Accountability: Obama all’attacco del malcostume

Lo scandalo dei bonus pagati ai manager della AIG

A protestor takes part in a rally in front of an American International Group (AIG) office calling on Congress to take action on employee free choice, health care, and banking reform in Washington, March 19, 2009. REUTERS/Jim Young
A protestor takes part in a rally in front of an American International Group (AIG) office calling on Congress to take action on employee free choice, health care, and banking reform in Washington, March 19, 2009. REUTERS/Jim Young

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è in prima linea nella battaglia per assicurare che la società americana torni a mettere di nuovo in primo piano il principio della “accountability”, un termine inglese che si può tradurre con la parola “responsabilità,” ma il cui significato più preciso è caratterizzato dal connotato della trasparenza, e dal mantenimento degli impegni, specialmente da parte di chi ricopre una posizione di rilievo o di potere in una organizzazione.  In breve, accountability significa rendere conto del proprio operato.

Obama ha invitato, fin dal giorno del suo insediamento, i responsabili della pubblica amministrazione a tenere un comportamento in linea con il principio della accountability.  Il presidente ha ugualmente chiesto agli imprenditori e ai manager delle grandi imprese, specialmente quelle che avevano richiesto e ricevuto danaro pubblico per affrontare la crisi economica, di tenere comportamenti caratterizzati dall’accountability.  Nel caso dei bonus che l’American International Group (AIG) ha pagato pochi giorni fa ai suoi manager, pari a circa 165 milioni di dollari, utilizzando i fondi che il governo federale aveva messo a disposizione per evitare il suo fallimento, è venuto meno il principio della accountability.  Il cittadino medio americano si chiede com’è possibile che si possa premiare con un bonus di circa un milione di dollari ciascuno dei manager responsabili per la politica disastrosa della AIG, la quale oggi sopravvive solo grazie ai 170 miliardi di dollari che il governo federale ha iniettato nel colosso assicurativo per evitarne il fallimento.

La rabbia degli americani contro il comportamento del management della AIG si è manifestata a tutti i livelli, a partire dal cittadino comune, ed ha coinvolto anche i membri del Congresso, i quali hanno minacciato di tassare fino al 90 percento i bonus pagati ai manager responsabili della politica fallimentare dell’azienda.  Il presidente Obama ha dichiarato il suo totale disappunto, ed ha chiesto ai suoi collaboratori di verificare l’esistenza di eventuali meccanismi legali per recuperare i soldi che la AIG ha dato ai manager.  Dopo un’audizione dinnanzi al Congresso il 18 marzo 2009, il direttore esecutivo della AIG, Ed Liddy, ha dichiarato di aver chiesto ai manager che hanno ricevuto il bonus qualche giorno fa di restituirne la metà al governo federale.

In America, il principio dell’accountability, e il rispetto delle regole, ha unito coloro che vorrebbero più intervento dello Stato nell’economia, e quelli che vorrebbero applicare in modo intransigente la politica del laissez faire.   Lo sviluppo di un capitalismo responsabile ha permesso l’affermazione e l’egemonia dell’ideologia del libero mercato anche fra i lavoratori e i meno abbienti negli Stati Uniti.  Il primato della libera impresa e dell’iniziativa privata sono una componente fondamentale del modo di vita americano — in America nessuno mette in dubbio il ruolo dell’imprenditore ed il diritto di chiunque di cimentarsi nell’imprenditoria.  In America, arricchirsi è parte del sogno ed è motivo di vanto, quando si raggiunge il successo specialmente partendo da condizioni di povertà.   Il comportamento di finanzieri senza scrupoli, imprenditori fraudolenti, e manager corrotti ed incapaci sta mettendo in seria difficoltà la base stessa del capitalismo responsabile americano, una delle colonne portanti del sogno americano.

Obama, accusato durante la campagna elettorale di voler ridistribuire la ricchezza attraverso politiche socialiste di stampo europeo, si trova ora a dover difendere il libero mercato, mettendo in risalto la capacità degli americani di fare libera impresa.  Dopo aver proposto misure per salvare grandi imprese come la AIG, alcune banche, la Chrysler, la Ford e la General Motors, ora propone misure a tutela delle piccole imprese, per stimolare la base stessa del capitalismo americano.

La debacle dei pagamenti dei bonus ai manager fallimentari della AIG rischia di ridurre l’appoggio che Obama sta ricevendo dall’opinione pubblica americana nel portare avanti tutte quelle misure che servono per stimolare l’economia.  Obama ha recepito immediatamente il malcontento della popolazione a proposito dei bonus pagati ai manager della AIG.  Senza nascondersi dietro paraventi o provare a fare lo scaricabarile, semmai accusando altre istituzioni statali o cariche dello Stato, Obama si è assunto la responsabilità, in quanto presidente, anche se è in carica da soli due mesi, per non aver fatto di più nel controllare come la AIG intendesse spendere i fondi messi a disposizione dalla Federal Reserve e dal Tesoro.  Obama, con il suo comportamento, ha dato una dimostrazione pratica del comportamento etico, di un comportamento ispirato dal principio della accountability, dimostrando che qualcosa sta cambiando a Washington nel modo di fare la politica.

Pechino-Washington: incrocio pericoloso

Le gaffe di Hillary Clinton e l’aggressività cinese

Free Tibet activists march during a peace march rally in Tokyo, Japan, Saturday, March 14, 2009. The rally marks the 50th anniversary of the failed uprising against the Chinese rule in their homeland. (AP Photo/Itsuo Inouye)
Free Tibet activists march during a peace march rally in Tokyo, Japan, Saturday, March 14, 2009. The rally marks the 50th anniversary of the failed uprising against the Chinese rule in their homeland. (AP Photo/Itsuo Inouye)

Anthony M. Quattrone

Quando lo scorso 20 febbraio, il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, dichiarò che le violazioni dei diritti civili da parte dei cinesi non dovevano impedire una fattiva collaborazione fra gli Stati Uniti e la Cina sugli altri temi, come la crisi economica globale, il cambiamento climatico, e sulle minacce alla sicurezza da parte di paesi come la Corea del Nord, molti attivisti nel campo dei diritti civili rimasero alquanto perplessi, se non totalmente sorpresi.  Amnesty International si è affrettata a ricordare alla signora Clinton che, “gli Stati Uniti sono fra i pochi paesi al mondo che possono affrontare la Cina sulla questione dei diritti umani”.  Secondo Amensty International, “il popolo cinese è in una situazione gravissima, con mezzo milione di persone che sono attualmente imprigionate in campi di lavoro, con molte donne obbligate ad abortire, e altre che sono sterilizzate per garantire la politica demografica cinese, che prevede solo un figlio a coppia”.

Il tempismo delle dichiarazioni della Clinton è stato particolarmente sfortunato, se si considera che nel 2009 ricorrono due anniversari molto significativi nel campo dei diritti civili e della libertà.  Il 10 marzo è stato il cinquantesimo anniversario della fallita rivolta del popolo tibetano, che nel 1959, fu schiacciato nel sangue da parte del cosiddetto “esercito di liberazione” cinese, portando poi all’esilio di Sua Santità il 14mo Dalai Lama.  Il prossimo 4 giugno sarà il ventesimo anniversario dell’eccidio di Piazza Tienanmen di Pechino, quando, nel 1989, centinaia, se non migliaia, di pacifici manifestanti cinesi furono massacrati dalle forze armate.  Due massacri a distanza di 30 anni l’una dall’altra, sono ancora oggi vivi nella memoria di tutti coloro che amano la libertà, la democrazia, e credono nell’autodeterminazione dei popoli.

Il governo americano ha voluto rimediare subito al malumore creato dalle dichiarazioni della Clinton, con due interventi che hanno scatenato una furibonda reazione da parte dei cinesi.  Il primo si riferisce al rapporto annuale pubblicato dal Dipartimento di Stato, sullo status dei diritti umani nel mondo.  Il documento, pubblicato il 25 febbraio 2009, firmato proprio da Hillary Clinton, come capo del Dipartimento di Stato, accusa la Cina di aver incrementato la repressione culturale e religiosa in Tibet ed in altre zone del paese, aumentando anche il numero degli arresti e degli abusi nei confronti di cittadini appartenenti alle diverse minoranze.  Per il Dipartimento di Stato, la situazione dei diritti umani in Cina è rimasta a livelli bassi, ed in alcune zone del paese è addirittura peggiorata.  Le autorità cinesi, secondo il rapporto, permettono uccisioni extragiudiziarie, l’uso della tortura, l’estorsione di confessioni dai prigionieri, e fanno anche largo uso di campi di lavoro, limitando il diritto alla privacy, il diritto di parola, di assemblea, di movimento, e di associazione.  Purtroppo, secondo quanto dichiara il Dipartimento di Stato Usa, la repressione cinese e la violazione dei diritti umani è aumentata proprio durante le Olimpiadi di Pechino, nell’agosto del 2008, ed anche alla fine dell’anno, in occasione di una petizione firmata sull’internet da ottomila cinesi, in cui si chiede l’ampliamento dei diritti di espressione. Leggi tutto l’articolo

Obama contro le lobby

Anthony M. Quattrone

U.S. President Barack Obama steps off Marine One as he lands on the South Lawn at the White House in Washington March 6, 2009. Reuters/Jim Young (United States)
U.S. President Barack Obama steps off Marine One as he lands on the South Lawn at the White House in Washington March 6, 2009. Reuters/Jim Young (United States)

Negl’ultimi venti anni, il concetto di outsourcing è diventato il paradigma vincente nei modelli organizzativi di moltissime ditte, le quali preferiscono affidare ad imprese in appalto tutte quelle funzioni che non fanno parte del cuore dell’organizzazione.

L’outsourcing è iniziato con semplici appalti di alcune funzioni sussidiarie all’impresa, come le pulizie, il facchinaggio, e gli altri servizi a basso livello di specializzazione, per poi occupare spazi sempre più vicini alle attività fondamentali dell’organizzazione, come la stessa contabilità, i servizi della segreteria, ed interi settori della produzione.  Con la globalizzazione, alcune funzioni in appalto ora sono addirittura dislocate in diverse parti del mondo, e non è affatto improbabile che il servizio informazioni di una ditta inglese si trovi in un paese asiatico, con operatori indiani che rispondono a richieste riguardanti un evento che si svolge a Londra.  E’ ancora presto per esprimere un giudizio finale sull’outsourcing come metodo di organizzazione dell’attività di un’azienda, ma, tuttavia, è innegabile che offre, almeno per un periodo iniziale, vantaggi economici immediati per l’impresa che lo utilizza.  Non è ancora certo che, nel lungo termine, la disintegrazione dell’identità di una ditta, e lo spezzettamento delle sue funzioni in tante parti, dove una componente tratta un’altra come un cliente, riesca a funzionare meglio di un sistema integrato, dove ogni componente fa parte della stessa organizzazione.  La dedizione e il senso di appartenenza dei dipendenti dell’impresa “principale” sono sicuramente messi sotto stress.

Gli impiegati statali americani, come quelli di tanti altri paesi, ed anche di alcune organizzazioni internazionali, vivono nel costante terrore che il loro lavoro, le attività che svolgono per i loro datori di lavoro, possano essere dati in appalto ad un’impresa privata, da un momento all’altro, nell’ottica dell’ottimizzazione dei processi produttivi e per garantire più efficienza nella spesa del denaro pubblico.  E’ diventato ormai molto comune per un impiegato americano lavorare al fianco di un lavoratore di una ditta in appalto nel svolgere mansioni che fino a venti anni fa erano di competenza esclusiva del dipendente federale.  Un po’ alla volta, o, in qualche caso anche dall’oggi al domani, “vacche sacre” del servizio pubblico, come le attività relative alla sicurezza nazionale, sono state date a ditte private.  In Iraq, le ditte appaltatrici di contratti governativi Usa sono riuscite anche ad ottenere contratti per svolgere lavori che rientrano, direttamente o indirettamente, nelle attività relative al combattimento.  La ditta Blackwater, responsabile per la difesa personale di alti dirigenti e funzionari del governo Usa a Baghdad, è forse il più eclatante esempio di un’organizzazione privata che entra nel territorio normalmente riservato alle attività di uno stato sovrano.

Durante gli anni della presidenza di George W. Bush, la frenesia di appaltare tutto quello che si poteva aveva preso il sopravvento nella programmazione della spesa del bilancio pubblico americano, specialmente nel Dipartimento della Difesa, riducendo sempre di più le attività svolte dai dipendenti federali.  In otto anni, la presidenza Bush aveva raddoppiato l’ammontare speso per gli appalti, raggiungendo quota 500 miliardi di dollari.  Il 4 marzo 2009, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di ribaltare la politica di Bush, ponendo severi limiti alla politica di outsourcing.  Obama ha dichiarato che è necessario “smettere di dare in appalto quei servizi che dovrebbero essere fatti dal governo, rendendo, nel frattempo, più accessibile il sistema degli appalti alle piccole imprese”. Leggi tutto l’articolo

Ottimismo e opposizione

Anthony M. Quattrone

U.S. President Barack Obama, sitting next to 5-year old Nick Aiello (L), gets a high five from fan Miles Rawls at the Washington Wizards NBA basketball game against the Chicago Bulls in Washington February 27, 2009. Reuters/Molly Riley (United States)
U.S. President Barack Obama, sitting next to 5-year old Nick Aiello (L), gets a high five from fan Miles Rawls at the Washington Wizards NBA basketball game against the Chicago Bulls in Washington February 27, 2009. Reuters/Molly Riley (United States)

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, continua a macinare terreno, e, a poco più di un mese dal suo insediamento, ha disegnato una traiettoria che dovrebbe portare l’America fuori dalla crisi economica, o almeno così sperano gli americani.  Sull’onda del successo che il giovane presidente ha ottenuto la settimana scorsa con l’approvazione da parte del Congresso del pacchetto di misure per stimolare l’economia, dal costo di 787 miliardi di dollari, Obama ha spinto legislatori, sindacalisti e imprenditori, durante un summit del 23 febbraio, ad intraprendere azioni che possono garantire più responsabilità e trasparenza da parte del settore pubblico nel campo della spesa. Lo stesso giorno, Obama ha chiesto ai 50 governatori di spendere in modo saggio i fondi che sarebbero arrivati dal pacchetto di misure approvate la settimana scorsa.  La settimana scorsa, Obama ha fatto lo stesso invito ai sindaci di 80 città.

Nel suo primo discorso alle camere riunite il 24 febbraio, Obama ha detto che “il peso della crisi non determinerà il destino del paese: le risposte ai nostri problemi non sono fuori dalla nostra portata. Le risposte sono nei laboratori e nelle università, nei nostri campi e nelle nostre fabbriche, nell’immaginazione dei nostri imprenditori e nell’orgoglio dei nostri lavoratori — i migliori del mondo. Queste qualità hanno fatto dell’America la più grande forza di progresso e di prosperità nella storia umana. Ora il paese deve unire le sue forze e affrontare le sfide, ancora una volta assumendosi le responsabilità del proprio futuro”.  Obama ha voluto, ancora una volta, presentare una visione ottimista, anche se realistica, per il futuro del paese.  La frase che rimbomba di più tra gli organi di informazione americani, quasi come uno slogan pubblicitario, è: “Ricostruiremo, ci riprenderemo e gli Stati Uniti d’America usciranno da questa crisi più forti che mai”.  L’America in questo momento non è in campagna elettorale, e tutti, democratici e repubblicani, nel rispetto dei ruoli di maggioranza e minoranza, si augurano, per il bene dell’America, che Obama abbia successo.  L’ottimismo, senza negare le gravi difficoltà della crisi in corso, è uno stimolo, già in sé, per l’economia.

Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, ha provato in diverse occasioni a tirare su il morale degli italiani a proposito della crisi economica e delle prospettive future dell’Italia, parlando di un paese positivo e capace di rialzarsi.  Il 21 gennaio 2009, il settimanale Panorama riferiva un discorso in cui Berlusconi dichiarava che “la situazione italiana non è così drammatica come tutti pensano” e che per “questo l’unica paura che dobbiamo avere è di avere troppa paura”, invitando gli italiani a non ridimensionare i consumi, per non aggravare ulteriormente la situazione.  Il presidente ha anche rilasciato diverse interviste negli ultimi giorni in cui ha lodato la propensione degli italiani verso il risparmio, l’intelligenza delle banche italiane a non invischiarsi in strumenti finanziari “tossici”, e la generale tenuta del paese rispetto alla crisi che sta attanagliando le economie di molti paesi.  L’esponente del partito democratico, Pier Luigi Bersani, Ministro dello Sviluppo Economico nell’ultimo Governo Prodi, critica l’ottimismo di Berlusconi, dichiarando che “la lettura che punta a minimizzare la gravità della crisi economica è inaccettabile”. Leggi tutto l’articolo

Obama invia truppe fresche in Afghanistan

Anthony M. Quattrone

A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (AFGHANISTAN)
A man carries his belongings as he walks past a policeman on duty near Peshad village, Kunar Province, eastern Afghanistan February 19, 2009. REUTERS/Oleg Popov (Afghanistan)

Il presidente americano, Barack Obama, aveva promesso durante la campagna elettorale che avrebbe ridotto, per poi ritirare completamente, le truppe da combattimento americane in Iraq e avrebbe aumentato quelle destinate all’Afghanistan. A meno di un mese dalla sua inaugurazione alla presidenza, Obama ha dato l’ordine di mandare 17 mila uomini in Afghanistan, portando il contingente americano a 55 mila unità, con l’intento, forse di superare quota 60 mila a breve. Secondo Obama, “quest’aumento è necessario per stabilizzare una situazione che si sta deteriorando in Afghanistan, cui non è stata data l’attenzione strategica, le risorse, e la direzione che urgentemente richiede”. Il presidente americano, tuttavia, ha riaffermato un concetto spesso ripetuto durante la formulazione delle linee guida della sua politica estera, dichiarando il 18 febbraio alla Canadian Broadcasting Corporation (CBC) che “non si può risolvere il problema dell’Afghanistan, dei Taleban, e della propagazione dell’estremismo in quella zona solo attraverso mezzi militari. Siamo obbligati ad usare la diplomazia, dobbiamo usare lo sviluppo economico, e serve una strategia esauriente”.

La strategia di Obama in Afghanistan rischiava di incontrare un’ampia resistenza da parte del presidente afgano Hamid Karzai per due motivi. Da un lato, Karzai ha dovuto ingoiare non poche critiche da parte di Obama e del suo staff, prima e dopo la campagna elettorale americana riguardanti la sua capacità di governare in modo efficiente ed efficaca il suo paese, mentre dall’altro, il presidente afgano è oggetto di critiche interne a causa dell’incremento nel numero di morti fra i civili, direttamente addebitato ai bombardamenti degli americani e degli alleati.

Una conversazione telefonica fra Obama e Karzai, fra martedì e mercoledì, la prima da quando Obama è diventato presidente, ha permesso al portavoce del presidente afgano, Humayun Hamidzada, di dichiarare che “una nuova pagina si è aperta nei rapporti fra i due paesi.” Secondo il portavoce presidenziale, “Obama ha parlato con il presidente su vari temi, come il rafforzamento ulteriore dei nostri rapporti bilaterali, i passi necessari per migliorare la sicurezza nella regione, l’equipaggiamento e l’addestramento dell’esercito nazionale. Si è anche parlato dell’aumento delle truppe americane.” Secondo Sayed Salahuddin della Reuters, la maggioranza delle nuove truppe americane andrà a rafforzare la presenza internazionale nel sud dell’Afghanistan, nel tentativo di sbloccare lo stallo che si è creato fra i combattenti Taleban e le truppe britanniche, canadesi, ed olandesi. Leggi tutto l’articolo

Obama, focus sull’Iran

Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009.  Iran welcomed talks with the new administration of U.S. President Barack Obama on the basis of mutual respect, President Mahmoud Ahmadinejad said. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background.(AP photo/Hasan Sarbakhshian)
Iranian President Mahmoud Ahmadinejad, speaks during a ceremony at celebrations marking the 30th anniversary of the 1979 Islamic revolution that toppled the U.S.-backed late Shah Mohammad Reza Pahlavi and brought hard-line clerics to power, in Tehran on Tuesday Feb, 10, 2009. Photo of Iran's late leader Ayatollah Khomeini, and Iran's supreme leader Ayatollah Ali Khamenei, are seen in background. (AP photo/Hasan Sarbakhshian)

Dopo la crisi economica, Barack affronta la politica estera

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva chiesto al Congresso di approvare, entro la metà di febbraio, un pacchetto di misure per stimolare l’economia americana. A fine gennaio, la Camera aveva approvato un piano che prevedeva una spesa di 819 miliardi di dollari. Pochi giorni fa, il Senato ha approvato una versione più magra. Finalmente, mercoledì 11 febbraio, i due rami del Congresso hanno trovato un accordo fra di loro e hanno anche raggiunto un compromesso con Obama, per un piano che prevede una spesa totale di 790 miliardi di dollari.

Secondo il capogruppo della maggioranza democratica al Congresso, Harry Reid, “un terzo della cifra servirà per ridurre la pressione fiscale per le famiglie del ceto medio, abbassando le tasse per oltre il 95 percento dei lavoratori americani.” Gli altri due terzi del pacchetto saranno spesi per le infrastrutture, il trasporto di massa, l’ammodernamento del sistema scolastico, e altri investimenti che dovrebbero servire per la creazione di circa 3,5 milioni di posti di lavoro, oltre a misure speciali per sostenere coloro che hanno perso l’impiego nel corso dell’attuale crisi.

L’annuncio del compromesso ha avuto un effetto immediato, importantissimo anche da un punto di vista psicologico, con l’annuncio della compagnia Caterpillar, il primo fabbricante mondiale d’attrezzatura pesante per la costruzione e l’industria mineraria, che ha deciso di ritirare le lettere di licenziamento che aveva già spedito a circa 22 mila lavoratori. Fino a qualche mese fa, ottenere un impiego alla Caterpillar era considerato una garanzia di lavoro a vita per un operaio o un tecnico americano. Il ritiro dei licenziamenti da un messaggio di ottimismo e di speranza, all’intera economia americana e al ceto medio, forse anche più dell’andamento di Wall Street. Con il compromesso raggiunto, il Congresso potrà presentare al presidente l’intero piano fra qualche giorno, perfettamente in linea con lo scadenziario richiesto da Obama.

L’attenzione di Obama si sta spostando con maggiore enfasi verso la politica estera, ed in particolare sul rapporto fra gli Stati Uniti e l’Iran. Durante la campagna elettorale, Obama aveva più volte manifestato l’intenzione di riaprire il dialogo con Teheran, alternando la possibilità di sedersi con la leadership iraniana senza porre condizioni, con posizioni più rigide, in linea con la tradizionale politica americana, chiedendo agli iraniani di bloccare il piano nucleare in atto e di riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Leggi tutto l’articolo

Ottimismo Obama Style

Sanità ed economia: Barack va avanti 

President Barack Obama arrives on the South Lawn of the White House in Washington, Thursday, Feb. 5, 2009. (AP Photo/Gerald Herbert)
President Barack Obama arrives on the South Lawn of the White House in Washington, Thursday, Feb. 5, 2009. (AP Photo/Gerald Herbert)

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha firmato mercoledì una legge approvata dal Congresso per garantire la copertura sanitaria ad oltre quattro milioni di bambini i cui genitori hanno perso il lavoro o guadagnano troppo poco per pagare un’assicurazione privata.  La legge espande la copertura già garantita a quasi sette milioni di bambini attraverso la State Children’s Health Insurance Program (il programma statale per l’assicurazione sanitaria dei bambini), e sarà finanziata principalmente attraverso la tassazione del tabacco.  Un pacchetto di sigarette negli Stati Uniti costa, in media, un dollaro, di cui circa 60 centesimi vanno all’erario.  Il presidente Obama ha dichiarato di rifiutare “che milioni di bambini americani non raggiungono il pieno potenziale, perché noi falliamo nel soddisfare i loro bisogni primari.  In una società decente, ci sono alcuni obblighi che non sono merce di scambio od oggetti di negoziato, e la salute dei nostri bambini è uno di quegli obblighi”.   

L’estensione della copertura sanitaria per tutti gli americani è stato uno degli elementi fondamentali della campagna politica dei democratici durante le ultime elezioni presidenziali.  Obama mirava ad includere una proposta per riformare l’intero sistema della copertura sanitaria durante i suoi primi 100 giorni alla presidenza, ma ha dovuto fare i conti con due grossi ostacoli, vale a dire, l’attuale crisi economica e il ritiro della candidatura della persona che aveva scelto come ministro della salute, Tom Daschle, ex capogruppo democratico al Senato.  Daschle, che ha dovuto farsi da parte martedì a causa di alcuni problemi con il fisco, era, secondo molti osservatori, l’uomo giusto per portare avanti la riforma, ma la promessa elettorale di Obama ,di non assegnare posti nel suo governo a persone legate alle lobby o che avessero problemi a carattere etico, ha obbligato il candidato al dicastero della salute a ritirarsi.  Pertanto, l’approvazione della legge per estendere la copertura sanitaria ad altri quattro milioni di bambini, permette ad Obama di fare un passo in avanti nel mantenere la promessa elettorale, anche a fronte del contrattempo nella nomina del ministro.

Obama è al lavoro per cercare consensi fra i senatori repubblicani per approvare il pacchetto di misure per stimolare l’economia, che dovrebbe andare all’approvazione del Senato entro la fine della prossima settimana, indicando che non è contrario ad alcune proposte per la riduzione delle tasse.  Il presidente, tuttavia, ha riconfermato la sua opinione che le teorie economiche proposte dai repubblicani hanno fallito in passato, hanno portato il paese all’attuale crisi, e “sono state bocciate dagli elettori americani a Novembre, quando hanno votato in modo consistente per il cambio di rotta”. Leggi tutto l’articolo

Obama va avanti: la Camera Usa approva le misure economiche

President Barack Obama speaks to reporters during his visit to the Capitol in Washington January 27, 2009.
President Barack Obama speaks to reporters during his visit to the Capitol in Washington January 27, 2009. (Kevin Lamarque/Reuters)

Anthony M. Quattrone

“Non abbiamo nemmeno un minuto da perdere” ha dichiarato mercoledì il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, poco prima che la Camera approvasse una serie di misure miranti a stimolare l’economia americana. Obama ha evidenziato la gravità del momento, sostenendo la necessità di prendere iniziative rapide e decisive per rilanciare l’economia. L’urgenza dell’intervento legislativo è dettata anche dalla notizia che, secondo il dipartimento del lavoro, l’emorragia dei posti di lavoro ormai rasenta le 100 mila unità a settimana. Il neo presidente sperava che la maggioranza democratica riuscisse a raggiungere un accordo con la minoranza repubblicana nella Camera, ma ha dovuto rassegnarsi di fronte alla ferma opposizione di ampi settori della destra conservatrice. Alla fine, il pacchetto è stato approvato dalla maggioranza democratica, mentre tutti i deputati repubblicani, assieme ad undici democratici conservatori, hanno votato contro. Il piano approvato dalla Camera rispecchia quasi per intero le richieste fatte da Obama, e costerà al governo federale circa 819 miliardi di dollari, di cui quasi 544 di spese e 275 di riduzione delle tasse. Ora sarà la volta del Senato nel vagliare e approvare le misure passate alla Camera.

La minoranza repubblicana nella Camera ha chiaramente manifestato che alcuni provvedimenti approvati nella seduta di mercoledì non sembrano legati ad iniziative miranti a stimolare l’economia, ma sono finanziamenti per alcune clientele locali o sono a sostegno di interventi prettamente politici. I repubblicani avrebbero preferito avere più tempo per discutere le proposte, e assicurarsi un legame diretto fra le spese e i risultati sperati nell’economia. Per il deputato dell’Ohio, John Boehner, capogruppo repubblicano alla Camera, alcune voci della proposta, del valore di diversi miliardi di dollari, “non hanno nessuna relazione con la creazione o la conservazione di posti di lavoro”. Per il capogruppo repubblicano al Senato, il senatore del Kentucky, Mitch McConnell, “le proposte fatte dai democratici alla Camera non sembrano in linea né con le nostre priorità, né con quelle del Presidente”. In generale, i repubblicani lamentano che l’ammontare della riduzione delle tasse, specialmente per le piccole imprese, non è sufficiente per stimolare l’economia.

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Le prime 72 ore di Obama

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama signs a series of executive orders, including one closing of the prison at Guantanamo Bay, Thursday, Jan. 22, 2009, in the Oval Office of the White House in Washington. (AP Photo/Charles Dharapak)
President Barack Obama signs a series of executive orders, including one closing of the prison at Guantanamo Bay, Thursday, Jan. 22, 2009, in the Oval Office of the White House in Washington. (AP Photo/Charles Dharapak)

Molti osservatori americani avevano espresso preoccupazione per la velocità con cui Barack Obama avrebbe dovuto affrontare una serie di problemi complessi, già dalle prime ore del suo insediamento come presidente degli Stati Uniti d’America.  Il team di Obama ha spesso risposto ai critici usando una frase idiomatica inglese, “hit the ground, running” (toccare terra correndo), per assicurare tutti che il nuovo presidente sarebbe stato “operativo” sin dal primo momento in carica, e che non aveva bisogno di un “time out” né per documentarsi sui temi, né per chiedere consigli.  La straordinaria collaborazione fra l’amministrazione del presidente repubblicano uscente, George W. Bush, e quella democratica di Obama, durante i 77 giorni trascorsi fra le elezioni del 4 novembre 2008 e l’insediamento di martedì 20, e la generale soddisfazione degli osservatori di tutte le correnti politiche a proposito della composizione della nuova squadra di governo, hanno sicuramente aiutato a dissipare timori e dubbi nei confronti della capacità del giovane presidente di assumere subito le piene funzioni di capo di governo.

A poche ore dalla conclusione della festa dell’insediamento, Obama ha dettato le prime regole, ha firmato ordini, e ha debuttato sulla scena internazionale chiamando alcuni leader mediorientali, segnando in modo chiaro le traiettorie che la sua amministrazione seguirà fin dal primo momento. La celerità dell’azione di Obama, il primo presidente americano completamente abile nell’uso del computer e dell’Internet, è forse anche dovuta alla facilità con cui utilizza tutta la tecnologia a disposizione.  La Cnn ha osservato che lo staff di Obama ha completamente cambiato la struttura del sito Web della Casa Bianca, creando uno stile più aperto e all’insegna della trasparenza. Leggi tutto l’articolo

Barack Hussein Obama Presidente!

small_obama_imageAnthony M. Quattrone

Oggi, 20 gennaio 2009, Barack Hussein Obama diventerà il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America. Sono tantissime le persone in tutto il mondo che seguiranno la diretta TV della cerimonia d’insediamento, e saranno tanti quelli che, alle 18 italiane, si commuoveranno, mentre guardano e ascoltano Obama, giurare fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, sulla bibbia appartenuta al presidente Abraham Lincoln. Anche la scelta della bibbia di Lincoln, un presidente repubblicano, che ha dato il via alla lunga strada dell’emancipazione dei neri, è parte di un’attenta coreografia politica che mira a creare unità fra tutti gli americani.

Nei primi cento giorni della sua presidenza, Obama potrà continuare a godere del forte consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Ma, soprattutto, potrà contare su di un Congresso a maggioranza democratica, con un’opposizione leale da parte dei repubblicani, che, specialmente all’inizio del mandato del giovane presidente, gli daranno l’opportunità di mettere in atto quanto ha promesso, e quanto vorrà fare per tirare l’America fuori dalla crisi economica.

E’ stato scritto subito dopo la trionfale vittoria del 4 novembre 2008, che l’elezione di Obama andava incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scegliesse la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mettesse l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. Dal 4 novembre ad oggi sono passati oltre due mesi, e il mondo è cambiato di nuovo, e rapidamente. La crisi economica ha distrutto centinaia di migliaia di posti di lavoro in America dall’elezione presidenziale ad oggi, portando il totale a oltre tre milioni in un solo anno. Israele ha invaso Gaza dopo aver subito attacchi giornalieri di missili Kassam lanciati da Hamas contro la sua popolazione civile per anni — ora il numero dei morti civili in Palestina, causati dall’azione militare israeliana, ha ormai superato il migliaio. In breve, in soli due mesi, la situazione Americana e mondiale si è complicata ulteriormente, e le sfide per il giovane presidente si sono notevolmente moltiplicate.

In questi due mesi, Obama ha messo assieme una squadra di governo che, secondo gli osservatori americani di tutte le parti politiche, è composta da persone di altissimo calibro. Obama ha scelto il meglio fra democratici, indipendenti, e repubblicani, e ha privilegiato la capacità professionale e la dimostrata competenza, piuttosto che la fedeltà di partito, o nei suoi stessi confronti. Vuole un rapporto leale con dei collaboratori capaci di dire “no sir, lei si sta sbagliando”, con il massimo rispetto dei ruoli e delle persone. Obama sa che alla fine, dopo aver ascoltato i consiglieri, i ministri, gli esperti, sarà solo nel prendere decisioni che potrebbero danneggiare alcuni e favorire altri. Così sarà per la politica economica, quella fiscale, le tasse, la riforma sanitaria, l’ambiente, la sicurezza nazionale, la politica estera, e così via.

Il rischio di deludere tutti c’è ed è grande. Chi vuole chiudere Guantanamo subito sarà deluso dai problemi tecnici che questo comporta. Chi vuole vedere le truppe Usa lasciare l’Iraq subito scoprirà che questo non è possibile, se si vuole garantire la sicurezza delle truppe stesse. Chi vuole la riforma sanitaria dovrà capire che, nel bel mezzo di una crisi economica di portata storica, con milioni di posti di lavoro già persi e altri che sono a rischio, non ci sono i fondi necessari per fare l’agognata riforma. E così chi vuole vedere Obama togliere immediatamente gli impedimenti federali alla ricerca sulle cellule staminali dovrà fare i conti con le priorità che il nuovo presidente vorrà dare ad ognuno dei temi su cui ha basato la sua vittoriosa campagna elettorale.

Gli americani residenti in diverse città italiane hanno organizzato oggi degli incontri per vedere assieme ai loro amici italiani il giuramento di Obama. In alcune città ci sono manifestazioni formali, mentre in altre le celebrazioni sono a carattere informale. Quello che gli italiani potranno notare da queste celebrazioni è che non ci sono differenze di partito, ideologiche, religiose, o etniche. Tutti gli americani in questo momento sperano nel successo del giovane presidente, e si sentono uniti dietro di lui.

Obama ha dimostrato in brevissimo tempo di avere la stoffa per essere un grande presidente americano. Ha lo stile giusto. E’ determinato. Ha il carisma necessario. Ha l’umiltà di circondarsi di persone forti e competenti. Già da domani Obama dovrà rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. E, mentre aspettiamo di sapere come vuole andare avanti, non ci resta che fargli l’augurio che è stato rivolto subito dopo la vittoria del 4 novembre: “Buon lavoro, Mr. President!”

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