complications for her if President-elect Barack Obama considers her to be secretary of state. (AP Photo/John Raoux, File)

La notizia della possibile nomina della senatrice di New York, Hillary Clinton, alla posizione chiave di Segretario di Stato nella nuova amministrazione americana, ha trovato largo consenso fra i commentatori e i politici americani di entrambi gli schieramenti.  Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, ha promesso di fare un governo che dovrebbe includere avversari interni al partito democratico e anche qualche repubblicano.  Durante le primarie democratiche, Obama e la Clinton hanno sferrato duri attacchi l’uno contro l’altro, e non molti osservatori avrebbero scommesso sulla capacità del partito democratico di arrivare unito alle elezioni di novembre.  Dopo la vittoria di Obama nelle primarie, i sondaggi registravano una continua disaffezione da parte dei sostenitori della Clinton nei confronti del giovane senatore afro americano.  Tuttavia, il grosso lavoro svolto dalla senatrice di New York e da suo marito, l’ex presidente Bill Clinton, durante le ultime settimane della campagna elettorale, per convincere gli operai delle zone industriali del Paese ad appoggiare Obama, ha probabilmente contribuito in modo decisivo alla vittoria dei democratici sia alla Casa Bianca, sia al Congresso, e ha permesso un riavvicinamento fra la coppia Clinton e il presidente eletto.

La nomina della Clinton potrebbe avvenire già questa settimana, e secondo James Carville, l’ex stratega della Clinton in campagna elettorale e attuale commentatore politico per la Cnn, “c’è molta spinta in questa direzione, e potrebbe accadere”.  Diversi esponenti repubblicani di primo piano, come Henry Kissinger, che ha ricoperto il ruolo di Segretario di Stato nei governi repubblicani di Richard Nixon e di Gerald Ford, e Arnold Schwarzenegger, il governatore della California, hanno commentato molto favorevolmente le voci sulla possibile nomina della Clinton.  Kissinger ha dichiarato che la Clinton “è una donna di grande intelligenza, che ha dimostrato una grande determinazione – sarebbe un eccellente nomina”.  Per Schwarzenegger, la Clinton “è una donna molto, molto intelligente e ha grande esperienza.  Sarebbe una mossa vincente.” Leggi tutto l’articolo

Crisi economica Usa e il ruolo della Cina

US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Marts 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)
US and Chinese officials end an event to mark the opening of Wal-Mart's 100th store in Beijing. China said Tuesday it hoped regular high-level economic talks with the United States will continue under president-elect Barack Obama, describing them as an important way to maintain good relations. (AFP/File/Teh Eng Koon)

Obama agli americani: “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”

Marco Maniaci

La più affascinante sfida politica della storia americana è appena cominciata, ma quello che attende l’ormai ex senatore dell’Illinois è di quanto più arduo ci possa essere. “Uniti per trovare la soluzione alla crisi economica”, sono queste le parole che ha usato Barack Obama nel suo primo discorso radiofonico dopo aver vinto le elezioni presidenziali Usa.  Considerata la situazione, il futuro inquilino della Casa Bianca è costretto a dare priorità alla situazione economica attuale e alla crisi finanziaria.  Probabilmente, solo dopo la grande crisi del ’29 e la conseguente “grande depressione”, un presidente appena eletto aveva sulle proprie spalle un peso come quello che in pratica ora attanaglia Obama:  il peso di risollevare l’economia e la finanza della più grande superpotenza mondiale, dai cui destini dipendono, per ora, il futuro del mondo e soprattutto dell’Occidente.

Dalle prime indicazioni, sembra che Obama, per risollevare l’America dalla crisi, utilizzerà una ricetta a base di politiche fiscali espansive, almeno per quello che riguarda la politica interna.  E’ probabile che il nuovo presidente annuncerà uno stimolo fiscale, così come probabilmente avrebbe fatto anche McCain se avesse vinto.  Chiaramente, l’elezione di un democratico ha dato forza a coloro che intendono uscire dalla crisi e dalla conseguente recessione con un forte intervento da parte dello Stato attraverso incentivi fiscali e l’aumento della spesa pubblica.  In particolare, gli osservatori americani si aspettano che il nuovo Presidente si concentri sul problema dei mutui e del crollo del mercato immobiliare, che coinvolge milioni di americani del ceto medio.  Infatti, è stato già predisposto dal governo Bush un fondo anti-pignoramento per circa 10 miliardi di dollari e altri sgravi a favore delle famiglie della classe media, e la nuova amministrazione sarà chiamata ad ampliare le misure a favore del ceto medio.  Le banche che hanno avuto o avranno aiuti pubblici saranno chiamati a rinegoziare i mutui con i clienti insolventi.

Il presidente eletto prevede anche grandi aiuti alle imprese sotto forma di incentivi.  I consulenti di Obama prevedono tagli fiscali immediati per circa 65 miliardi di dollari e un aumento della spesa per 135 miliardi.   La nuova amministrazione dovrà tenere in considerazione, però, anche il forte aiuto dato dal Presidente uscente Bush, con il piano di salvataggio da 700 miliardi dollari, approvato dal Congresso a maggioranza democratica, che pesa già come un macigno sul debito pubblico statunitense. Leggi tutto l’articolo