Afghanistan: Ora è la guerra di Obama

Il messaggio è chiaro: agli avversari, Obama tende la mano, mentre a chi ha deciso di essere un nemico mortale per l’America, mostra la canna del fucile.

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama greets cadets after speaking about the war in Afghanistan at the U.S. Military Academy at West Point, N.Y., Tuesday, Dec. 1, 2009. (AP Photo/Charles Dharapak)

Il titolo d’apertura del giornale non ufficiale delle forze armate americane Stars and Stripes del 2 dicembre 2009 è emblematico: “Ora è la guerra di Obama”. Il discorso che il presidente americano Barack Obama ha tenuto martedì all’accademia militare di West Point, quando ha annunciato l’invio di 30 mila soldati in Afghanistan “finire il lavoro iniziato otto anni fa”, suggella la sintonia fra la Casa Bianca e i vertici delle forze armate americane, che forse non era stata contemplata da parte del Pentagono come possibile un anno fa, quando Obama è stato eletto. Il titolo del giornale è quasi liberatorio nei confronti del peggior incubo che qualsiasi soldato americano può avere, vale a dire, quello che il suo Comandante in Capo, non lo sosterebbe, mentre è in corso la guerra. Con il suo discorso, Obama ha chiarito ogni dubbio, dopo aver studiato a fondo le opzioni presentate dai vertici militari, e anche dagli analisti civili, su come finire il lavoro in Afghanistan, e ha optato per l’invio delle truppe a sostegno del lavoro del generale Stanley McChrystal.

Il discorso di Obama dinnanzi ai cadetti, trasmesso in diretta televisiva, è servito anche per rassicurare i militari che il paese non sarà vittima della sindrome del Vietnam, della guerra che si perde a Washington, nei palazzi della politica, ancora prima di essere combattuta sul campo. Le differenze fra Afghanistan e Vietnam sono lampanti, secondo il presidente. In Afghanistan, a differenza del Vietnam, l’America combatte assieme ad un’alleanza di 43 paesi, che considerano legittimo l’intervento americano contro i taleban. A differenza del Vietnam, in Afghanistan, l’America non si trova a lottare contro un’insurrezione appoggiata da larghi strati della popolazione. Per Obama, è di fondamentale importanza il fatto che gli Usa combattono in Afghanistan contro al Qaida, e contro i taleban che li hanno ospitati nel paese, ovvero contro coloro che hanno sferrato il criminale attacco dell’11 settembre 2001 contro New York e Washington.

La chiamata alle armi di Obama e la decisione di appellarsi agli alleati della NATO per portare a termine il lavoro iniziato otto anni fa in Afghanistan può essere letta nella più ampia strategia che il presidente americano sta portando avanti nel rinnovamento della politica estera americana. Mentre da un lato il presidente si dimostra aperto al dialogo con tutti, dall’altro dimostra la determinazione ad usare la forza con chi minaccia in un modo serio ed inequivocabile la sicurezza Usa. Il messaggio è chiaro: agli avversari, Obama tende la mano, mentre a chi ha deciso di essere un nemico mortale per l’America, mostra la canna del fucile.

Obama ha scelto di annunciare l’aumento delle truppe americane durante un discorso dinnanzi ai cadetti come parte del cambio di stile che ha improntato al rapporto fra le forze armate impegnate nella guerra e il paese che continua a vivere, tutto sommato, nelle abitudini legate alla quotidianità, lontano dal campo di battaglia. Obama non nasconde i cadaveri degli eroi che tornato avvolti nella bandiera a stelle e strisce. Non esita a scrivere ai cari dei caduti. Va ad accogliere le salme. Il presidente, nel suo ruolo di Comandante in Capo delle forze armate americane, è ben consapevole che sarà lui a dover mandare in guerra proprio quei ragazzi cui si è rivolto martedì all’accademia di West Point. Se la guerra in Afghanistan andasse avanti per ancora due anni, almeno due classi di cadetti potrebbero vedere il fronte. Alcuni fra quei ragazzi potrebbero perdere la vita, o tornare mutilati. Le responsabilità di un leader non possono essere celate dietro al silenzio stampa o la vergognosa censura del ritorno in patria delle bare.

La sinistra democratica è ostile al presidente per la coraggiosa decisione che ha preso martedì di aumentare le truppe. Avrebbero voluto l’abbandono dell’Afghanistan al suo destino. La destra repubblicana è ostile al presidente perché ha chiaramente indicato che l’aumento delle truppe è indirizzato a finire il lavoro in Afghanistan, con l’intenzione di lasciare il paese nel 2011, se le condizioni sul campo lo permetteranno. Il presidente non si è lasciato influenzare né dalla destra né dalla sinistra, e ha preferito dare ascolto ai suoi consiglieri politici e militari, per affrontare in modo sistemico il problema afgano, partendo proprio dalla definizione del problema stesso. Per Obama, permettere all’Afghanistan di tornare ad essere il covo in cui al Qaeda e altri terroristi possono sviluppare le loro reti per poi attaccare l’America e i suoi alleati non è accettabile. Per Obama non è accettabile nemmeno firmare un assegno in bianco, permettendo al governo Karzai di sfruttare in eterno la presenza americana e degli alleati, evitando di “bonificare” ampi settori dello stato afgano che continuano ad ingrassare attraverso la corruzione ed il malaffare.

La decisione di Obama di aumentare le truppe, e di stabilire una tabella di marcia verso il disimpegno americano, dopo aver debellato il pericolo terrorista, è un chiaro messaggio per i taleban, per il governo Karzai, e per i politici afgani. I taleban possono ancora scegliere di abbandonare la lotta contro l’America e i suoi alleati. Karzai e i politici afgani possono decidere di mettere ordine in casa propria, debellando le inefficienze e la corruzione. Sia i taleban, sia il governo afgano dovranno confrontarsi con la determinazione americana di venire a capo della situazione di stallo. Secondo l’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore delle forze armate americane, gli insorti hanno guadagnato “un’influenza dominante” in undici delle 34 province afgane. Secondo il ministro della difesa, Robert Gates, “le aree controllate dai taleban possono divenire di nuovo, in brevissimo tempo, dei santuari per al Qaida” e permetterebbero ai militanti che operano in Pakistan di trovare rifugio.

Nel suo discorso ai cadetti, Obama ha voluto ricordare al mondo intero che l’America non è interessata ad occupare né l’Afghanistan, né nessun altro paese. Gli americani vogliono vivere in pace con tutti, ma sono anche un popolo molto determinato, che sa essere unito, e sa rimanere unito dinnanzi ai pericoli mortali per il paese. Debellare il terrorismo e rendere inefficaci coloro che sono pronti ad ospitare i terroristi in Afghanistan sono di importanza vitale per l’America. Questa “ora è la guerra di Obama”, come titola lo Stars and Stripes.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.